Arsenico e altri veleni. Una storia letale nel Medioevo.
di Beatrice Del Bo
Il Mulino, 2024
pp. 302
€ 17 (cartaceo)
€ 11,43 (ebook)
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Beatrice Del Bo torna, dopo L’età del lume, a raccontare gli usi e costumi di un’epoca che non finisce di affascinare nemmeno dopo secoli; d’altronde, il Medioevo è forse tra i periodi storici più complessi dell’umanità. Se ne L’età del lume l’autrice si è concentrata su scardinare i preconcetti e i pregiudizi di un’epoca indagata solo attraverso il buio (sia esso materiale o metaforico), questa volta assume un punto di vista tutt’altro che scontato: il veleno. Arsenico e altri veleni non ha lo scopo di mostrare un Medioevo “diverso”, ma quello di compiere un’attenta e puntuale analisi storica e sociale di come il veleno fosse «qualcosa di eccezionalmente ordinario» (p. 10).
Se oggi pensiamo al veleno, sicuramente appariranno, nelle nostre menti, immagini di omicidi, vendette e rancori; scene legate perlopiù all’uso femminile. È proprio da qui che parte questo volume perché, se oggi il veleno è femminile e donna (forse tra i luoghi comuni più diffusi nella Storia), nel Medioevo ne usufruiva l’intera società: dai ricchi fino alle classi più umili. L’arsenico, la belladonna e tutti gli altri veleni facevano parte della quotidianità medievale sia materialmente sia concettualmente, percorrendo trasversalmente tutta la società. Sì, perché questo elemento (naturale o artificiale) aveva una duplice faccia: da una parte è concreto e tangibile e, dall’altra, impregna la mentalità degli uomini medievali tanto da sentire il bisogno di proteggersi con bizzarri preparati o amuleti. L’uso concreto si ritrova in vari mestieri: dal conciapelli ai tintori fino ai famigerati (e leggendari) speziali. Ed è in questi ultimi che il veleno acquista quella potenza simbolica che mantiene ancora oggi. D’altronde, facevano parte della corporazione degli speziali anche Dante e Boccaccio, che sicuramente hanno contribuito alla notorietà di questa figura, e non possiamo non ricordare le descrizioni di Il nome della rosa di Umberto Eco nelle quali il veleno serve da censura e punizione.
Beatrice Del Bo entra all’interno di queste botteghe, facendosi strada tra ampolle, preparati e spezie varie che, nelle dosi giuste, possono diventare mortali. È affascinante immaginare come in queste officine quel che serve da cura (più o meno efficace), dall’altra, «i medicinali e i loro ingredienti possono essere facilmente trasformati, o trasformarsi, in veleni» (p. 27). Lo speziale diventa così una figura ambigua che poteva salvare la vita o toglierla quasi con gli stessi ingredienti, assumendo dunque il ruolo di medico o di “sicario”.
Lo speziale nella società dell’epoca non gode di una buona fama, come tutte le persone che alterano la natura di ciò che Dio ha creato, mescolando e cambiando la sostanza. Egli possiede un bagaglio di saperi e competenze invidiabile, più eterogeneo e complesso rispetto alla maggioranza dei bottegai del suo tempo. (p. 24)
Sicuramente, a prescindere dall’uso e dalle dosi, il veleno è avvertito come una minaccia reale che non è solo artificiale e preparato dagli speziali, ma è presente anche in natura: dalle piante agli animali, gli uomini medievali conoscevano benissimo le minacce che si potevano celare dietro un fiore o un morso. La mandragola, tra quelle più indagate dagli storici, è solo un esempio di come ogni uomo e donna fosse ben consapevole della sua azione mortifera, sebbene in alcuni casi persista sempre la funzione bivalente, come nel caso della belladonna o dell’arsenico. Entrambi, infatti, erano conosciuti sia come veleni sia come cosmetici naturali, soprattutto riguardo all’arsenico che, non solo nel Medioevo, è sfruttato anche «per la cura della pelle del viso, delle mani e del corpo tutto» (p. 61). E gli animali? Dal mondo animale arriva forse lo sguardo più curioso perché la morte, attraverso l’avvelenamento, può sopraggiungere anche da quelli fantastici, come il basilisco, il quale poteva uccidere con il solo sguardo o da un miele a dir poco speciale che bastava annusarlo per essere in pericolo di vita. Non solo il gusto, dunque, ma nella pericolosità di certi elementi naturali e animali sono inclusi tutti e cinque i sensi, i quali, frequentemente, assumono un valore allegorico, tipico di quest’epoca.
Gli artisti [...] sanno disegnare perfettamente; il loro intento, però, non è riprodurre la realtà ma restituirne un’immagine simbolica, riconoscibile universalmente, condivisa e catalogata in determinati schemi conoscitivi [...]. (p. 86)
Arsenico e altri veleni percorre forse uno degli aspetti più invitanti della Storia: quello della vita quotidiana, un aspetto che interessa anche i non addetti ai lavori che troveranno sicuramente qui moltissime curiosità da svelare. Beatrice Del Bo rende fruibile un periodo storico che, altrimenti, incarnerebbe sempre gli stessi contenuti, aprendo percorsi e sollevando numerosi spunti di riflessione, i quali non possono che farmi domandare: conosciamo sul serio il Medioevo? Quello che è certo che Arsenico e altri veleni aggiunge senz’altro un tassello importante alla conoscenza storica e sociale di questo periodo storico; un volume, arricchito da immagini, che fa compiere al lettore un vero viaggio nel tempo.
Giada Marzocchi
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