Avevo appena concluso la lettura di Se mi amassi davvero quando, in maniera fortuita, sono venuta a sapere che, di lì a qualche giorno, Riccardo Bertoldi sarebbe stato nella mia città, Reggio Calabria, per la presentazione del suo nuovo romanzo presso la storica libreria “Ave-Ubik”. Quale migliore occasione per soddisfare tutte quelle curiosità affiorate durante la lettura? Il 23 ottobre decido, dunque, di ritagliarmi un pomeriggio libero dagli impegni lavorativi per dedicarmi esclusivamente al piacere della lettura e della scrittura. Animata dal mio consueto entusiasmo, arrivo alla libreria con largo anticipo, confidando nella possibilità di rivolgere qualche domanda all’autore, pur immaginando che sarebbe stato difficile conoscerlo personalmente e sottrarlo all’attenzione dei giornalisti. Ma così, non è.
Bertoldi arriva poco dopo di me e risponde al mio “Posso disturbarla qualche minuto?” con grande affabilità. Avviata la conversazione, il passaggio dal “lei” al “tu” è un attimo e non è necessario molto tempo per comprendere il perché del suo riscontro positivo con il pubblico: Riccardo è indubbiamente una di quelle persone che, nel suo romanzo, vengono definite “più vita”. Una persona alla mano, sensibile ed empatica, che riesce a comunicare con semplicità e immediatezza, trasmettendo sensazioni positive al suo interlocutore. E quei pochi minuti trascorsi insieme sono significativi per dare risposta a molte delle mie curiosità.
Prima fra tutte: come un uomo abbia
potuto affrontare una storia di
dipendenza affettiva, dal punto di vista femminile, entrando così bene nei
panni della protagonista, Asia. E ancora: quali aspetti della vita di Riccardo
Bertoldi sono confluiti nel suo romanzo? Con grande sincerità, l’autore ammette
di essere un uomo particolarmente sensibile e di condividere con Asia una storia familiare non semplice, si
definisce una persona spesso incapace di pronunciare un “no” e racconta di aver
accettato, in passato, una relazione
tossica pur di colmare un vuoto affettivo. «Del resto», aggiunge, «tutti soffriamo un po’ di dipendenza
affettiva, altrimenti non si avvertirebbe la necessità di stare in coppia. Il
problema è quando la dipendenza si trasforma in qualcosa di patologico…».
La presentazione alla Libreria Ave-Ubik di Reggio Calabria |
Ambientata a Siena, la storia di Asia, una trentenne in carriera con una vita apparentemente realizzata, si delinea, sin dalle prime pagine, come una storia di relazioni, un percorso di formazione che, dalla crisi alla rinascita, si sviluppa anche attraverso quei legami intorno a cui ha ruotato tutta l’esistenza della protagonista. Fra queste, da un lato si collocano le relazioni “vitaminiche”, quelle positive, talvolta persino “salvifiche”, dall’altro quei legami malsani che, a partire dall’infanzia e col passare del tempo, l’hanno portata a perdere di vista la relazione più importante in assoluto, quella con se stessa. Con Se mi amassi davvero ritorna, dunque, come elemento centrale della narrazione, il legame, che ha rappresentato un po’ il Leitmotiv di tutta la produzione di Bertoldi sin dal suo romanzo d’esordio Resti? (Rizzoli, 2019).
La storia prende avvio in medias res e l’attenzione si focalizza subito su uno dei legami più importanti per Asia, quello con il suo compagno Massimo, conosciuto in Vietnam durante una memorabile vacanza con le amiche di sempre; un rapporto apparentemente idilliaco fino a poco tempo prima, ma nel quale sembrano insinuarsi, da un po', dei campanelli d’allarme che preannunciano l’inevitabile crisi: le insicurezze di Asia, il presentimento del tradimento, la graduale sensazione di trovarsi una situazione tossica, la paura dell’abbandono…
«Mi giro su un fianco e osservo il suo viso sereno nel sonno. Come può sembrare così tranquillo, mentre io sono un fiume in piena di dubbi e sospetti? Forse sono solo io. Forse è solo la mia insicurezza che mi fa vedere cose che non esistono. Potrei essere io a farmi dei film, a creare scenari nella mia mente che non hanno alcuna base nella realtà». (p. 12)
Timori forse non
del tutto fondati, ma che trovano radici profonde in un’infanzia, trascorsa a
Castelnovo dell’Abate, segnata dal “peso” di una famiglia disfunzionale: «Vivevo già nella paura di non essere
abbastanza, ma non lo sapevo. Vivevo già nel timore di sentirmi sola, ma non lo
sapevo. Avevo già la tendenza ad amare troppo, ma non lo sapevo». (p. 25).
«Ci sono immagini a cui i miei occhi di bambina si sono abituati: alla figura di mamma seduta sul divano fino a tarda notte ad aspettare che papà rincasi da chissà dove, allo sbattere della porta di camera sua quando si rifugia lì per nascondere le sue lacrime dal mio sguardo, alla stanchezza delle sue mani troppo spesso sole». (p. 33)
Il rapporto di Asia con il suo passato, e la relazione con le figure genitoriali rappresentano, dunque, un altro legame complicato, ma così difficile da “sciogliere” da averla resa una donna non del tutto risolta e, per lungo tempo, inconsapevole delle sue reali necessità.
