Pedro Páramo
di Juan Rulfo
€ 13,60 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
Facciamo un esperimento: proviamo a chiedere a qualche “lettore forte” (o sedicente tale) di nominarci un esponente letterario del realismo magico ispanoamericano: l’autore più nominato sarà sicuramente García Márquez, forse a pari merito con Borges, poi magari qualcuno nominerà Cortázar e Sepúlveda, forse i più informati arriveranno a João Guimarães Rosa.
Ma non fermiamoci qui, proviamo a chiedere chi sia l’autore considerato il capostipite del realismo magico: qui probabilmente Gabo vincerebbe a mani basse (“eh, Cent’anni di solitudine è il romanzo che bla, bla, bla”).
Ora, non sto cercando di fornire le domande per quei quiz televisivi demenziali del tardo pomeriggio; intendo solo dire che la risposta giusta è difficile da ottenere, perché l’autore cui viene attribuita la paternità del real maravilloso, il realismo magico letterario, ossia il messicano Juan Rulfo, è pressoché sconosciuto nel nostro Paese.
Forse da oggi non sarà più così, grazie al film tratto dal suo romanzo più noto, Pedro Páramo (film appena visto, notevole perlomeno dal punto di vista estetico, comunque superiore alla media delle produzioni Netflix); l’opera, già pubblicata in Italia nel 1960, poi nel 1976 e infine nel 2004, potrebbe vedere un ritorno sugli scaffali delle librerie e una maggior diffusione fra il pubblico, cosa che permetterebbe la rimozione della scomoda etichetta di romanzo “di nicchia”.
Romanzo breve ma criptico e non facile da seguire, in Pedro Páramo ci troviamo ad accompagnare il giovane Juan Precioso verso la cittadina di Comala per incontrare il padre (Pedro Páramo stesso), in seguito alla promessa fatta alla madre morente, che dall’uomo era stata cacciata dopo la nascita di Juan:
«Non chiedergli nulla. Pretendi solo ciò che è nostro. Ciò che era obbligato a darmi e che non mi diede mai… Figlio mio, fagli pagare caro l’oblio in cui ci ha lasciati». (p. 14)
Arrivato a Comala, a Juan viene comunicato che Pedro Páramo è morto da tempo, e il giovane stenta a credere che quell’ammasso di sabbia, sassi e rovine in mezzo al nulla sia lo stesso villaggio dei racconti della madre, che non vi era mai tornata nonostante provasse una nostalgia struggente e che lo descriveva come popoloso, vivace e immerso in una natura rigogliosa:
«Lì c'è, dopo il passo di Los Colimotes, la vista più bella di una pianura verde, e anche gialla per il mais maturo. Da quel luogo si vede Comala, che imbianca la terra, e che durante la notte la illumina.» (p. 14)
Dal momento del suo arrivo, Juan viene a trovarsi in una dimensione disorientante, irreale e incomprensibile: il villaggio è popolato solo dai fantasmi delle persone che avevano vissuto nella Comala di allora, dove nulla accadeva senza l’approvazione e il permesso dell’onnipotente Pedro Páramo, padrone non solo del villaggio ma addirittura delle persone che lo abitavano. E allora ecco che Eduviges, Damiana, Ana, Dorotea e le altre anime perdute trascinano Juan Preciado in un vortice di ricordi, ripercorrendo le vicende di Comala e la vita di Pedro Páramo, uomo potente ma profondamente infelice per la partenza dell’amata Susana, unico amore autentico ma impossibile cui rimarrà legato per tutta la vita e che ritroverà quando sarà troppo tardi.
Destini incrociati in modo indissolubile quelli di Pedro e di Comala: la fine dell’uomo comporterà anche quella dell’intero villaggio:
Don Pedro non parlava. Non usciva dalla sua stanza. Giurò di vendicarsi di Comala.
«Incrocerò le braccia e Comala morirà di fame».
E così fece. (p. 83)
Pagine potentissime, che affrontano temi quali la
solitudine, l’insoddisfazione, il rimpianto; prevale ovunque la
condizione a tratti claustrofobica di chi non ha alternative se non accettare
una realtà di sottomissione e obbedienza al più forte. Se uno dei personaggi
meglio tracciati è il padre Rentería, il parroco del villaggio, uomo devastato
dai sensi di colpa e schiacciato dal senso di impotenza verso lo stato delle
cose, vere protagoniste della storia sono le donne, vittime di un sistema
patriarcale e immutabile fatto di violenze, rapporti incestuosi e
colpevolizzazione. E il peccato, che aleggia su Comala, trascinerà tutti nell’abisso,
nessuno escluso: neanche Juan Preciado potrà uscire indenne da questo viaggio allucinante.
«Questo mondo, che ci stringe da tutti i lati, che sparge manciate della nostra polvere qua e là, facendoci a pezzi come se irrorasse la terra con il nostro sangue. Cosa abbiamo fatto? Perché ci è marcita l’anima?» (p. 63)
Storia angosciante e drammatica, che giustappone un realismo crudo a una dimensione onirica e irreale (il realismo magico, appunto), in Pedro Páramo Rulfo disvela una sensibilità poetica eccezionale, attraverso la quale i personaggi (o meglio, i fantasmi) acquistano profondità e gli argomenti scabrosi assumono toni quasi fiabeschi, senza perdere tuttavia l'importante spessore drammatico. Il romanzo, pubblicato in lingua originale nel 1955, è ambientato intorno agli anni Venti del secolo scorso (ciò si evince da un accenno fugace alla Rivoluzione e alla rivolta dei Cristeros) ed è assurto a opera principale della letteratura messicana contemporanea.
Come scrivevo in apertura, Rulfo è generalmente considerato il padre del realismo magico: frequenti e stretti furono i suoi rapporti di amicizia e collaborazione con García Márquez, che addirittura gli rese omaggio nel 1967 attraverso l’incipit memorabile di Cent’anni di solitudine:
Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio.
Il passaggio del romanzo di Rulfo cui Márquez rendeva omaggio è il seguente:
Il padre Rentería si sarebbe ricordato molti anni più tardi della notte in cui la durezza del suo letto l’aveva tenuto sveglio e poi l’aveva obbligato a uscire. (p. 53)
Breve disclaimer finale: non mi ritengo assolutamente un conoscitore della letteratura “di nicchia”, conosco Rulfo e Pedro Páramo solo grazie alla docente del corso di Letterature ispanoamericane negli anni dell’università, di sicuro la persona che più di chiunque altro, attraverso lezioni indimenticabili, mi ha fatto amare la narrativa di quell’area e mi ha aperto gli occhi su un mondo letterario che non pensavo potesse essere un tale scrigno traboccante di meraviglie. Grazie di cuore, "prof" Perassi, e buona lettura a tutt*.
Stefano Crivelli