“Dovrei dirti di liberare Era. Dovrei dirti: Che senso ha imprigionare una madre che non ti vuole? Ha già la sua pena, ed è tremenda: ti ha perso, senza averti mai avuto. Ma non voglio convincerti di niente, Efesto. Farai ciò che vorrai”. (p. 88)
Quanto è difficile vivere sapendo di essere stati rifiutati?! Parte da qui, dalla lunghissima caduta di Efesto dal cielo, durata nove giorni e nove notti, il nuovo romanzo di Paola Mastrocola, Il dio del fuoco. Come molti di voi ricorderanno con L'amore prima di noi (Einaudi, 2016), l'autrice sa incantare narrando del mito, ma questa volta non si sofferma su singoli miti che vadano a costituire una raccolta di racconti, quanto su un personaggio principale, Efesto. Un personaggio da romanzo, va proprio detto. Lui, dio del fuoco, fabbro e cesellatore di straordinario talento, è generalmente un outsider, se pensiamo alla mitologia e ai racconti dell'Olimpo. Restano memorabili alcune sue imprese, come la capacità di imprigionare sua madre Era o quella di intrappolare sua moglie Afrodite sotto una rete dalle maglie inscalfibili, ma chi era davvero Efesto?
Lo sguardo di Paola Mastrocola va oltre ciò che si vede, ovvero oltre la menomazione fisica che lo porta a camminare a fatica e a sembrare "meno perfetto" di tanti dèi: se è proprio il suo aspetto deforme ad aver fatto inorridire Era, sua madre, al punto da scagliarlo giù dal cielo, sono ben altre le capacità che lo hanno reso caro ad altri, a cominciare da Teti, che si prede cura insieme a Eurinome di quel piccolo sciancato caduto sul fondo dell'oceano. Come verrà ricordato nel corso del romanzo, Efesto ha doti e talenti che non si vedono subito («Hai una perfezione che non si vede, Efesto. È questa la tua forza, sei quel che non appari», p. 118), come invece avviene per altre divinità, ma queste sue capacità non gli bastano per sentirsi completo.
Di lui, Mastrocola evidenzia fin da subito un vuoto, connesso a una ricerca d'amore inesausta: rifiutato da Era, Efesto non sa come superare quel senso di inadeguatezza che porta sempre con sé, e l'amore di Teti e di Eurinome, che lo crescono come se fosse loro figlio, è solo un placebo. Il fuoco e la sua fucina sono le uniche realtà in cui si sente pienamente a suo agio, e il desiderio di perfezionamento continuo da un lato isola ulteriormente Efesto, dall'altro lo rende degno di salire all'Olimpo. E i suoi progressi non conoscono limiti (d'altra parte, Efesto è una divinità), ma lo strappano dalla comunità e gli fanno trascorrere giorni e giorni vicino al fuoco, con inevitabili conseguenze.
Ora aiutato da Prometeo, suo buon amico, ora confortato da Teti, che non viene mai meno alla sua vocazione di madre adottiva, Efesto cerca di farsi strada in quella vita eterna che non annulla di certo il suo scontento; anzi, lo amplifica. Persino la bellezza di Afrodite, che Efesto ottiene in sposa, è una mera allucinazione, tanto affascinante quanto vuota.
E persiste, dunque, quel desiderio insoddisfatto di amore, su cui non si smette di riflettere: «[...] la cosa buffa è che è sempre l'amore che ci incatena, l'amore che vorremmo suscitare o l'amore che abbiamo perso» (p. 108). D'altra parte, non è con le catene né con collane preziosamente cesellate che si ottiene l'amore, ed Efesto lo deve scoprire a sue spese.
Storia mitologica, sì, ma in grado di parlare di sentimenti atavici che ogni uomo e ogni donna può conoscere nel corso della vita, Il dio del fuoco mostra quanto le nostre origini possano forgiarci e quanto alcuni traumi non conoscano fine né reale riscatto. Umano pur nel suo essere divino, Efesto è una figura da scoprire, anche grazie a un approfondimento psicologico che l'autrice aggiunge qui e là, problematizzando la figura del protagonista con rispetto verso il mito ma ribadendo la propria libertà affabulatoria.
GMGhioni
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