«A volte mi ricordi tua madre…» (p. 23): ad aprirle gli occhi sarà Nicolò,
che per lei ha sempre rappresentato un porto sicuro, un’amicizia genuina –
dichiaratamente ispirata al film Dawson’s
Creek
- da cui, sin dai tempi
della scuola, Asia ha ricevuto supporto e conforto. Una forma di amore sano,
antitetico al rapporto con Massimo.
«Le sue parole risuonano nell’aria come un’eco mentre
ogni sillaba mi colpisce come un sasso lanciato in un lago» (p. 23). Quella frase, pronunciata dalla
persona che probabilmente, più di tutte, conosceva le sue fragilità e le
sofferenze del passato, rappresenteranno una sorta di risveglio per Asia che ha
«[…] paura di finire come lei. Di
accettare tutto pur di non restare sola» (p. 40). Da questo momento prenderà avvio, infatti, un percorso di salvezza
in cui la “guarigione” sarà rappresentata dalla necessità di riappropriarsi
della relazione più importante, quella basata sull’amore di sé.
Consapevole ormai
dei suoi bisogni, per intraprendere questo viaggio interiore, Asia deciderà di
affidarsi ad uno specialista, uno psicoterapeuta che la aiuterà, in maniera
graduale durante i loro incontri, a riconoscere i segnali della dipendenza
affettiva e a comprendere la differenza fra gli amori sani e quelli malsani: «Ti sei accorta che hai definito dipendenza affettiva
e amore allo stesso modo?» (p. 143).
Sono proprio le
pagine dedicate a queste sedute a rappresentare, a mio parere, il principale
tratto di originalità di Se mi amassi
davvero e a chiarire la definizione di romanzo-terapia
scelta dall’autore stesso, che ha voluto immaginare il suo libro anche come una
“piccola guida per ricominciare” per tutti quei lettori che trovassero analogie
con la vicenda di Asia. E per questo si è affidato al prezioso contributo del
Dottor. Bernardo Paoli, insieme al quale sono stati ideati tutti gli incontri fra
Asia e il suo terapeuta: sono pagine di psicoterapia credibili che, attraverso
la tecnica maieutica, coinvolgono il lettore nel percorso interiore della
protagonista e, nello stesso tempo, trasmettono preziosi insegnamenti per lavorare
su se stessi.
Un’altra scelta
che ho trovato di particolare impatto è stata quella
di evidenziare in grassetto alcune espressioni tipiche dei manipolatori
affettivi, utili per riconoscere eventuali situazioni a rischio: Stai esagerando; Non è successo niente di
grave; Io non farei mai questo a te; La verità è che se mi amassi davvero lo
faresti…
Se mi amassi davvero…: una frase tipica
del codice manipolatorio, ricatto emotivo per eccellenza. Se mi amassi davvero, lo faresti. Se mi amassi davvero, non lo
faresti.
Ma quanto
cambierebbero le cose, ribaltando la prospettiva, se il soggetto della frase
non fosse più un TU, ma diventasse un IO?
Se (IO) mi amassi
davvero…
che
cosa
farei?
È a questo cambiamento di prospettiva che vuole ispirarsi l’autore con il titolo scelto per il proprio romanzo, auspicando la possibilità, per ognuno, di ricollocare al primo posto l’amor proprio. Così come sta apprendendo a fare Asia.
«Perché spesso ci perdiamo nelle narrazioni esterne: amante, amico, genitore, professionista. Ci perdiamo nelle aspettative altrui. Nel ruolo che il mondo si aspetta di vederci interpretare. Ma al di sotto di queste maschere c’è un IO che aspetta di essere ascoltato, compreso e amato. E quando parli con te stessa, quel TE non è un uomo. Sei di nuovo tu. Perché quell’IO e TE è l’amore che ti devi, il rispetto che ti meriti, la gentilezza che ti concedi». (p. 127)
Una guarigione che parte dal ritrovato amore verso sé, dunque, ma che può realizzarsi davvero anche grazie al supporto delle persone “più vita” che ha la fortuna di avere accanto: l’insostituibile Nicolò in primis, ma anche la giovane e spavalda tirocinante Chiara, così diversa da Asia, con i suoi capelli blu e i suoi tatoo sulle braccia, eppure a lei così vicina. E… perché, no? Magari anche grazie all’aiuto di una famiglia che non è ancora del tutto persa e forse potrà essere, in qualche modo, ricostruita, seppur nelle sue imperfezioni.
Ho trovato Se mi amassi davvero una lettura per anime sensibili: un romanzo sincero che, per la delicatezza delle intenzioni, arriva dritto al cuore, consegnandoci un messaggio importante.
La storia di Asia ci insegna, infatti, che non è mai tardi per apprendere la lezione del vero amore e rinascere.
«Ci vuole coraggio per lasciarsi andare. Ce ne vuole di più per tornare indietro ed aggiustare quello che s’è rotto.» (p. 117)
Federica Malara
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