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Le mie parole saranno il tuo sudario: "La donna dai piedi nudi", di Scholastique Mukasonga

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La donna dai piedi nudi 
di Scholastique Mukasonga 
Utopia, settembre 2024

 Traduzione di Giuseppe Giovanni Allegri 

 pp. 140 
€ 18 (cartaceo) 
€9,99 (e-book) 


La donna dai piedi nudi è Stefania, la madre dell’autrice e narratrice, che ha camminato tutta la sua vita senza scarpe, sulla terra secca del Ruanda. Il suo unico crimine, come quello di tanti altri, tra cui 37 membri della famiglia dell’autrice trucidati, è stato di nascere di etnia tutsi, e finire nel mirino del genocidio razziale del 1994. 

Scholastique Mukasonga in questo libro parte dalla fine: dallo sterminio di gran parte della sua famiglia, rimasta in Ruanda, nella regione arida del Bugesera dove i tutsi erano stati confinati, mentre lei si trovava all’estero per inseguire salvezza e un futuro di studi. Nel capitolo introduttivo, dà a questo suo libro un sapore programmatico: le parole, la letteratura, serviranno a fare da sudario alla madre, il cui corpo non ha potuto coprire con il pagne che le spettava. 

In realtà, nei capitoli successivi questo libro meraviglioso non parla di morte, se non raramente. I capitoli dal titolo La casa di Stefania, Il sorgo, Medicina, Il pane, Bellezza e matrimoni, Il paese dei racconti e Storie di donne, raccontano la vita e le abitudini della comunità in cui l’autrice è cresciuta, e le differenze tra il prima – con i prodotti di una terra fertile e produttiva, e le comodità della capanna itzu eretta dalla madre di famiglia – e il dopo, in cui la paura scandiva le giornate. Ciò che sorprende il lettore occidentale è la comunione di queste persone – soprattutto le donne, vere protagoniste del libro e del villaggio – con la natura in cui si muovono: la attraversano a piedi nudi, sia quando lavorano nei campi che quando percorrono a piedi chilometri per andare a scuola, la respirano e se ne nutrono, la osservano e interpretano. 

È il caso, commovente, delle “lacrime di luna”, un liquido colloso che scendeva dalle foglie dell’albero di ricino, e che Stefania interpretava come presagi mortiferi: 
Le lacrime della luna andavano prontamente seppellite nella tana di un serpente, là dove venivano seppelliti anche i denti dei figli illegittimi. […] Le lacrime di luna, proprio come i denti dei figli naturali, sparivano così nell’antro del rettile come inghiottite dalle viscere della terra. (p. 25) 
La figura della madre emerge dai ricordi dell’autrice nitida, brillante, nonostante la nube di affetto che la avvolge. La sua scrittura non scivola mai nel patetismo, anche se a tratti arriva a sfiorare una malinconia più che giustificata: per esempio quando la narratrice, bambina, viene nominata prima della sua classe e riceve dalla madre in lacrime i pochi spiccioli per acquistare una pagnotta, premio ambitissimo dai bambini del villaggio. Per il resto, la penna di Mukasonga è tenera, delicata nell’affrontare il ritratto della madre, nel portare alla luce i ricordi di un’infanzia all’insegna dell’amore e delle pazienti cure materne. 
Eliminare le erbacce e i parassiti è un lavoro lento e minuzioso. Richiede molta attenzione ma non grandi sforzi. E permette di chiacchierare, raccontare storie. Ed è così che, mentre sarchiavamo il campo di sorgo, la mamma mi ha insegnato ciò che aveva custodito del Ruanda di un tempo. Purtroppo, i segreti che Stefania mi ha confidato, i segreti che una madre confida solo alla propria figlia, non sono riuscita a tenerli tutti a mente. (p. 41) 
A volte, però, visioni di morte appaiono, vengono dal futuro dell'autrice che sa, e che è sopravvissuta al massacro e all'esaurimento di tutte le speranze: «Ebbero nove figli, di cui sette maschi, per la grande felicità di mia madre. Pensava che almeno qualcuno sarebbe sopravvissuto e avrebbe perpetuato la famiglia. Si sbagliava» (p. 100). 

La donna dai piedi nudi è un libro da leggere, per due motivi. Il primo, per conoscere meglio il genocidio del Ruanda da un'altra prospettiva, quella dell'attesa, delle persone confinate che temevano che ogni giorno fosse l'ultimo, ma allo stesso tempo coltivavano la speranza di sopravvivere all'odio, e si dividevano tra chi si preparava alla fuga, all'espatrio, e chi restava nella terra natia scegliendo il rischio. 
Il secondo, perché con questo libro Mukasonga ci ricorda l'importanza del ricordo: non serve solo a confortare chi resta, ma a portare avanti un discorso di denuncia, di omaggio e rispetto, che permetta di restituire i disastri della Storia per come sono stati, nelle loro ingiustificabili follia e crudeltà. Scholastique Mukasonga è un’autrice affermatissima in Francia, dove ha vinto, tra gli altri, il Prix Renaudot e il Prix Simone de Beauvoir pour la liberté des femme, e ora ha trovato collocazione perfetta, in traduzione italiana, nel catalogo prezioso di Utopia
Attendiamo con curiosità la pubblicazione di altre opere di quest’autrice, che per ora ci sentiamo di consigliare fortemente. 

Michela La Grotteria