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Una narrazione folle e elegante che segue un uomo, Op Oloop, nei suoi mille stati d'incoscienza

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Op Oloop
di Juan Filloy
Ago Edizioni, settembre 2024

Traduzione di Giulia Di Filippo

pp. 356
€ 19 (cartaceo)

Di sopra, la premura invadente del padre e della governante tentavano di salvare un'anima persa nell'oceano dell'affetto.

Di fuori, la ricerca ostinata dell'amico e del poliziotto tentavano di salvare un'anima persa nella vita.

Di sopra, al di fuori della propria coscienza, tra stormi di presagi, l'amore di Franziska.

Di fuori, al di sopra della propria coscienza, tra nebbie mentali, l'amore di Op Oloop (pp. 86-7)

Sono una fan dei libri di Ago Edizioni fin dai primi due testi che hanno pubblicato l'anno scorso, I condannati dell'Escambray di Fuentes e Confessione di mezzanotte di Duhamel. Ho avuto il piacere di leggere anche il terzo, L'attesa del Diavolo di MacLane, e ora quest'ultimo neonato in casa editrice. Juan Filloy, personalità argentina incredibile, è stato scrittore, giudice, arbitro di boxe, nuotatore, ha attraversato tre secoli e distribuiva i suoi libri unicamente agli amici più stretti, fregandosene delle logiche degli editori dediti solo al guadagno. Un personaggio, come possiamo notare, sui generis.

Sui generis è anche questo romanzo, fin dal titolo: Op Oloop. Si tratta di un nome proprio, quasi onomatopeico, che imposta tutta la narrazione su un ritmo peculiare. Il romanzo è, infatti, estremamente musicale, sostenuto, come fosse una melodia. Op Oloop è uno "Statistico" finlandese che vive a Buenos Aires: uomo metodico, puntiglioso fino al parossismo, amante della routine e dei numeri, del calcolo, tanto che imposta tutta la sua esistenza su una serie di regole, liste, discipline ferree e precisissime. Applica questa logica a ogni ambito: il lavoro, la vita sociale, l'amicizia, l'amore. Difatti, dopo una buona metà del libro, apprendiamo che persino con le donne adotta una sorta di «stravagante diario di viaggio, l'unica cosa bella che ho fatto durante la mia carriera» (p. 227), come dirà lui stesso: una lista delle 999 donne con cui ha fatto l'amore, catalogate per caratteristiche fisiche, caratteriali, per stili sessuali, per le sensazioni che gli hanno lasciato. 

«... che amava e dimenticava. Così la mia puntualità eretica si è trasformata in un urgente anelito matematico. Possedevo le donne per possederne un archivio. Da carnale, la "possessione" è diventata statistica. E non so perché, mi sono lasciato affascinare dal vezzo di associare il sesso a un numero che, una volta esaurito il piacere del rapporto, mi procurava un appagamento calcolatore. Ma non voglio annoiarvi con la storia di questo lungo periplo intorno all'amore a pagamento. Sappiate però che ho attraccato a ogni porto sensuale con l'albero di prua sempre fieramente eretto...». (p. 227)

L'ultima, la millesima, in teoria dovrebbe essere Franziska, la sua promessa sposa. E però, come spesso capita alle persone estremamente abitudinarie e metodiche, uno scivolamento della realtà o una macchia nella routine può portare conseguenze disastrose. Succede al nostro Op Oloop: il romanzo si apre con il protagonista che scrive a mano degli inviti per un banchetto, successivamente lo scenario si sposta al bagno turco pubblico della città. Proprio qui comincia il suo degrado mentale: da persona pacata, elegante, composta, Op Oloop diventa paranoico, pazzo nel vero senso della parola. Da questo momento in poi, salvo piccoli sprazzi di lucidità illuminata, lo Statistico attraversa una sorta di sogno, di frantumazione della coscienza e della psiche, e la scrittura di Filloy si adegua perfettamente a questo stato. Il romanzo si svolge in un giorno e una notte, è diviso non in capitoli ma in fasce orarie, a sottolineare lo spirito ordinato e sistematico di Op Oloop. Di ordinato però, dopo le prime pagine, non ha più niente, anzi, più la narrazione procede, più la follia si gonfia.

Ho detto degrado mentale, ma forse sarebbe più corretto dire elevazione: Op Oloop, a tratti, pare quasi ispirato da una divinità invisibile, è in trance, parla e agisce come se si trovasse su un altro piano temporale, tra scontri, dissertazioni filosofiche sull'amore, il matrimonio, lo scopo delle donne, dell'amicizia, deliri e cose senza senso e confessioni indicibili. Buona parte del romanzo viene impiegata per descrivere il banchetto di stile rotariano tra amici organizzato da Op Oloop: una cena che ha dell'assurdo, quasi del surreale. Grazie a queste pagine, ho avuto la netta sensazione di trovarmi in una pellicola di Luis Buñuel, regista d'origine spagnola, a testimonianza della fascinazione che gli artisti di matrice spagnola e sudamericana hanno per il surreale e il realismo magico. Non dico che Op Oloop è un romanzo di genere, ma di sicuro ha del surreale, del magico, o meglio, psicomagico, come nel caso di Jodorowsky.  

Op Oloop si era inabissato nella rêverie. (pg. 114)

Di fatto, come dice l'autore, viene fuori l'animalità di Op Oloop, l'incoscienza, non intesa come "perdita dei sensi", ma esattamente come territorio altro in cui pensare e agire in modi diversi dal "normale". L'elemento sorprendente, tra gli altri, è che Franziska capisce Op Oloop e condivide lo stesso stato di trance. Lo ama ed è a sua volta amata. E però le persone che circondano la coppia - il padre di lei, gli amici di lui - ovviamente non colgono questo legame così peculiare. Si direbbero pazzi, ma pazzi non sono.

Lo stile della scrittura segue l'andamento folle dei pensieri di Op Oloop: ora calmo, ora vorticoso, balbettante, ripetitivo. Come ho detto, è musicale, cadenzato, lo si segue davvero con un certo piacere. Questo non vuol dire sia un testo facile da leggere: come spesso capita quando la narrazione si insinua nel territorio dell'inconscio, le storie diventano fumose, disarticolate. Questo è anche il caso di Op Oloop. 

Ne consiglio la lettura a chi ha amato i testi di Jodorowsky e i film di Luis Buñuel (come Il fascino discreto della borghesia), già citati poc'anzi, oppure a chi apprezza particolarmente la letteratura sudamericana che comprende nomi come Cortázar (su cui Filloy ha avuto una grossa influenza) e Borges, coi suoi labiritenschi racconti. 

Deborah D'Addetta