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"La preda" di Damon Galgut: un'esplorazione delle zone d'ombra della psiche e delle periferie dell'esistenza

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La preda
di Damon Galgut
Edizioni e/o, ottobre 2024

Traduzione di Tiziana Lo Porto

pp. 160
€ 17 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)


Ai margini del mondo, dove il cielo incontra la terra in un abbraccio sterile, un uomo vaga. Un'ombra proiettata su un paesaggio di polvere e silenzio, un'esistenza sospesa tra il sogno e l'incubo. La sua identità, come la sabbia sotto i suoi piedi, sfugge a ogni tentativo di definizione. Egli è un uomo senza nome, un fantasma che si aggira tra i vivi.

Non si tratta di T.S. Eliot, ma di Damon Galgut, maestro sudafricano della narrativa contemporanea, che con La preda ci trascina in un viaggio esistenziale ai confini dell'identità e della coscienza. Il romanzo, vincitore del Booker Prize 2021, è un'indagine profonda nell'animo umano, un'esplorazione delle zone d'ombra della psiche e delle periferie dell'esistenza, che si costruisce attorno a un leitmotiv ossessivo: "ai lati", "ai margini". Esso è la definizione dell'esistenza del protagonista come una continua oscillazione tra il dentro e il fuori, tra l'appartenenza e l'esclusione; esso è una chiave di lettura per addentrarsi nel labirinto mentale del protagonista, un uomo senza nome e senza passato, che vaga in un paesaggio desertico e inospitale.

L'incipit, senza preamboli né descrizioni, ci proietta immediatamente in un mondo sospeso, dove il poi prevale sul prima. La scelta narrativa pone il lettore subito di fronte all'enigma di un personaggio sfuggente, che sembra emergere dal nulla. L'assenza di un punto di riferimento temporale e spaziale disorienta e costringe a seguire il protagonista nel suo vagabondaggio, cercando di decifrare i frammenti della sua identità. Frammenti inzuppati di bianco, che assumono un valore simbolico fondamentale: la tabula rasa, l'assenza di identità, la purezza perduta. Il protagonista, immerso in un impeto bianco, è come una figura evanescente, destinata a scomparire senza lasciare traccia. Ma ecco che il lettore è sorpreso da schizzi di rosso e di blu: la passione, il sangue, la violenza, che contrastano con il simbolo dell'infinito, del mistero, della malinconia e della sudicia divisa dei poliziotti.

Galgut, attraverso una scrittura minuziosa, ci immerge in un mondo sensoriale fatto di rumori e odori. Il ronzio del motore, l’apertura e la chiusura del tappo di una bottiglia, il volo disordinato della polvere: ogni elemento contribuisce a creare un'atmosfera opprimente, che riflette lo stato d'animo del protagonista. Egli è consumato dalla fatica fisica e mentale, dorme «oltre il ricordo dei sogni» (p. 12). La sua esistenza è un continuo vagare alla ricerca di un rifugio, di un luogo dove potersi finalmente fermare. Ma la fuga sembra essere la sua unica costante, un destino dal quale non può sfuggire. 
«C'era dentro di lui la sensazione di eventi che si esaurivano, di molle che si srotolavano e di ruote che rallentavano e sapeva che nella sua fuga azzurra e spettrale di movimento e sonno si stava rapidamente avvicinando al limite estremo delle cose» (p. 15). 
La sua relazione con l'altro è segnata dalla diffidenza e dalla paura. L'altro è un'altra forma umana, un estraneo, una minaccia, ma anche una proiezione delle proprie paure e delle proprie insicurezze. Egli necessita di rinascere, e lo fa rubando l’identità di un prete, uccidendolo. La morte per la rinascita. Il protagonista si spoglia così del suo passato vestendo i panni di un'altra persona. Ecco che l'identità del prete è il bianco, la tabula rasa, un'opportunità per costruire una nuova vita.
Eppure alla facciata del nuovo, al lembo di quella tunica sacra macchiata di sangue, si aggrappa con tutte le sue forze il vecchio. Ed ecco «Un uomo che inseguiva un altro uomo attraverso la terra bruna. Non erano più persone, erano un principio in atto: legge e fuorilegge, cacciatore e preda» (p. 112). Una potente immagine sintetizza la dinamica centrale de La preda, che proietta in un universo narrativo dove i confini tra bene e male, tra vittima e carnefice, si dissolvono in un vortice di violenza e ambiguità. Il protagonista, nel suo disperato tentativo di sfuggire alla giustizia, si trasforma in un essere liminale, sospeso tra l'umanità e la bestialità. La caccia diventa una metafora esistenziale, una rappresentazione della condizione umana, dove ognuno di noi, in un modo o nell'altro, è sia cacciatore che preda, perseguitato dai propri demoni interiori e inseguitore di una verità inafferrabile. Essa si trasforma in un gioco perverso, dove il cacciatore e la preda si inseguono in un'eterna spirale di violenza.

Galgut, con una prosa lucida e tagliente, ci offre uno spaccato impietoso della condizione umana, dove la violenza, la paura e il desiderio di redenzione si intrecciano in un nodo inestricabile. La preda è un romanzo che ci lascia profondamente turbati, e in compagnia delle grandi domande esistenziali: chi siamo? Cosa ci rende umani? Qual è il prezzo della libertà?

Olga Brandonisio