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Le “dieci vite” di Giacomo Matteotti a Wunderkammer 2024: il confronto da Zincone e De Angelis

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A chiudere il secondo giorno del Festival letterario di Neri Pozza, Wunderkammer, Vittorio Zincone dialoga con Alessandro De Angelis in merito al suo Matteotti. Dieci vite (ne ha scritto anche Samantha Viva, qui)La confidenza tra i due, evidente, si traduce in un incontro dal ritmo rapidissimo, che si vorrebbe durasse più del tempo previsto e che venisse trasmesso a reti unificate in tutte le scuole del territorio nazionale. 

De Angelis introduce Zincone
Foto © Agenzia FotoLive
Il volume riporta a un tema di estrema attualità”, introduce Pier Luigi Vercesi, curatore della collana di saggistica storica di Neri Pozza, “nonostante riguardi fatti accaduti cento anni fa. Nel panorama editoriale di molti libri usciti nel 2024 in occasione occasione delle celebrazioni commemorative, questo rappresenta un unicum”. Matteotti viene infatti dallo stesso partito socialista da cui provengono sia Mussolini che il fondatore del Partito Comunista, segue spiegando. Lui però, pur essendo di estrazione borghese, ha sempre mantenuto salde le premesse da cui era partito, ovvero un solido riformismo. “Matteotti è stato un’icona, a volte un’icona mal raccontata. La forza del libro di Vittorio Zincone è quella di aver colto la coerenza del pensiero di Matteotti, pur senza farne un idolo”. 

Alessandro De Angelis apre il confronto dichiarando il suo apprezzamento per il volume: “Succede spesso che i libri di storia che scrivono i giornalisti funzionino meglio di quelli che scrivono gli storici. Questo perché riescono a restituire le fonti, ugualmente studiate, attraverso una grande potenza narrativa, attraverso immagini che restituiscono il clima del tempo, il carattere di un personaggio. Zincone racconta la persona, il politico, ma anche il fallimento dello Stato liberale davanti al fascismo”. 

Sin dal titolo, spiega l’autore, il volume vuole rendere l’idea di un uomo che non era solo un martire, solo l’antagonista di Mussolini, e si propone piuttosto di restituire il suo pensiero attraverso le sue molte, diverse vite (un proprietario terriero del Polesine, un amministratore, un sindacalista integerrimo, un giurista, un deputato, un polemista, il primo degli antifascisti, un marito e un padre particolarmente assente…). Presentare tutte queste vite aiuta a capire come si sia arrivati a quel 10 giugno ‘24. A unire tutti i diversi aspetti è un tratto caratteriale del personaggio: quello di essere fortemente testardo, pignolo, puntiglioso (lo chiamavano Tempesta, modo elegante per definire - postilla Zincone, pur senza rivelare la sua fonte - un “meraviglioso rompicoglioni”). Questo è un altro modo per far scendere dal piedistallo Matteotti, politico perfetto, ma imperfetto come umano

Vittorio Zincone
a Wunderkammer 2024 
Foto © Agenzia FotoLive
Oggi in Italia la parola riformista è associata al concetto di moderazione, aggiunge. Matteotti era però un radicale, nel suo riformismo. Pur ammettendo la forma della moderazione (le alleanze, le tattiche politiche), era convinto che la sostanza dovesse essere intransigente. Lui sostiene che “bisogna conoscere l’anima popolare, ma non bisogna titillarla demagogicamente”; è perciò profondamente convinto dell’importanza della scuola come strumento di formazione e di prevenzione della delinquenza, come luogo di coltura dello spirito critico. Si rende conto, altresì, che nella scuola la politica investe malvolentieri, perché non offre la possibilità di un consenso immediato. La riflessione dal passato scivola inevitabilmente verso il presente, e la citazione di un pensiero relativo al ruolo dell’istruzione (di ieri e di oggi) strappa al pubblico un applauso immediato e spontaneo: 

“Vogliamo noi veramente che la scuola sia una preparazione per l’officina, pel lavoro? No, assolutamente: la scuola deve essere qualche cosa per cui, almeno per quattro o cinque anni, la gente del popolo non pensi alla preparazione del lavoro manuale, impari qualche cosa che sia fuori del lavoro immediato, impari anche dalle astrazioni. Non dobbiamo essere di quelli che vogliono la preparazione del ragazzo all’abilità. Vogliamo che questo insegnamento sia libero, poetico, astratto, perché ne godano per una piccola parte di tempo, e ne portino con sé il ricordo per qualche anno.”

