La riscrittura è sempre stata uno strumento letterario e politico insieme, attraverso cui numerose soggettività marginalizzate, e in particolare le donne, hanno potuto controbattere a un canone letterario ancora troppo maschile. Un capolavoro che salta in mente quando si pensa a questo genere è ovviamente Il grande mar dei Sargassi di Jean Rhys, romanzo del 1966 che racconta la storia di Bertha Mason, la prima moglie del Mr Rochester di Jane Eyre, prima che diventasse la “pazza nell’attico”. Così facendo, un personaggio marginale – in tutti i sensi – può avere risalto, una storia, una rotondità: una voce.
In Julia, Sandra
Newman punta a ciò, ma facendo un’operazione ancora più audace: prende un
classico della letteratura scritto da un uomo con protagonista uomo, e crea una
narrazione parallela. In questo romanzo, riscrittura fedele, quasi scena per scena,
di 1984 di George Orwell, è la prospettiva di Julia Worthing che governa
la narrazione. Veniamo così a conoscere la sua storia, il luogo in cui vive, i
suoi pensieri, e la progressiva scoperta delle sue vere intenzioni e desideri –
una prospettiva che in 1984 non veniva approfondita, e restava
prevalentemente strumentale: un mero simbolo della rinascita rivoluzionaria di Winston
Smith, nonché una vittima collaterale del suo successivo schianto.
La storia d’infanzia
di Julia, cresciuta nella campagna intorno a Londra e trasferitasi nella
capitale, contribuisce a creare un personaggio incredibilmente complesso, e sorprendentemente attuale. Pragmatica,
lucida, concreta, arriva a sembrare molto più reale del Winston Smith di Orwell,
caratterizzato dai suoi slanci rivoluzionari più percepiti che pianificati, più imitati che
profondamente desiderati. E gli fornisce un fondamentale contrappeso: lo scherno
di Julia, la sua irriverenza nei confronti degli uomini della sua vita, dà vita
a un commentario estremamente tagliente sul governo distopico del Grande
Fratello orwelliano. Oltre che, ovviamente, fornirci una versione attenta anche
alle istanze delle donne che si ritrovano a vivere in questa distopia: maternità,
fecondazione in vitro, aborto. C’è uno spessore, in Julia, che fa da àncora alla riflessione di 1984, riportandolo nella contemporaneità come una presenza tangibile, impossibile
da ignorare.
A questo contribuisce anche il finale, in cui Newman va oltre il confine dell'opera orwelliana. Non solo Julia riceve la storia di un passato, ma viene anche dotata di un futuro che si lascia indietro Winston, lo travalica. Nelle ultime pagine del romanzo, che forse narrativamente perdono un po’ dell’impeto che aveva mosso la narrazione nella prima parte, Julia riesce a vedere ciò che Winston si auspicava: la possibilità di rinascita, di resistenza, di un altro mondo possibile. Ma è qui che Newman, sempre con la concretezza che caratterizza la sua opera, si presta a uno slancio più generale, che allarga l’afflato dell’originale e la rende un monito per il nostro presente, e per tutti i totalitarismi possibili.
Julia di Newman è una riscrittura che non solo ci mostra l’altra metà di 1984, ma lo trascina con forza nella contemporaneità. Trascinando con sé anche i suoi lettori.
Marta Olivi
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