Indagini su Hegel
Adelphi, ottobre 2024
pp. 119
€ 12,00 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)
Ogni filosofo ha un "convitato di pietra", un filosofo del passato, con cui disputa tutta la vita. Solo attraverso questo aspro e continuo confronto, diviene egli stesso filosofo. Per Benedetto Croce, indubitabilmente, il "doppio" - secondo una felice espressione usata da Michele Ciliberto nell'introduzione - fu Hegel.
Indagini su Hegel raccoglie due dei più significativi ma anche accessibili testi che Croce dedicò al confronto con la filosofia di Hegel: Una pagina sconosciuta degli ultimi mesi della vita di Hegel ed Hegel e l'origine della dialettica. Il secondo è un articolo filosofico, che pone al centro il cuore teoretico della filosofia hegeliana, la dialettica, mentre il primo costituisce una preziosa 'chicca' da riscoprire: una novella in cui Croce si improvvisa narratore per incontrare il suo doppio. Croce a ottantadue anni decide di scrivere, come dice lui stesso schermandosi, «un ghiribizzo che mi è venuto in una notte di scarso sonno e che ho preso ad attuare al mattino» (p. 11). Entrambi gli scritti sono del 1948, un momento cruciale sia nella vita personale di Benedetto Croce - lo scritto è una sorta di commiato dai suoi lettori e dalla vita - che di quella della cultura italiana, che subiva l'influenza dell'esistenzialismo e del marxismo. Il filosofo sente di dovere fare un bilancio sia della propria vita filosofica che di quella della sua nazione, per trasmettere «la lampada della vita» ad altri.
Questo bilancio lo fa attraverso l'uso di un doppio o, se mi si passa il brutto gioco di parole, del "doppio doppio", perché sono due gli alter ego che Croce mette in campo.
Nella novella, infatti, Croce immagina che un giovane studioso napoletano, Francesco Severino, vada a fare visita a Berlino al vecchio Hegel, per manifestargli la sua infinita gratitudine per i tanti insegnamenti avuti dalle pagine delle sue opere filosofiche, ma anche per muovergli delle rispettose critiche su alcuni punti su cui dissente. Allo stesso tempo, Croce si rispecchia nel "doppio" Francesco Severino, in quanto come lui anche Croce ha mosso il suo cammino di pensiero all'interno del solco tracciato da Hegel, ma allo stesso tempo si rispecchia anche nella senilità di Hegel, giunto oramai al punto in cui affidare il testimone alla generazione ventura, quindi anche Hegel rappresenta per certi versi il suo doppio. La novella è a tutti gli effetti, come ravvisa Ciliberto, un'autobiografia intellettuale, in cui Croce dismesso il tono professorale e la maschera da studioso, parla in modo più confidenziale e intimo.
«E poi» soggiunse «un'altra cosa mi piace nella fisionomia del suo filosofare. Io sento in esso, nonostante la severità e talora aridità didascalica, l'uomo che ha provato le passioni, l'uomo che ha amato e vissuto» (p. 50)
La congenialità tra il giovane Francesco (ma anche il giovane Benedetto) e il filosofo idealista è il fondo mai obliato di vita, di travaglio, di passione che emerge anche nelle sue rarefatte pagine di Logica. La novella ci presenta un Hegel bonario, sorridente davanti ai suoi motti giovanili, che il ragazzo cita a menadito. Si percepisce, anche nella libertà dell'invenzione crociana, che il filosofo che gli sta di fronte non è quello ostico e talora astruso che i liceali incontrano a scuola, ma è una persona da lui "frequentata" per tutta la vita. Al di là della definizione di ghiribizzo estemporaneo, è chiaro che il confronto con Hegel è stato il pensiero di Croce per tutta la vita.
Scritta nel 1948, dicevamo, dopo una lunga guerra e il periodo del Ventennio (per Croce anni di indefessa e mai celata militanza antifascista), il confronto non può che porsi anche sulla tematica dell'azione. Il giovane Francesco Severino si concentra su una delle frasi più famose e controverse di Hegel: «ciò che è reale è razionale e ciò che è razionale è reale».
La verità inoppugnabile di quell'aforismo talora par vacillare in chi sente la presenza ben effettiva e terrificante del male contro cui combatte; e perciò bisogna aggiungere che la dualità di razionale e reale, abolita dal pensiero storico, è posta e sempre ristabilita e tenuta salda dalla coscienza pratica e morale. (p. 56)
L'esperienza della dittatura e della guerra avevano segnato Croce, il quale in un celato corpo a corpo con l'esistenzialismo, non rinuncia a pensare allo scandalo del male e all'urgenza della scelta. Il vecchio Hegel ascolta con attenzione e disponibilità e chiede al giovane di esporre le correzioni che lui apporterebbe al suo sistema. Naturalmente ne viene fuori un compendio della filosofia crociana, il suo concetto di Filosofia della Storia e la critica all'Assoluto hegeliano. La novella si conclude focalizzando l'attenzione su Hegel, che riflette sui dubbi sollevati dal napoletano. Croce non inserisce queste notazioni perché immagina che Hegel si sarebbe turbato per gli appunti crociani al suo sistema, ma perché sta evidentemente attraversando un travaglio analogo:
Ma quando un uomo di pensiero si dice che nel pensiero, nel quale egli riposava come in una verità, si è introdotto un errore, o di ciò gli si suscita sospetto, come si può poi addormentare in lui il pungolo del rimorso e far che egli conviva, senza disamina e senza correzione o confutazione, con quell'errore? Come si può pretendere che se ne rimanga freddo e indifferente verso ciò che è stato il fine della sua vita e di cui sente la responsabilità morale di curare e proteggere l'incontaminata purezza? (pp. 77-78)
Il secondo saggio, Hegel e l'origine della dialettica, in tono più squisitamente filosofico, Croce si confronta con la dialettica hegeliana, il più grande lascito metodologico del filosofo di Stoccarda, e pone al centro del proprio interrogare il concetto di Vitalità. È l'occasione per Benedetto Croce si tornare sul concetto di distinzione, che è la cifra della sua logica e della sua filosofia.
Nel Poscritto, Croce si domanda se questi due scritti servano maggiormente ad interpretare Hegel o invece non siano una esposizione di una sua teoria. E, fino alla fine, Croce ci dà una lezione di ermeneutica e storiografia:
A me sta in mente che i filosofi tutti, se potessero risorgere dalle loro tombe, leverebbero una vivace protesta contro i loro storici, e non senza fondate ragioni. Ma gli storici si difenderebbero col ricordare che il loro ufficio è di tener vive le indagini e discussioni filosofiche per il progresso e ciò non si può ottenere se non col considerare chiuse e definitive le affermazioni che si leggono nei loro testi, e andare oltre di esse. (pp. 96-97)
Deborah Donato