in

Proveniamo dalla natura e non ce lo dobbiamo dimenticare. “A wild mind” del neuroscienziato Andrea Bariselli

- -



A wild mind
di Andrea Bariselli
Rizzoli, 30 aprile 2024

pp. 300
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Sono sempre più convinto che che sarà il risveglio di un sano senso di meraviglia verso le cose di questo mondo che cambierà il nostro futuro. Ma la natura va vissuta in prima persona: perché possiamo proteggere solo ciò che amiamo, e per poter amare qualcosa, bisogna prima conoscerla. (p. 155)

Questa affermazione per me racchiude il senso del libro di Andrea Bariselli, autore anche del podcast omonimo che ho seguito affascinata su Spotify. Ho ascoltato una puntata per puro caso e poi ho terminato tutta la serie come si fa con un cesto di ciliegie (ma senza rischiare l’indigestione!). È una fortuna per me sapere che è stato pubblicato proprio un libro che tratta le stesse tematiche del podcast: ricordo che avrei voluto appuntare da qualche parte una serie di concetti illuminanti, dati, pensieri per tornare a rifletterci e per imbastire discussioni anche con i miei alunni e le mie alunne. Sì, per chi lavora a scuola, il contributo di Bariselli è davvero importante sotto diversi aspetti che ho intenzione di sottolineare in questa recensione.

Il lavoro dell'autore, sia nel podcast che nel libro, è quello di farci scoprire in maniera accessibile - e, vorrei aggiungere, accorata - il profondo legame che c’è tra il nostro cervello e la natura, accompagnandoci in un viaggio straordinario in cui le neuroscienze rivelano la necessità di ricordare da dove siamo venuti e cosa stiamo diventando, denunciando il male che stiamo facendo a noi stessi e alla nostra casa, cioè la natura. È lì, nelle profonde connessioni tra le cose, la risposta alla nostra sofferenza fisica e psichica, così come il nostro cervello conferma in maniera palese.

Una delle idee più difficili da accettare è che non siamo il culmine di qualcosa. Non c’è nulla di inevitabile nel nostro esistere qui e ora, […]. Pensare che l’evoluzione sia un processo programmato appositamente per arrivare a noi fa parte della vanità umana. Ma non è affatto così. Se fossimo davvero evoluti come crediamo, forse non ci troveremmo in questa condizione, prossimi a una estinzione e intrappolati in vite che non sono cucite su misura per noi. (p. 35)

Non sentiamoci onnipotenti e non crediamoci multitasking: Bariselli smonta subito la nostra vanità. Il cervello umano non si è più ulteriormente evoluto negli ultimi 50.000 anni, quindi «il modello di base che possediamo oggi è “sostanzialmente” lo stesso» (p. 196). E com’è fatto questo nostro cervello, come funziona, per cosa è stato programmato dalla natura? Nel libro A wild mind, il neuroscienziato ce lo spiega e lo fa in una trattazione agevole, davvero interessante in ogni sua parte, unendo la rigorosità dello studioso (grafici, dati, chiose esplicative a piè pagina) al racconto di esperienze personali. Voglio sottolineare inoltre che in più punti le pagine trasudano una calorosa e commovente gratitudine verso la natura e la vita: Bariselli scende dalla pedana del professore e ci parla col cuore in mano. 

Nelle prime pagine del libro l’autore ci fa conoscere da vicino la preziosa strumentazione che ci ha permesso di inoltrarci nei misteri del nostro cervello, non solo per la diagnosi e la cura di malattie, ma anche per la ricerca psicologica: l’elettroencefalogramma, abbreviato in EEG. Negli anni la tecnologia ha reso sempre più raffinati e sensibili le diverse apparecchiature che sono incredibilmente capaci di scavare nei meandri delle anse cerebrali, rilevando esiti straordinari. Le diverse ricerche condotte sugli adolescenti e non solo confermano che siamo nati per stare all’aria aperta e per muoverci: il contatto con la natura rende più ricettivo il nostro cervello. Sono stati condotti accurati studi sul nostro prezioso organo racchiuso nella scatola cranica quando è implicato in attività di apprendimento e problem solving in termini di concentrazione: è ormai palese che esso è al massimo delle sue potenzialità quando si è all’aria aperta e non chiusi per cinque o più ore tra le quattro pareti di un’aula. Ciò fa riflettere sulla sofferenza psichica dei giovani durante il lockdown e su quanto siano deleterie le cosiddette classi-pollaio sulle performances degli adolescenti e sulla loro creatività. Anche noi adulti non ce la caviamo bene: la cosiddetta hustle culture, una mentalità lavorativa a dir poco suicida, che spinge ad aspettarsi il successo personale dalla produttività eccessiva, a discapito degli affetti, del tempo libero, le ore di traffico che dobbiamo subire quasi ogni giorno, le ore di sonno quasi sempre insufficienti ci fanno parlare di una vera “cattività” contemporanea.

