Per me il genere non ha nulla di fisico, ma è del tutto privo di sostanza. È anima, forse, dono, gusto, ambiente, è come uno si sente, luce e ombra, è musica interiore, energia nel passo o uno scambio di sguardi, è molto più vera vita e amore di qualsivoglia combinazione di genitali, ovaie e ormoni. È il fondamento di ognuno, la psiche, il frammento dell’unità. […] Ero nata nel corpo sbagliato, femminile nel genere, ma maschile nel sesso, e avrei potuto raggiungere la completezza solo quando l’uno si fosse adattato all’altro. (pp. 47-49)
Sentirsi nel corpo sbagliato, percepirsi in qualche modo non completi come persona, avvertire che qualcosa manca senza talvolta riuscire a individuare esattamente cosa sono sensazioni che possono manifestarsi in tempi diversi in una persona transgender: James Humphry Morris già alla tenera età di quattro anni, seduta (userò sempre il femminile, come nel memoir) ad ascoltare la madre suonare il pianoforte, si convinse, senza scervellarsi troppo sul perché, che «avrei dovuto essere una bambina». (p. 23)
Pubblicato nel 1974 con il titolo di Conundrum e con la firma di Jan Morris, il suo nuovo nome per il mondo, Enigma è riedito in Italia queste settimane per Astoria edizioni, nella pregevole e delicata traduzione di Lucrezia Giorgi e, a distanza di anni, di passi avanti nella consapevolezza e negli studi sul genere, rimane ancora un libro attualissimo, direi imprenscindibile non solo per chi ama la letteratura lgbtq+ ed è interessato alle sue tematiche. Jan Morris si sottopone a un processo di cambiamento di sesso a quarantacinque anni, dopo aver condotto una vita da “uomo normale”: è stato ufficiale dell’esercito durante la Seconda guerra mondiale, ha scritto per diverse importanti testate giornalistiche, ha fatto numerosi e avventurosi viaggi e… ha sposato una donna da cui ha avuto cinque figli.
Era un matrimonio che non aveva alcuna possibilità di funzionare, eppure ha funzionato da sogno, si potrebbe dire, testimonianza vivente del potere della mente sulla materia, o dell’amore nella sua convenzione più pura su ogni altra cosa. (p. 85)
Elizabeth è stata la donna che ha sposato, colei che ha amato al di sopra di ogni altra cosa al mondo, custode dei suoi segreti più intimi, unica confidente del suo enigma reale, della sua sensazione di lacerazione interiore dovuta a un istinto sessuale che diventava col passare del tempo sempre più femminile. Il matrimonio ha avuto da subito una connotazione aperta, moderna, in cui entrambi i coniugi rispettavano gli spazi e il bisogno di autonomia dell’altro. Alla base di questa relazione non vi è stato sicuramente il sesso: «potevamo definirli a malapena soddisfacenti [i rapporti sessuali, ndr] in quanto io sarei stata perfettamente felice pur privandomene del tutto, essendo le nostre vite piene di altre compensazioni». (pp. 86-87)
Vivere indossando una maschera che con il passare degli anni diventa sempre più pesante è uno dei focus di questo memoir-testimonianza, perché ho trovato molti altri temi altrettanto interessanti che rendono questo libro degno di essere letto, nonostante una visione superata sui ruoli di genere, perché ancora troppo inquinata dal binarismo sessuale che farebbe inorridire qualche attivista del movimento #MeToo, come fa notare Lingiardi nella sua Prefazione. Sto parlando delle pagine in cui James non ancora Jan parla delle sue prime esperienze sessuali, da cui trova un certo appagamento, ma ancora troppo vago, che contribuisce con questa sua indefinitezza ad acuire ancora di più il suo enigma interiore, a rendere sempre più urgente la soluzione a questo senso di mancanza. Non ha atteggiamenti effeminati, nessuno ha mai sospettato del suo dissidio e dei suoi istinti, neppure la famiglia che apprezzava invece la sua spiccata sensibilità verso la musica, l’arte e il bello. La prima parte del libro dedicata alla sua giovinezza contiene riflessioni interessanti sulle qualità virili dei soldati, sul senso di cameratismo e di lealtà che ha sempre apprezzato:
Ho sempre ammirato le virtù militari, il coraggio, lo slancio, la lealtà, l’autodisciplina e inoltre ho sempre apprezzato lo stile del soldato. Le magre silhouette ricurve dei fanti, l’ andatura impettita dei paracadutisti e tutte le implicazioni marziali dalle operazioni di imbarco o delle parate. […] Tra gli ufficiali c’era un forte senso di famiglia. In effetti non era per nulla come essere in un esercito. Nessuno si rivolgeva a un altro chiamandolo Sir. Il colonnello era colonnello Jack o colonnello Tony. Gli altri erano conosciuti col nome di battesimo. La cortesia reciproca non era di natura premeditata, ma una questione di abitudine e di praticità. (pp. 52-54)
Dopo aver lasciato l’esercito, la nostra autrice sostiene di essersi immersa in letture e in ricerche condotte sui casi come il suo, per evitare di sentirsi meno aliena e meno sola nel mondo e per vedere da vicino il suo enigma interiore: ed è così che inizia anche a informarsi sulla lunga e lenta procedura che la porteranno a cambiare definitivamente sesso e unire l’anima femminile a un corpo finalmente femminile.
Le pagine dedicate ai viaggi in Africa, in Egitto e a Venezia e quelle in cui riflette sulla sua scrittura conferiscono ulteriore ricchezza a questo libro così profondo e interessante, che ha il sapore della confidenza intima più spietata, ma condotta sempre con grande delicatezza ed eleganza. Si avverte sin dalle prime battute un animo che, pur muovendosi nella vaghezza e indefinitezza dei primi anni, ha sempre cercato di indagare dentro di sé e vi ha condotto una missione di scavo trovandosi da subito a dover fronteggiare una mancanza che lo rendeva inautentico.
Tutto ciò che desideravo era liberazione, riconciliazione- vivere come me stessa, rivestire il mio di un corpo più adatto e raggiungere, alla fine, l’Identità. (p. 134)
Enigma è un libro che contiene sicuramente la storia di un dramma, soprattutto se si pensa al periodo in cui è vissuta Jan Morris, ma al lettore lascia intrigo, ammirazione e un profondo e confortante senso di fiducia verso la scienza e di empatia verso il genere umano.
Marianna Inserra