Si passa poi a parlare di guerra. Come tutti i socialisti Matteotti è antimilitarista, ma lui è talmente intransigente che propone una rivolta, anche armata, contro la guerra. Lo fa perché parte da un presupposto: “lo Stato borghese fa la guerra per occupare nuovi mercati, il bracciante dalla guerra può avere solo un nuovo padrone, o la morte”. Il bene pubblico non può quindi essere impiegato per qualcosa di connesso alla guerra. Nel 1914 c’è il primo confronto, a distanza, con Mussolini: ciò che sconvolge Matteotti non è tanto il contenuto delle sue dichiarazioni, quanto il cambiamento di fronte, il populismo che soggiace alla volontà di seguire la corrente. Matteotti è, al contrario, uno che non perde mai la sua coerenza, non ritratta mai, neanche se ne paga il conto (come i trenta mesi che sarà costretto a trascorrere in Sicilia per le sue posizioni). Lui fa discorsi “che hanno la precisione del sillogismo”, e questo in ogni suo intervento, anche quelli contro Mussolini, dal 1914 in poi. Per questo sarà scelto lui per il discorso del ‘21, in cui denuncia davanti a Giolitti le violenze dello squadrismo fascista. È all’inizio di quell’anno che lui “li vede arrivare”, che sente nell’aria il cambiamento in atto, a partire dall’alleanza con le camicie nere dei proprietari terrieri, che si oppongono alle conquiste ottenute dai braccianti. La violenza squadrista viene protetta dallo Stato (a partire dai titoli dei giornali, sempre deresponsabilizzante). Dopo il primo lui fa altri quattro discorsi, tutti di gran lunga precedenti alla marcia su Roma. La biografia di Matteotti quindi diventa la biografia della crisi dello Stato liberale e del suo suicidio: la repressione del dissenso è qualcosa di connesso al fascismo fin dalle sue origini; tra il ‘21 e il ‘22 c’è una avanzata progressiva dei fascisti, città dopo città, ma la cosa più sconvolgente è che nessuno faccia nulla. Che la paura di una ipotetica avanzata comunista porti ad accettare la violenza sistemica delle squadre fasciste. Il socialismo, incapace di opporsi, finisce per implodere. “Quella narrata da Zincone è una progressiva arrendevolezza delle istituzioni, che culmina con la Marcia su Roma", osserva Alessandro De Angelis.

De Angelis e Zincone
Foto © Agenzia FotoLive

È nel momento in cui Mussolini sale al potere che Matteotti lo identifica come suo primo nemico, spiega Zincone. Lo fa con una esplicita, e sistematica, campagna di pubblicistica avversa, a partire dall’opuscolo che vuole rendere conto di Un anno di dominazione fascista. A Matteotti iniziano ad arrivare avvisi e minacce più o meno eloquenti. “Io sto per arrivare a decisioni estreme”, dirà esplicitamente Mussolini. Nel ‘24, dopo la legge Acerbo e le ultime elezioni, fa il suo ultimo discorso. L’aula è tutta nera e lui rifiuta di parlare “prudentemente” come gli viene suggerito, chiede piuttosto di poter parlare “parlamentarmente”, perché ha capito che la cosa che conta più di tutto è difendere i diritti civili, e quindi le istituzioni che li rappresentano. “Il Parlamento è l’ultima trincea per la difesa del dissenso, per la difesa della democrazia”, nota Zincone. 

L’incontro si chiude con una riflessione sulle celebrazioni per il centenario, che secondo De Angelis si sono mosse tra una destra che ha deciso per lo più di sorvolare, e una sinistra che “si è accontentata del santino”. Secondo Zincone, sono le istituzioni che avrebbero dovuto occuparsi delle celebrazioni, e le destre hanno perso un’occasione, perché Matteotti era antifascista, ma era anche profondamente contrario al comunismo. 

Da Matteotti. Dieci vite si possono apprendere diverse lezioni, conclude De Angelis: “la prima è un invito alla misura, al rispetto della gravitas che la Storia porta con sé; la seconda è su come si fa politica, e sul ruolo del Parlamento in quanto organo di rappresentanza. Bisogna riscoprire il valore originario del dibattito pubblico, che non ha niente a che vedere con l’infiammare le rispettive curve. Sull’identità del partito dovrebbe prevalere l’interesse per la nazione. L’identità non può essere una trappola, e questo è forse il messaggio più importante del libro di Zincone”.

A cura di Carolina Pernigo

Uso delle immagini per gentile concessione dalla casa editrice