Certo, lavora tanto, si impegna ma è sempre consapevole della fortuna che ha avuto. È fortunata ad aver incontrato Nick, è fortunata a essere fertile e ad aver messo al mondo i suoi figli. È fortunata a sapere scrivere. È fortunata che nel suo cervello sia spuntata l'idea giusta al momento giusto e ad essere riuscita a scrivere «Ehi, spendacciona!». Bravo, mio caro cervello!, pensa.
Eve Monreau è una scrittrice londinese piuttosto nota. Ha raggiunto il successo con un romanzo chick lit che parla di problemi di acquisto compulsivo, ha calcato il red carpet alla prima del film tratto dalla sua opera; ha un marito affettuoso e cinque figli. Un giorno si sveglia in un letto d'ospedale, una morbida fasciatura a coprirle la fronte, e il marito accanto che le spiega che ha subito un intervento di otto ore per rimuovere una massa dal suo cervello. La diagnosi di glioblastoma porta Eve in una nuova dimensione e in una nuova vita in cui riuscire a disegnare una forma è uno sforzo titanico e in cui deve imparare di nuovo a memoria le canzoni di Natale che, chissà come mai, sono scivolate via dalla sua mente. La prognosi per questo tipo di cancro non è molto incoraggiante, ma proprio lei che è la regina del lieto fine si impegnerà per far sì che la sua storia termini come vuole lei.
Sophie Kinsella, al secolo Madeleine Wickham, è una delle autrici più note e apprezzate del panorama internazionale del genere chick lit. Resa famosissima dalla serie I love shopping che conta ormai dieci capitoli e che racconta le avventure di Becky, giovane londinese con problemi di acquisto compulsivo, Kinsella vive a Londra con il marito e cinque figli. Nel 2009 è uscito il film tratto dal primo capitolo della saga e l'autrice ha calcato il red carpet per la prima. Non serve proseguire perché la notizia del suo glioblastoma è nota da tempo e rende la sua sovrapposizione con Eve totale. Sophie Kinsella, con Cosa si prova, si è avventurata nell'autobiografia romanzata e ha scelto di raccontare la difficile esperienza che ha vissuto e ancora vive in compagnia della diagnosi di cancro al cervello. Come romanziera, ha scelto di esorcizzare e offrire al pubblico i particolari della sua malattia, sempre conditi da quell'ironia e umorismo che, proprio nei momenti più tragici, sono in grado di far ridere tra le lacrime. Arriva a scrivere un decalogo sull'affrontare le sedute di chemioterapia come se fossero un percorso in una spa di lusso: se non ci fosse questo schermo divertente, nemmeno lei riuscirebbe a farcela.
Lo stile, rispetto ai suoi romanzi, è molto diverso: si tratta di capitoli brevi, quasi sprazzi e spezzoni di vita che ripercorrono le fasi della malattia, i messaggi Whatsapp mandati da amici e famiglia, i piccoli ed essenziali passi avanti che riportano Eve/Sophie a una vita simile a quella che aveva prima di ammalarsi. Gli aspetti che emergono sono, anzitutto, lo spaesamento di una scrittrice che si vede colpita nel suo strumento per raccontare il mondo, ovvero le parole che sempre di più le diventano estranee; l'altro è l'equilibrio che il marito, suo caregiver, deve mantenere per affrontare il percorso intrapreso dalla moglie.
Eve, che, al netto di tutto l'impegno che mette, si è sempre considerata super fortunata, si trova a non riconoscere la parola «camicia», a non sapere cosa sia un paraocchi, a vedersi sottrarre quello che è il suo patrimonio e il suo strumento di guadagno: la parola. Gli esercizi che fa in fase riabilitativa lasciano trasparire la rabbia e la frustrazione di fronte alla totale mancanza di controllo sul suo agire. Proprio lei che è abituata a essere demiurgo dei mondi che crea, sempre al comando delle vite dei suoi personaggi e famosa per i suoi lieto fine, questa volta non può esercitare alcun potere e, cosa ancora più fastidiosa, non può avere nessuna anticipazione su quello che sarà il finale perché la prognosi è, nella migliore delle ipotesi, di diciotto mesi.
Dall'altro lato abbiamo il marito, Nick, che, da sempre supporto alla sua carriera artistica, si cala nella parte di caregiver con abnegazione e pazienza. A causa dell'operazione, Eve ha problemi con la memoria a breve termine e, ogni volta, Nick deve rispiegarle cos'ha e osservarla negli occhi quando le annuncia, ancora e ancora, che si tratta di un cancro considerato incurabile. È la memoria degli attacchi di rabbia disperata della moglie che, consapevole di cosa la chemio le farà, gli chiede di tagliarle tutti i capelli per poi non ricordarsi nulla la mattina dopo. Paragonano il suo cancro agli effetti di una serata alcolica tra amiche: decisioni irragionevoli sui capelli e totale blackout la mattina dopo.
Più o meno chiunque di noi sperimenta, almeno una volta nella vita, un forte attaccamento per figure famose o pubbliche, anche se mai le ha conosciute e mai le conoscerà. Può succedere con attori e attrici, cantanti... Per quanto mi riguarda, Sophie Kinsella è sempre stata un'autrice per me importante. Posso razionalizzare, in senso professionale, ammirando il modo intelligente in cui si muove per scrivere romanzi di genere, ma la verità è che ho un attaccamento personale alle sue storie. Mi piacciono, mi rilassano, e sono anche tra i romanzi che rileggo ogni estate. La notizia della sua diagnosi mi ha quindi colpita, così come mi ha colpito Cosa si prova. Anche attraverso il filtro della finzione, la storia di Eve è quella dell'autrice, e dell'autrice sono i dettagli della terapia e del rapporto con la famiglia. È la storia di una persona che cerca di riprendere il controllo della propria vita e scrivere il finale che vuole tramite ciò che conosce, la scrittura. Un guizzo di onestà intellettuale porta a pensare che è un testo che ha più impatto a livello emozionale che non qualitativo, ma la scrittura ha, tra i suoi scopi principali, quello di suscitare emozioni. Cosa si prova ci riesce e dimostra che Sophie Kinsella continua a fare ciò per cui è davvero nota e amata: un bel lieto fine, non perfetto, ma pieno di speranza per il futuro.
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