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L'arte e la pazienza: L'arte di scrivere male (per poi scrivere meglio) di Francesco Trento

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L'arte di scrivere male (per poi scrivere meglio)
di Francesco Trento
Edizioni Tlon, 2024

pp. 150
€ 15,00 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)

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«Il talento è una lunga pazienza» diceva Flaubert e questa frase ricorre spesso nel saggio di Francesco Trento per smentire coloro che credono (ancora!?) che non si possa imparare a scrivere  e che quello della scrittura sia un dono, una grazia ricevuta o no ricevuta al momento della nascita. Che la scrittura si possa insegnare lo testimoniano non solo i vari manuali pubblicati, ma anche le diverse scuole di scrittura presenti oramai da anni in Italia. Lo stesso Trento ha fondato la scuola di scrittura solidale Come si scrive una grande storia,n  che con le sue lezioni gratuite di più di duecento autori ha generato molte e consistenti donazioni in beneficienza.

L'arte di scrivere male (per poi scrivere meglio) - i cui diritti saranno anch'essi devoluti - raccoglie molti dei suggerimenti e degli spunti, potremmo anche dire delle dritte, emersi in questi anni di esperienza didattica.

Delle dritte. 

Da brocchi a campioni (la teoria dell'un per cento); impara a gestire i no come parte del processo; un trucco contro la procrastinazione, sono alcuni dei titoli di questo vademecum dell'apprendista scrittore.

L'idea di questo libro non è fornire gli attrezzi del mestiere a livello di contenuto (a differenza di tanti altri manuali che spiegano focalizzazione, tecniche dell'intreccio, monologo interiore, ecc...) ma di approccio al mestiere di scrittore. Se da una parte questa idea rende differente questo saggio dai tanti manuali che oramai affollano le librerie, dall'altra lo rendono spesso una sorta di raccolta di aforismi motivazionali. 

Potremmo essere venuti al mondo come creature aperte, curiose, predisposte all'avventura. Poi magari qualcosa ci ha feriti, un amore ci ha delusi, un amico si è comportato in maniera sleale. E piano piano, a ogni ferita, abbiamo reagito proteggendoci. Fidandoci sempre meno delle altre persone. Abbiamo messo una prima barriera tra noi e il mondo, poi una seconda, poi una terza. E adesso andiamo all'amore come si andrebbe in guerra, bardati come guerrieri medievali, con l'elmo, la corazza, i parastinchi, coi sentimenti protetti dalla cotta di maglia in acciaio, con una serie di tattiche pronte all'uso che nemmeno nell'Arte della guerra di Sun Tzu. E invece di vivere coi pori aperti, ci difendiamo. (p.35)

Per essere bravi scrittori, insomma, bisogna essere sensibili e questa potrebbe non essere propriamente una grande rivelazione. La finalità di questo esercizio spirituale sulla scrittura porta comunque sempre ad un obiettivo:

diventare talmente bravi da potere essere presi in considerazione dalle migliori case editrici, fino a diventare talmente brave  da poter essere prese in considerazione per la shortlist di un importante premio letterario. Che poi lo vinciamo  o meno non è importante. Non dobbiamo mai fissarci col risultato. Sii la miglior versione possibile di te stessa o te stesso. (p. 45)

Ricorre in maniera persistente, lungo queste pagine, proprio il sogno del risultato, quantificato a suon di milioni e di follower:

J.K. Rowling ha ricevuto dodici rifiuti da differenti editori prima che Bloomsbury accettasse di pubblicare Harry Potter e la pietra filosofale. È difficile arrivare a una stima precisa di quanto abbia guadagnato poi l'autrice complessivamente, ma mi azzarderei a dire che il deposito di Zio Paperone non basterebbe a contenere il frutto dei diritti d'autore generati dai sette libri dedicati al giovane mago. Qualche anno fa, un articolo di «Forbes» calcolava in 60 milioni di euro l'anno i soli diritti derivanti dalla vendita di vari libri, ma la saga cinematografica ha incassato più di 7,7 miliardi di dollari, Quindi se si ipotizza che Rowling possa aver tenuto per sé una percentuale abbastanza alta, come è probabile, saremmo sul miliardo di dollari, o giù di lì. (p. 75)

Non so se appartenete, come me, ad una banda di stravaganti che mai si è domandata quanto abbia fruttato in sonanti dollari La montagna incantata a Thomas Mann o Guerra e pace a Tolstoj, e che comunque invidia quel loro talento, che era pazienza ma anche stupefacente meraviglia.

A questo approccio attento al risultato, alla performance, corrisponde infatti un lessico che chi si occupa di didattica purtroppo ha oramai imparato a conoscere.

Passare dal fixed mindset al growth mindset è la cosa più importante. Coltivare l'idea che possiamo continuamente migliorare. [...] Lo so, è un po' una forzatura da manuale di self-improvement. (p. 61)

Si parla di coaching, di speech motivazionali, di talk, di power shifting e writing challenge, e il pensiero va a Nanni Moretti e al dialogo, quello davvero memorabile, con la giornalista in Palombella rossa («Chi parla male, vive male e pensa male» n.d.a.). 

Ho trovato interessante il capitolo Trova la tua verità, nel quale citando anche Nadia Terranova, Matteo Bussola e Zerocalcare, l'autore ricorda che è anche trasfigurando il proprio vissuto, il vero della scrittura sta nel dolore, nel bisogno, nell'urgenza sperimentata dallo scrittore. Nel terzo capitolo, si ritorna a questioni di «mentalità», cioè a Quindici qualità che non hanno nulla a che fare con il talento, ma che servono a strutturare lo scrittore.

Il passaggio da "Si può imparare a scrivere" alle istruzioni per diventare un buono scrittore non mi è del tutto chiaro, sinceramente. Mi è venuto in mente il processo a Josif Brodskij, al quale fu chiesto chi gli avesse dato il titolo di poeta. Lui aveva risposto con un'altra domanda: chi lo aveva incluso nella razza umana? E alla richiesta del giudice sovietico: come si fa ad ottenere lo statuto di poeta, Brodskij rispose che probabilmente non lo si ottiene con la scuola, ma chissà...forse da Dio. Era un processo e non un trattato di estetica, tanto meno un manuale, ma il disorientamento di Brodskij (e della giuria) dinnanzi allo "scandalo" di fare poesia, è un qualcosa che deve essere mantenuto sempre, accanto alla pazienza di Flaubert. Trovo asfissiante, in una certa pratica didattica di corsi sulla scrittura, il riferimento solo alla letteratura americana contemporanea, come se mai prima e in altri luoghi fosse stato prodotto qualcosa di degno di valore. In realtà è proprio la mancanza al concetto di "letteratura" che rende questa pazienza una pratica sicuramente encomiabile per la volontà ma dai misteriosi esiti artistici. Se scrivere è una produzione dello spirito e porta ad un arricchimento nella comprensione e nel disvelamento del mondo, ciò sembra del tutto dimenticato.

Deborah Donato