di Alessio Forgione
Giorgino, sopravvissuto a un investimento d'auto, è accolto in una villa isolata da un compositore che sta lavorando a un disco parecchio complesso, rinominato Papà Gattone. Il micio fraternizza con gli altri felini dell'abitazione, tra scoperte e delusioni, sarà maldestro, amerà e sarà amato. Avrà un legame fondamentale con Totorro.
La casa ospiterà anche uno scrittore, che rimanda la consegna un romanzo di cui non sembra soddisfatto e ha interrotto una relazione decennale il giorno della morte del nonno.
Papà Gattone le chiede se non è possibile operarlo e la signora con le siringhe risponde che al novantacinque percento lo apre e Giorgino muore.
"Ed io, allora, non posso far nulla?"
"Sì, amarlo" dice la signora con le siringhe. (p. 12)
Le prime pagine di Anni felini possono prestarsi a un equivoco.
Fanno temere una smaccata parodia dell'ottimo I miei stupidi intenti di Bernardo Zannoni (Sellerio, 2021): anche qui ci sono animali che tramano da esseri umani, che compiono atti crudeli se necessario, feriscono. Però questa sensazione sfuma presto, e il quarto libro di Alessio Forgione è un libro serissimo, multiforme, di gatti e persone che si contagiano, in certi casi si guastano, un po' si migliorano, in una casa che è spazio di esperienze e rivoluzioni. Ecco cos'hanno in comune umani e felini: il cambiamento. Auspicato o inevitabile, a seconda dei casi.
Giorgino e i suoi coinquilini umani non sono uguali. E la differenza si ricava negli atteggiamenti e persino nel modo di comunicare. Forgione sembra affidare al micio e ai suoi simili il linguaggio dello stupefacente, o quantomeno del possibile (un ottimo italiano misto a napoletano).
Quello Nero, per Giorgino, era diventato a tutti gli effetti uno di quei desideri che non occorre realizzare, perché soltanto ad averli ti cambiano la vita e ti fanno vedere le cose come non sono, e cioè più belle. (p. 25)
Gli umani invece parlano e agiscono con arrendevolezza. I gatti prendono fortemente in considerazione il futuro, quello che potrà accadere, temendo le insidie della vita, compresa la morte: è dolce quel loro modo di sincerarsi del fatto che tutti capiscano, ad esempio, come schivare le macchine - nemiche agguerrite - che rischiano di travolgerli e, pur avendo sette vite, s'ingegnano su come conservarle. Gli umani restano sospesi invece nel passato, ci costruiscono un presente fermissimo e vincolato.
L'impronta di Alessio Forgione è evidente, fermissima. E, recuperandone i testi in successione (Napoli Mon Amour, Nne, 2018; Giovanissimi, Nne, 2020; Il nostro meglio, La nave di Teseo, 2021), si scopre una voce autoriale in totale continuità con le precedenti. Ha solo accumulato dolore. Ed è una voce dimessa, franca, che sprofonda talvolta in devastanti passi tormentati, fatti di codici (ne sono esempi: la ragazza dalla pelle trasparente, le anime del purgatorio, la città delle chiese abbandonate), formule, echi di Raffaele La Capria. Potremmo inquadrare Forgione come uno degli scrittori più precisi del nostro presente, perché con ogni scena restituisce quella sensazione di pericolo incombente, di precario, di sciagura: trasmette quindi l'instabilità totale, il terrore del futuro. Seguendo questa linea, Anni felini si trasforma in romanzo verità, quella riguardante chi non sa davvero più che fare della propria vita perché non trova né indicazioni né sostegno e rintraccia la sconfitta inequivocabile in ogni prospettiva.
Il suo personaggio, che fa la sua comparsa a pagina 33, è uno scrittore frustrato ma non perché non venga pubblicato; è al contrario edito da una casa editrice di livello, scrive per un giornale importante, eppure vive in affitto con un coinquilino. Vivacchia nei ricordi perché nel futuro non sembra avere chance. E questo senso di precarietà non può essere ridotto al fatto che sia uno scrittore e basta e, in quanto tale, si senta precario per sempre (anche se sono tanto efficaci i momenti in cui si chiede cosa ne sia dello scrittore quando non scrive).
Mi sto bloccando con il libro. Che forse è pronto ma non riesco a capirlo, e vorrei revisionarlo col calma, perché dopo sicuramente ci sarebbe un andare avanti e indietro per le pagine, revisionare e revisionare ancora, ma quello che davvero mi manca è farlo con la mente sgombra per trenta secondi. (p. 33)
La revisione invece è a Milano, in lettura, e dopo una settimana mi è già chiaro che io o scrivo o non sto facendo nulla. (p. 85)
Il fallimento è anche sentimentale. Forgione riflette come si trovano a riflettere le persone dopo una separazione, costrette a fronteggiare la nuova vita, impararla da capo, con tanti anni in più e una voragine di solitudine attorno.
Perché c'ho pensato così bene, così approfonditamente che potrei fare una lista dei dieci momenti della mia vita e sette sarebbero della ragazza dalla pelle trasparente. Senza di lei non sarebbero esistiti e ora che dovrei fare? Credere che un giorni m'innamorerò ancora? Che lancio l'amo, aspetto e quando m'innamorerò di nuovo e la classifica rimarrà ferma, io la troverò una cosa normale, mi adatterò, perché l'amore che si prova da ragazzi non torna più, d'adulto t'innamori ma senza spargimenti di sangue? Bene. Io non credo a questo tipo di cose. Però è come vivere con una persona che imbraccia un fucile e in casa siete soltanto voi due. (p. 49)
Sulla scia degli altri romanzi, Forgione si concentra su ciò che accade a sé eppure non annoia, non scoccia. E, al contrario degli altri romanzi, compie comunque lo sforzo di valutare, seppur parzialmente, una prospettiva nuova, più ingenua ed elementare, quella di Giorgino, stupendo contraltare dello scrittore, smanioso di esperienze da accumulare, di cose da conoscere e che, in fondo, vive alla giornata. Questo restituisce al testo una dimensione diversa, meno definitiva, più consolatoria.
Daniele Scalese
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