in

L'estate versiliese che chiuse per sempre le porte alle illusioni dell'infanzia: "Settembre nero" di Sandro Veronesi

- -


Settembre nero
di Sandro Veronesi
La Nave di Teseo, ottobre 2024

pp. 304
€ 20 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)


[...] l'unico me che conta nella storia che intendo raccontare è un ragazzino di dodici anni che non sa ancora niente di niente. (p. 29) 

Crescere implica di aprire gli occhi su tante realtà, compresa la propria famiglia: e le scoperte possono essere traumi brucianti, da cui è impossibile tornare indietro. Lo sa bene Gigio Bellandi, io narrante del nuovo romanzo di Sandro Veronesi, Settembre nero, a cui è affidata la ricostruzione di un'estate particolare, quella del '72, che ha rimescolato le carte della sua vita e posto fine per sempre ai resti dell'infanzia. Ripercorrere quei giorni adesso, da adulto, per il protagonista non è semplice, perché sono intercorsi anni, esperienze, nuove memorie, e gli eventi passati sono filtrati dalla maturità, che rilegge, suo malgrado, e giudica.

Eppure questo non toglie la freschezza di quei giorni passati a Fiumetto come tante altre estati, con l'ombrellone vicino a quello dei proprietari della casa che i Bellandi affittano ogni anno. In quella prima fila che grida "ricca borghesia", la signora Mesy Raimondi sembra non curarsi degli sguardi affamati e curiosi che tutta la spiaggia rivolge alla sua pelle scura da etiope, mentre sua figlia Astel, bella quanto lei ma ancora acerba, mostra i primi segni di un'adolescenza in boccio. Il signor Raimondi, invece, è praticamente assente e le rare volte che scende in spiaggia è evidentemente a disagio. 

Anche sotto l'ombrellone dei Bellandi si registra qualche cambiamento: il padre, Augusto, è meno presente, benché abbia sempre considerato il suo agosto versiliese un momento di pace assoluta. Quest'anno, preso com'è dal suo lavoro di avvocato in una causa pro bono molto impegnativa, appare di rado col suo entusiasmo contagioso da velista amatoriale, ma in quei giorni la sua presenza si nota: Augusto porta Gigio sulla barca e ostenta tutta la sua sicurezza da "capitano". La madre, invece, sotto l'ombrellone mostra la sua pelle chiarissima e i suoi capelli rossi da irlandese che suscitano tante fantasie, e si affanna a tenere all'ombra la piccola di casa, Gilda, a cui occorre dedicare cure dermatologiche speciali. Gigio, osservando le attenzioni che la madre rivolge a Gilda e la loro complicità, si sente spesso escluso e giusto «l'inglese per me era soltanto un nascondiglio dove potevo rifugiarmi per restare un po' da solo con mia madre» (p. 85). Di certo, prima di quell'estate, non aveva mai riflettuto sul fatto che il suo essere bilingue potesse rappresentare un'attrattiva per gli altri. 

Invece, la scioltezza con cui Gigio traduce canzoni, poesie e altri testi induce Astel ad avvicinarsi a lui - o forse è una scusa?! Sotto il sole della Versilia, tra pomeriggi caldissimi passati nella casa di Astel a scoprire i primi timidi sentimenti e il valore assoluto della contemplazione di chi si ama, Gigio ignora tutto ciò che sta davvero avvenendo: lui è concentrato sulle Olimpiadi, sui quarantacinque giri da far suonare a ripetizione, sulle treccine di Astel,... Se qualche volta Gigio prende atto di come si stia trasformando quell'estate, senza nascondere di tanto in tanto il compiacimento per la sua crescita e la nostalgia dell'infanzia, ancora è all'orizzonte la brusca "sterzata" della storia. E, se rischiamo di perderci nei profumi dell'estate degli anni Settanta, tra dettagli amarcord di malinconica poesia, lasciandoci andare alle digressioni che interrompono il fluire della storia, poi ci pensa il narratore a riportarci sulla retta via: 

E siamo arrivati al punto in cui la storia sterza. Anzi no, ancora non sterza, ma accelera; accelera bruscamente - la qual cosa renderà rovinosa l'uscita di pista quando arriverà la sterzata. Se fin qui vi ho raccontato tutte queste piccole cose non è perché le consideri importanti in sé - so bene che non lo sono -, ma perché vi rendiate conto di chi ero io a quel tempo e di cosa era composta la mia vita, al culmine della mia infanzia, anzi già un poco oltre, a dodici anni, nell'estate del '72; e così facendo, sforzandomi di ricordarle per raccontarle a voi, me ne rendo conto anch'io. (p. 89)

E, di prolessi come questa, se ne trovano tante nel romanzo; qualche volta si ha la sensazione che Veronesi avrebbe potuto lasciar scorrere i ricordi di Gigio senza continui appelli (un po' antimoderni, diciamocelo) ai lettori. Queste irruzioni extradiegetiche sono piuttosto superflue, in effetti, perché Settembre nero per molte pagine è una storia morbida che scorre piacevolmente, grazie a una scrittura scioltissima per cui non si può provare che ammirazione (ma si sa da anni che Veronesi è uno scrittore di grande talento). Allora forse viene da pensare che quei "richiami all'ordine" siano giusto funzionali a ricordarci che c'è altro, che la storia non si esaurisce nella già splendida e autosufficiente (e, di fatto, dominante anche in fatto di numero di pagine) formazione sentimentale di un dodicenne alla scoperta di sé attraverso pensieri e sensazioni nuove. Quell'altra dimensione, di cui si può anticipare pochissimo in una recensione, è assolutamente antinomica rispetto all'assolata Versilia del '72: c'è la presa di coscienza di essere parte di un mondo che non va come vorremmo, dove si consumano atti terroristici terribili e vicende di cronaca nera in grado di turbare i sonni degli adulti. Gigio carpisce tutto questo solo in parte, ma intravvede che anche la quotidianità degli adulti è piena di ombre nere, segreti mai svelati per quieto vivere. E la verità a un certo punto esce dall'ombra, accecando chiunque voglia provare a osservarla.

Settembre nero è, infine, una riflessione sul tempo: se l'infanzia è l'età della ripetizione ciclica delle estati, nella loro rassicurante fissità, l'adolescenza, a partire dal primo trauma, dà avvio a un tempo che parrebbe lineare, ma è pieno però di vuoti e interruzioni. Forse l'unico modo per provare a ricomporre quel sentiero accidentato che porta al disincanto dell'adultità è guardarsi indietro, inspirare a fondo e reimmergersi nella dimensione ora ospitale ora disturbante del ricordo. 

GMGhioni