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Da 24 a 35000 immagini al secondo per una tecnologia che conserva sempre meno i nostri ricordi: "24 volte la verità" di Raphaël Meltz

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24 volte la verità raphael meltz

24 volte la verità
di Raphaël Meltz
Prehistorica editore, settembre 2024
 
Traduzione di Alice Laverda
 
pp. 260
€ 18,00 (cartaceo)


Come spiegargli. Come fargli capire. Che non si può scrivere un libro, un romanzo, sul «nonno». Nonno è una parola così lontana dalla letteratura. (p 11) 

Adrien è un giornalista specializzato nel digitale e nelle nuove tecnologie. Attraverso congressi e fiere testimonia, rielabora e serve al mondo di lettori tutte le novità che il settore tech ha da offrire. È nipote di Gabriel che è stato cineoperatore durante una larga fetta del Novecento: ha inquadrato, tagliato e montato gli eventi storici per i primi spettatori di cinema e tv. Adrien non è soddisfatto del suo lavoro e ciò che in realtà lo intriga è poter raccontare la storia del nonno, testimone di alcuni dei maggiori momenti del secolo breve, occhio dietro la macchina e mai protagonista. In un mondo sempre più digitalizzato e dove si interpreta la realtà grazie al filtro dei dispositivi elettronici ci si interroga su cosa resterà di questa infinita mole di informazioni digitali e quale potrebbe essere il destino dell'arte e del cinema: ammesso e non concesso che non sia già tutto morto.

24 volte la verità di Raphael Meltz unisce il racconto familiare e generazionale alla riflessione sulla tecnologia, che appare sempre nuova a chi la sta vivendo; offre spunti interessanti sia dal punto di vista narrativo-strutturale che di riflessione intorno alla memoria collettiva. 
I capitoli, alternati tra il punto di vista di Adrien nel presente e il racconto della vita Gabriel nel corso del Novecento, sono suggestioni, scintille tra la Storia e la storia personale. Seguiamo Gabriel in alcuni eventi minori come quando, per puro caso, assiste ai funerali di Sarah Bernhardt, oppure alla vittoria di Malraux al premio Goncourt, per toccare eventi più noti come la liberazione dei campi di concentramento o la caduta delle Torri Gemelle che Gabriel riprende, ancora a manovella, dalle riprese che vede passare in televisione. Una vita fatta poi di un matrimonio, di un figlio, di un periodo vissuto in Messico e di anni da inventore e imprenditore per nuovi strumenti di ripresa. Nonostante la presenza sulla scena, Gabriel non compare mai, è sempre colui che riprende e mai quello che viene ripreso e, soprattutto, sembra non essere in grado di tenere con sé dei ricordi tangibili di chi davvero gli sta a cuore ovvero il figlio e la sorella Helene, morta per un banale incidente all'età di undici anni. Tramite le riflessioni di Adrien e la sua insoddisfazione per il mondo sempre più tecnologico, ma effimero, in cui viviamo si affermano prepotenti le domande su cosa questa tecnologia possa apportare alle nostre vite e al mondo dell'arte e quando possa davvero essere uno strumento che aiuti la memoria storica e collettiva. 

I personaggi del presente sono intrisi di stanchezza. Antonio, amico di Adrien, sostiene con godardiano pessimismo che il cinema è morto da tempo, addirittura in una data precisa, il 31 settembre 1983 – e se notate già una discrepanza amerete la riflessione che ci sta dietro – a cui si accompagna quella di Albert, altro amico di Adrien, che ragiona allo stesso modo sulla letteratura. Adrien, che è testimone in tempo reale degli avanzamenti tecnologici, non riesce a percepire il senso o il vantaggio di tutto questo progresso.

che palle parafrasare la pagina, fingere di essere il signor so-tutto mentre non sono altro che il signor clicco-dappertutto, voglia di scrivere ad Antonio, di inviargli una mail per ricapitolare tutte le idee che mi sono venute da quando mi ha parlato della morte del cinema al Relais de Belleville, da quando mi ha trasmesso il desiderio di capire perché qualcosa che è stato non è più, perché un'arte viva è diventata un'arte morta, perché una cosa che ha incantato il nostro mondo per così tanto tempo non produce più nessun sortilegio, perché una storia di spettri lascia posto a una storia di sepolture, e soprattutto perché ho così tanto da dire su questi argomenti e così poca voglia di dedicarmi all'articolo per cui verrò pagato (p. 136)

La risposta sta nella disponibilità, nell'eccesso di possibilità di riprendere e fotografare tutto, tranne le cose importanti. Ciò che un tempo era appannaggio solo di addetti ai lavori, ora è alla portata di chiunque. Non c'è più un senso di economia dell'immagine, di selezione dell'utile dal superfluo: possiamo fotografare la caduta delle Torri Gemelle così come il tagliere di formaggi dell'aperitivo senza un reale discrimine. L'infinita mole comporta una perdita di ciò che vorremmo davvero conservare, vuoi perché ne siamo sommersi, vuoi per l'obsolescenza dei dispositivi. L'unico video che Adrien riesce a fare del nonno, finalmente, nel corso di un secolo, oggetto e non soggetto di ripresa, va perduto per via dell'invecchiamento del telefonino di marca -A. Tutte le tecnologie e le grandi aziende nel corso del romanzo vengono identificate solo dall'iniziale, ma sono così connaturate nella nostra quotidianità da essere riconoscibili, come se il nostro cervello completasse in autonomia senza bisogno di ulteriori indizi. 

24 volte la verità è un romanzo pieno di interrogativi, dallo stile che sfiora il flusso di coscienza, e che non cade nei facili qualunquismi della tecnologia che ci sta fagocitando e della nostalgia tutta inventata dei tempi delle Kodak con 24 scatti, che altro non è che la nostalgia della gioventù. È una storia che cerca la definizione di Adrien in quanto Adrien, della sua identità, artistica o meno, e che non offre una risoluzione netta sulla morte o la vita della settimana arte. Invita a viverla, la vita, tenendo con noi, con ogni mezzo possibile, le persone e le figure veramente importanti: 24 fotogrammi dovrebbero essere sufficienti.

Giulia Pretta