Il Club 27
di Giovanni Greco
di Giovanni Greco
Ponte alle Grazie, settembre 2024
pp. 256
€ 18,00 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)
Per chi è un appassionato di musica rock, alternative, blues, grunge (e via dicendo…), per chi da giovane sentiva che il conformismo soffocava e traghettava verso una realtà sorda e alienante, o semplicemente per chi ha vissuto gli anni Novanta e l’adolescenza, il Club 27 è storia ben nota. Una terminologia giornalistica che è diventata un culto, un vero e proprio modo di vivere anelato da schiere di giovani adolescenti che guardavano agli iconici membri del cadaverico club come a modelli di riferimento, uniche figure autentiche e sincere nel marasma ipocrita e bigotto di una società da rifuggire.
Il Club 27 di Giovanni Greco, scrittore, regista, attore e traduttore, autore di numerosi testi teatrali, incorpora la filosofia del Club 27 e mostra non tanto come questo fatidico numero ha ossessionato e “psichedelizzato” un’intera generazione, ma piuttosto il contrario, ossia il modo in cui una generazione ha trovato fiato e respiro, somiglianza e conforto in una serie di morti che per coincidenza sono avvenute alla stessa età.
Kurt Cobain, Janis Joplin, Jimi Hendrix, Jim Morrison, Brian Jones e non per ultimo il volto che fa da copertina al libro, in quanto ne è in parte la protagonista, Amy Winehouse. Giovani figure della musica mondiale morte a 27 anni e che pure nell’immaginario collettivo sono rimaste immortali (anche per chi non li ha mai ascoltati).
La protagonista del romanzo è una quattordicenne che rispecchia il tipico cliché della “brava e studiosa”, anzi, potremmo dire “la classica secchiona”. Nulla che possa provocare un cambiamento abissale accade nella sua vita, nessun evento specifico nell’età della confusione e della sofferenza, della tragedia e dell’euforia. Eppure il cambiamento c’è, improvviso come solo nell’adolescenza, e prende una strada che proietta la ragazza proprio nel mondo del Club. L’obiettivo della vita, la meta ultima è diventare un’iconica figura che muore a 27 anni, dopo aver esperito tutto ciò che la vita dei grandi artisti ha in elenco: droga, alcol, sesso, musica e, perché no, anche vivere per strada, non avere paletti né recinzioni.
Farà di tutto per imitarli, prendendo spunto dalle biografie di ognuno di loro: ciascun capitolo è infatti intitolato col nome di un artista e diventa un po’ un pezzetto di storia che entra nella vita dell’adolescente e un po’ quasi una sorta di epitaffio, un’invocazione che dovrebbe avvicinare la protagonista al suo sogno, morire come hanno fatto loro, morire gloriosi e sorprendentemente pieni di vita, come scrisse Kurt Cobain nella celebre lettera di addio: “It’s better to burn out than to fade away” (È meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente).
In realtà del club in sé nel romanzo si parla poco, e giustamente, perché non ne rappresenta il vero fulcro. È il disagio giovanile a fluire e scorrere tempestoso nel testo, è la sofferenza muta e apparentemente priva di ragioni di una quattordicenne che, crescendo, fa il conto di quanti anni le rimangono per sentirsi davvero viva prima di morire, come è spiegato in modo molto netto già nelle prime pagine che assumono una forma corsiva quasi diaristica:
La pancia è tutta un buco di nausea dove precipitano e sono precipitati tutti i giorni spesi a farsi male, tanto, e farsi bene, poco, a credere che fosse passata e a sapere che non passa, che non può passare questa nausea che non è una malattia, è la stessa allergia alla vita che mi porto dentro da sempre: una reazione al silenzio del mondo che non risponde alle domande, alle richieste che gli rivolgo da sempre, all’incuria del mondo che non sa che farsene di me, che non sa nulla di me.Assistiamo a un viaggio nella psiche di un’adolescente che diventa la sosia di Amy Winehouse appena prima di non crederci già più. Nel modo di vestire, nei tatuaggi identici a quelli che ricoprono il corpo della talentuosissima cantante risiede il desiderio di essere la copia di qualcun altro, perché essere se stessi è troppo difficile. Ma è anche un viaggio che la porta a vivere tante e variegate esperienze, dentro a ciascuna delle quali avvertiamo un costante dolore, che non ha motivi palpabili e che proprio per questo va raccontato, come poco e male si fa nella realtà d’oggi.
Ma poi c’è chi come il mio corpo sente il dolore degli altri, quello che si dice sia davvero impossibile da sentire sinceramente, e lo traduce nel suo male. Si ammala degli altri. Si fa male della sofferenza di chi gli sta vicino. (pp. 11, 13)
Greco eccelle in questo, nel modo di rendere, attraverso la scrittura, il vorticoso e inarrestabile flusso dei pensieri negativi, della voglia di stare male, di farsi male, del cercare a tutti i costi – e come unica via di fuga dal malessere – di essere qualcosa di diverso da ciò che si è, e di ritrovarsi poi nell’abisso, quando ci si accorge che non è possibile.
Federica Cracchiolo
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