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Uno degli autori israeliani più importanti di oggi analizza dieci incipit di romanzi e racconti: un saggio di pura critica letteraria

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La storia comincia così
di Amos Oz
Feltrinelli, ottobre 2024

Traduzione di Elena Loewenthal

pp. 144
€ 17 (cartaceo)
€ 11,99 (e-book)

L'inizio di una storia è quasi sempre un contratto fra chi scrive e chi legge. Certo, i contratti non sono tutti uguali, inclusi quelli che non si rispettano e che non si intende rispettare, che pure si chiamano contratti anche loro. Capita che si sancisca sin dal primo paragrafo un patto segreto fra chi scrive e chi legge, a spese dei personaggi, i quali non si rendono conto che autore e lettori si scambiano sguardi ammiccanti alle loro spalle. È il caso, in una certa misura, dell'inizio del Don Chisciotte, de I fratelli Karamazov e di Appena ieri di S.Y. Agnon. Ci sono anche i contratti capestro, come quando chi scrive rivela a chi legge tutti i segreti che stanno dietro le trame dell'opera e il lettore presuntuoso è capace di cadere nella trappola e figurarsi di essere invitato dietro le quinte, senza rendersi conto che dietro le quinte non c'è nessun dietro le quinte ma soltanto un altro complemento d'arredo [...] così come avviene, ad esempio, all'inizio di Michael Kohlhaas di Kleist, ne Il processo di Kafka e ne L'eletto di Thomas Mann [...] Ci sono poi esordi che sono delle vere e proprie trappole, degli specchietti per le allodole: promettono da subito succosi pettegolezzi, spudorate confessioni, roba da far gelare il sangue nelle vene, ma alla fine ci si ritrova con un pugno di mosche: Moby Dick, al contrario, è pieno di vicende raccapriccianti ma anche di bocconcini d'altro genere che non stavano scritti sul menu e che nessuno aveva promesso nel contratto d'inizio, ma che vengono elargiti come una sorta di bonus. Come quando si compra un ghiacciolo e si vince un viaggio intorno al mondo. (pp. 14-15)

Inizia così anche l'incipit di questo testo di Amos Oz, uno degli autori israeliani più importanti della letteratura contemporanea, che qui fa esattamente quello che promette: pura critica letteraria. La storia comincia così fa riferimento ai dieci incipit che prende in esame, dieci storie che stipulano un contratto col lettore fin dalle prime parole: ma che tipo di contratto? Che differenza di legame si instaura tra scrittore e lettore se si inizia a leggere Nessuno diceva niente di Carver o La Storia di Elsa Morante?

Per chi scrive è risaputo che le primissime pagine di un romanzo sono quelle fatali: se non catturi l'attenzione del lettore in quel momento, è probabile che non lo coinvolgerai più. Eppure, ci sono centinaia e centinaia di esempi di incipit poco eclatanti o esplosivi che però hanno dalla loro parte quella scintilla che spinge a proseguire. D'altra parte, alcuni sono diventati veri e propri must: come non citare l'incipit di Anna Karenina? O l'incipit di Orgoglio e pregiudizio di Austen? E restando in casa, quello de I Promessi sposi di Manzoni o il primissimo verso della Divina Commedia di Dante?

Insomma, volente o nolente, l'incipit è importante. Qui, in questo saggio agile di Oz, ne vengono esaminati e spiegati nel dettaglio dieci, tra cui proprio La Storia di Morante, Il naso di Gogol', Un medico di campagna di Kafka, L'autunno del patriarca di Marquez, Il violino dei Rotschild di Cechov.

