Una vita tra ricatti e decisioni al limite: "Le massaggiatrici", esordio coraggioso di Annalisa D'Alconzo per Revolver


Le massaggiatrici
di Annalisa D'Alconzo
Revolver, 2024

pp. 150
€ 13 (cartaceo)

Di Sofia Luzzu si era scritto parecchio successivamente alla scelta di denunciare il call center in cui, in cambio di una paga mortificante, lei e parecchie colleghe subivano vessazioni costanti e tolleravano persino condizioni igienico sanitarie umilianti. Scemato l'interesse mediatico, prodotto dall'intervento dei sindacati e necessario a prendere atto delle lacune dei luoghi di lavoro più trascurati, la donna era finita a occuparsi della ricca abitazione di un medico che avanzava richieste moleste; in seguito era stata introdotta, da una conoscente, in un centro massaggi: lì doveva garantire prestazioni sessuali. 

Fu un mio conoscente a dirmi che al centro cercavano personale. A dirmi che avevo il fisico adatto. Mi presentai un lunedì mattina, Mi raccomando, mi aveva detto, sistemati come si deve che Maura ci tiene molto alla presenza. (p. 47)

Dopo la partenza della presunta titolare, Sofia aveva preso in gestione il centro. 

Adesso si trova in procura, a causa della soffiata di un paio di colleghe: è accusata di sfruttamento della prostituzione. A difenderla, l'ex amico d'infanzia Mario, ora suo avvocato.

"Finirai dentro." (p. 13)

Le massaggiatrici inizia con una minaccia che somiglia a un presagio, e la vicenda di Sofia Luzzu, alter ego di Annalisa D'Alconzo, che questi fatti li ha scontati addosso, si muove tra oppressioni, ricatti, alibi. La sua diventa la storia di una donna ignorata da un sistema, piantata in asso dall'ex agenzia immobiliare per cui lavorava con profitto, poi chiusa per bancarotta, tradita dalle colleghe di un call center disumano e da quelle di un bordello registrato come centro massaggi, e persino da un padre che la tratta da infame. 

Il secondo mese al call center andò come il primo: stessa busta paga, stesse trattenute. Che ci faccio con centocinquanta euro? chiesi a Lucia. Niente lagne sullo stipendio, mi disse lei. Se io avrei preso una cifra simile al posto tuo sarei felice. Se avessi, dissi io. Avessi cosa? disse lei. Se io avessi preso, non se io avrei preso, specificai. Ah, la signora è studiata, mi disse, alzando la voce. (p. 42)

Disse che la gente nel palazzo e nel quartiere lo guardava male: tua figlia è una spiona, un'infame, lo accusavano. Avevo denunciato uno sfruttamento di povere donne, pensavo io, non commesso un omicidio. Mi aspettavo che tutti fossero dalla mia parte. Invece non era così. (p. 70)   

Sarebbe avventato ridurre una madre con figlia a carico a vittima di un contesto, ma non sbagliamo nel definire Sofia Luzzu come una reazione a una città che ne fa risorsa da sfruttare e la limita a oggetto di piacere, infischiandosene dei suoi diritti e della sua condizione economica e sociale. Più o meno tutti si dimenticano che Sofia è un essere umano. E, come si evince dal suo racconto in prima persona, ripercorso in ordine cronologico nella procura in cui lo espone ai magistrati, ha inseguito un mezzo di sostentamento. Mortificata persino da un medico che ne tenta ogni tipo di abuso e che manipola in cambio di un beneficio economico, la donna mostra una innegabile capacità di adattamento. 

Le massaggiatrici, indigeribile ma appassionante nella sua crudezza, riesce a evitare il patetismo e sollecita a chiederci quanto le azioni di questa donna, che in un preciso momento della sua vita combinava appuntamenti tra ragazze probabilmente minorenni e clienti misconosciuti, siano giustificabili, e a interrogarci, in generale, sul processo che trasforma una vittima in colpevole consapevole. 

Non possiamo certo ignorare le contraddizioni di Sofia ma difficilmente non empatizzeremo con lei, per via forse di una figlia di mezzo, a cui la D'Alconzo dedica poche righe ma calibratissime, facendoci intuire una connessione strettissima. 

Nella durezza del romanzo, infatti l'autrice, al coraggioso esordio, è brava a ritagliare momenti di umanità piena. Se, come anticipato, emerge parecchia della tenerezza tra madre e figlia, incuriosisce il legame imputata/avvocato. Mario è impacciato, a volte impreciso, ma non riesce a nascondere l'affetto verso la sua assistita. I loro dialoghi privati, a volte goffi, avviati nelle brevi pause caffè concesse in procura, delineano ancora meglio non solo le intenzioni della donna, di cui possiamo afferrarne le differenti sfaccettature, ma aiutano meglio anche a comprenderne i passaggi biografici più ambigui. Questi brevi momenti di intima confessione allentano il cinismo dell'interrogatorio e rendono il testo del tutto genuino e realistico. 

Poi si torna alle deposizioni, nella ricostruzione di quanto accaduto negli ultimi mesi alla donna che, con la sua denuncia e le sue azioni, solleva domande complesse su ciò che si arriva a fare pur di sopravvivere. Sta al lettore trovare le sue risposte e scegliere se crederle del tutto o solo in parte, assolverla o condannarla. 

Daniele Scalese