Anche se non ne abbiamo consapevolezza, questo innato legame con l’ambiente è profondamente radicato nel nostro cervello. La spiegazione è probabilmente antropologica ed evolutiva: per migliaia di anni abbiamo vissuto proprio lì, in ambienti naturali. Da questo punto di vista, è come se stessimo vivendo in cattività. La città per noi è un ambiente ostile, troppi stimoli, troppi input. Troppo “tutto” per il nostro cervello. Queste continue sollecitazioni non possono essere sopportate in maniera duratura né rimanere all’interno di una finestra di tolleranza che ci permetta di metabolizzarle. Nonostante le varie teorie emerse negli ultimi anni riguardo alle capacità di multitasking del nostro organo pensante, quello che constatiamo con sempre più frequenza è che il cervello è una “macchina” estremamente lenta. (p. 130)

Perché ci sentiamo appagati dopo una bella camminata in mezzo alla natura? Perché sentiamo le nostre forze rigenerarsi a contatto col mare e la natura selvaggia? È tutto scritto nel nostro cervello, che, nonostante la sua plasticità, la sua incredibile capacità di assimilare informazioni, elaborarle, è pur sempre imperfetto. Uno dei suoi più grandi limiti è la dissonanza cognitiva: che argomento affascinante! Ma non voglio dire troppe cose; sappia il lettore che A wild mind è davvero un viaggio a 360° intorno alle connessioni del nostro cervello con la natura: la nostra creatività, il bisogno di esplorare, l’importanza di muoversi e di fare sport, il valore delle buone relazioni che ci aiutano a vivere pienamente la nostra vita, la bellezza cui esporre i nostri ragazzi e le nostre ragazze oggi più che mai lobotomizzati dalla vita sedentaria davanti ai videogiochi e ai social network. 

Non siamo fatti per la felicità, ma per la sopravvivenza. Dobbiamo riscoprire la nostra wilderness, noi siamo Born to be wild (p. 154), come s'intitola uno dei capitoli del libro, e riconoscere i nostri limiti di bipedi che hanno messo e stanno ancora mettendo a repentaglio la loro casa. Ma ci rendiamo conto di cosa siamo su questo pianeta verde? Praticamente nulla: «La specie umana, insieme a tutti gli altri animali, costituisce solo lo 0,3% della biomassa. Siamo niente: ce ne rendiamo conto? I soli funghi sono ben quattro volte noi» (p. 155).

La risposta a tutti i nostri malesseri fisici e psichici, quelli che assillano grandi e piccini, adulti e anziani, è nel nostro cervello, che in qualche modo ci manda dei messaggi che non possiamo leggere e che ci rimandano alla nostra natura più profonda, che è wild, che è selvaggia. Dobbiamo guarire da questa amnesia evolutiva (p. 240), non fa bene… ma, a proposito di male di vivere, lo sapete che esiste un sentimento di nostalgia verso la perdita del nostro paradiso naturale? Si chiama solastalgia (p. 241):

In altre parole: vivete ancora lì, eppure sembra non appartenervi più, come se stesse scivolando via. È una sorta di nostalgia di casa, ma in senso paradossale: tu a casa ci sei, eppure senti che qualcosa non va, che sta cambiando, che è non più la stessa casa. […] Abbiamo scordato chi siamo e perché siamo qui. Abbiamo perso il senso del contesto, viviamo ovattati nelle nostre vite sparate a tutta velocità come un colpo di cannone. Viviamo nella confusione, e la confusione non è mai un buon presupposto per imparare. Per prestare attenzione, per notare qualcosa c’è bisogno di tempo, di concentrazione, contatto, e anche di avere sufficiente energia per poter elaborare gli stimoli. Come possiamo renderci conto della complessità di quello che sta accadendo attorno a noi, se siamo esausti? Non sappiamo più apprezzare il valore della natura, la sua importanza nella nostra vita: non basta mettere una pianta in ufficio per stare meglio.[…]  Dobbiamo tornare a capire da dove veniamo, dove siamo, dove vogliamo andare. Provate a pensare alla vostra vita: qual è la cornice entro la quale la sette vivendo? Quanta natura potete osservare e respirare tutti i giorni? A quanta bellezza vi esponete?

Rispondo io, per me stesso, ma credo valga per molti di noi: molto meno di quanto dovrei.

Marianna Inserra