Il titolo del racconto di Cechov Il violino dei Rotschild porta il lettore fuori strada per quattro ragioni: il Rotschild della storia non è il famoso benefattore, non è un violinista, il violino non è suo fin quasi alla fine e lui non è nemmeno il protagonista del racconto, solo una comparsa, è un pifferaio da matrimoni, un povero cristo di ebreo. (p. 50)

Ecco, quindi (ci chiede e si chiede Oz) che tipo di contratto si stipula qui tra scrittore e lettore? Un contratto poco onesto che chiarirà i suoi termini solamente più tardi, leggendo fino alla fine. Oz dice «il contratto che si delinea all'inizio del racconto è insidioso per non dire ingannevole, è un contratto pieno di falle» (p. 51) e procede a riportarlo scritto com'è l'originale e alla sua analisi.

La sottile malinconia e lo humour indulgente avrebbero potuto trasformarsi in sentimentalismo se non poggiassero su uno sguardo distaccato, su una osservazione chirurgica, professionale, sulla natura umana e su una distanza misurata e ben calcolata fra i personaggi e la verità che essi ignorano o non riconoscono, mentre il lettore è invitato a vedere ciò che sta fra le righe. Qui, come in altri racconti, Cechov stabilisce un equilibrio precisissimo, come su una bilancia da farmacista, fra il ridicolo e il toccante. Il contratto comprende evidentemente una sorta di "intesa verbale" fra autore e lettore, un tacito accordo. Spesso il lettore deve capire una cosa dal suo opposto. Così è, ad esempio, nelle prime frasi: la lamentela sulla scarsità di decessi in paese, sui "vecchi, i quali morivano così di rado che faceva perfin dispetto" è farina del sacco del narratore, non del suo personaggio - ma, dopo un attimo di stupore, il lettore capisce che questa lagnanza viene dal fabbricante di bare, i cui affari vanno male. (p. 54)

Prendiamo un altro esempio: Un medico di campagna di Kafka (quello che mi è piaciuto di più). Oz ci racconta che c'è qualcosa di inquietante e di macchinoso in quel medico che non ha cavalli per il suo carro, chiamato in una notte di tempesta di neve a visitare un moribondo. Chi è quel tizio che compare all'improvviso? E perché esce fuori dal capanno a quattro zampe? Perché morde in viso la cameriera? E di che rintocco di campana sta parlando se nell'incipit nessuno nomina mai una campana?
Magari noi lettori, leggendo rapidamente, non ci siamo soffermati su questi dettagli, ma Oz sì e ce li sottolinea:

Lo stalliere presenta tratti animaleschi - la prima cosa che fa è mordere Rosa sulla guancia - e il medico-io narrante lo descrive come "simile a un animale" che aggredisce brutalmente la ragazza: "Sento ancora la porta della mia casa che si spacca e va in pezzi sotto l'assalto dello stalliere", un personaggio che di fatto interpreta in questa storia il solito ruolo del demonio nei racconti popolari, che propone un affare innaturale spuntando dal nulla e offrendo al protagonista ciò di cui ha bisogno ma pretendendo per sé qualcosa di molto più essenziale (come nella Storia straordinaria di Peter Schlemihl di Adelbert von Chamisso, pubblicata nel 1814). All'ultimo momento il medico si tira indietro e decide di rifiutare ("Non ho alcuna intenzione di cederti la ragazza come prezzo per il viaggio!"), ma in realtà non ha più scelta: nel momento in cui accetta di usare i cavalli del demonio non può più negargli la ricompensa che gli spetta. (p. 46)

Questi due piccoli esempi per far capire il modo in cui Oz analizza come un chirurgo gli incipit. La sua scrittura precisa ha il pregio di illuminare dettagli che ci sono sfuggiti, spiegazioni che sembrano ovvie ma non lo sono e che restano impresse e incuriosiscono anche se i testi di cui parla non sono familiari. Crea delle associazioni con altri titoli che sono simili.  

Lo trovo un testo molto utile per chi si occupa di critica letteraria, chi lavora nel mondo dell'editoria, soprattutto editor. Può fornire un metodo di ricerca e anche di allenamento per l'occhio critico, per valutare a prima vista un testo o proporre delle modifiche in base a come prosegue, a prescindere che si tratti di un romanzo, di un racconto o un saggio.
L'incipit è importante sempre. 

Deborah D'Addetta