Se già L'acqua del lago non è mai dolce (Bompiani, 2021) era stato un caso editoriale (finalista al premio Strega, vincitore al premio Campiello e oggi tradotto in più di venti Paesi), con Il male che non c'è, Giulia Caminito conferma di essere una scrittrice di spessore, con un chiaro talento narrativo e con una penna capace di costruire storie intense.
Nel libro di cui parliamo questa volta, Loris è un ragazzo di trent'anni che lotta ogni giorno con la sua mente, la quale lo tiene sotto scacco, facendogli ogni volta credere di avere qualche malattia o sindrome di cui si deve occupare subito, immediatamente. A impersonare questa paura c'è una presenza, inquietante ma necessaria alla sua stessa sopravvivenza: Catastrofe, ovvero una visione, un'entità immaginaria - che però a Loris pare concretissima, poiché la vede, le parla, interagisce fisicamente con lei - che dà voce alle sue paure più profonde. Con le sembianze di una ragazza ma con alcuni dettagli fantastici e surreali di volta in volta diversi, a seconda delle circostanze, Catastrofe lo segue, rappresentando ciò che di cui ha paura di parlare agli altri. La discesa verso gli angoli più bui della mente di Loris è minuziosa: Caminito, con una precisione da speleologa ci fa entrare nei meccanismi più angoscianti che muovono Loris e lo fanno cercare tra le mille pagine web l'origine dei suoi dolori.
Il lavoro precario in una casa editrice, una relazione ormai al capolinea con una ragazza ormai troppo diversa da lui e incapace - come potrebbe chiunque altro che non sia lui? - di capire fino in fondo le dinamiche psicologiche che lo governano, sono solo il corollario di una vita tenuta sotto scacco da una paura terrorizzante e profondissima, che Loris cerca di arginare come può.
Si era illuso che restando in quella relazione, rimanendo attaccato a Jo, cercando di non lasciar scorrere via il tempo, lei sarebbe riuscita a guarirlo, le vecchie paure e gli antichi tormenti non sarebbero più riemersi, ne avrebbe fatto per sempre a meno. Poi il quartiere gli era andato stretto, il rapporto col padre era diventato teso, dopo la laurea in Lettere si era messo in testa di voler lavorare in editoria, di voler fare cose coi libri, ed eccolo a ricevere colpi, ghigni e sputi, un giorno sì e l'altro pure. La sua psiche non aveva retto alla prova del diventare adulti, era così evidente da sembrare meraviglioso. (pp. 167-168)
La rabbia verso i medici e il personale sanitario che lo visitano e che gli dicono che i suoi dolori di pancia non nascondono alcuna catastrofe (appunto), nessun male incurabile, ma sono solo sintomo di forte stress, ricordano quella della protagonista de L'acqua del lago non è mai dolce e anche in questo dettaglio è possibile osservare la bravura di Caminito, che riesce a rendere pienamente, in entrambi i libri, la frustrazione e il dolore che - seppur per motivi diversi - i due personaggi provano.
Altri soldi che entrano nelle loro tasche per visite di dieci minuti, altri fermenti lattici, altre diagnosi di ansia, tutti l'ansia abbiamo per loro, tutti agitati siamo, tutti malati immaginari, borbotta Loris tra i denti e li digrigna come se volesse mordere. (p. 82)
Anche l'attenzione verso la materialità dei corpi e le resa della loro concretezza costituiscono un trait d'union con il libro precedente e insieme costituiscono degli elementi ricorrenti che rendono evidente che la penna è quella, che la scrittrice in oggetto ha una sua identità, una fisionomia che rende la sua voce particolare e unica.
Ma come mai Loris è arrivato a questo punto, e come è possibile che nessuno si sia mai accorto di questa sua deriva? Ed ecco che pian piano arrivano i ricordi, l'alternanza tra passato e presente si fa più fitta man mano che si procede nella lettura e ad uno ad uno i tasselli del mosaico della vita di Loris trovano il proprio posto, fino a costruire un quadro completo e definitivo della sua vita. Caminito è bravissima a costruire il racconto, a seminare indizi, lasciare in sospeso dettagli, a rilasciare informazioni che pian piano vengono messe insieme, una dopo l'altra, fino a farci scorgere nel passato di Loris un cammino lungo, doloroso, iniziato già da bambino e passato poi attraverso eventi che hanno rappresentato per lui un trauma.
Quindi, se nella prima parte l'angoscia si fa palpabile, evidente nella ricerca spasmodica di Loris di una causa ai suoi dolori, di un dottore che lo prenda sul serio, che riconosca il suo stare male, nella seconda riusciamo a capire, davvero, cosa sia successo e si fa strada una sentimento nobilissimo, la compassione verso una storia di dolore.
Il modo con cui Caminito riesce a rendere l'angoscia di Loris è davvero efficacissima, poiché riesce a lavorare sulla scrittura - intendendo con questa proprio la sintassi, la scelta del lessico e della punteggiatura, il ritmo - in maniera tale da comunicarci chiaramente la sensazione di urgenza e senso di perdita che vive costantemente Loris, la disperazione fortissima che sente dentro di sé. Il ragazzo ha chiara la consapevolezza di stare male ma non sa come uscirne.
Non c'è nessuno di voi che possa farmi peggio di ciò che mi procuro da solo, vorrebbe dire, ma quella frase la tiene per sé, è calda, è deliziosamente luminosa, gli è venuta alle labbra come una preghiera efficace, capace di risvegliare antiche divinità. Non c'è più neanche spazio per gli assalti altrui, le loro rimostranze, i loro patemi, il corpo è riempito dalle sue personali considerazioni e allucinazioni e spaventi, cosa potranno mai aggiungere da fuori? Un urlo in più, un attacco alle spalle, uno sgambetto improvviso? Io ho tutto il terrore che serve, pensa. (p. 138)
Ci sarà un lieto fine per lui? Durante la lettura ce lo si chiede spesso e talvolta non pare così scontato; quello che possiamo dire, senza ovviamente rivelare alcunché, è che la chiusa è delicata, potenzialmente commovente. La scrittura di Caminito, infatti, ha un'abilità fortissima: riesce a passare da un registro rabbioso, violento, angosciante, a uno più lirico, poetico, delicato e toccante, senza perdere di efficacia. La capacità di costruire una storia densa di significati e rimandi simbolici (certi dettagli paiono quasi di matrice psicanalitica), trova nell'epilogo la sua massima rappresentazione.
Un libro, quindi, potente, doloroso, profondissimo: una nuova prova narrativa del talento di Giulia Caminito.
Valentina Zinnà