Credo che oramai conosciamo tutti la collana dei "Passaggi di dogana" di Perrone Editore. Sono delle piacevolissime guide che ci accompagnano in una città o in un Paese attraverso le vite e le opere di scrittori, autrici, attori, artiste e gruppi musicali che in quei luoghi hanno lasciato un’impronta profonda, e continuano a farlo. Riusciamo così a scoprire angoli nuovi, scorci legati ad aneddoti curiosi, frammenti di vite e piatti lontani da acquolina in bocca che – almeno io – mai riusciremo a replicare e quindi ci troviamo pressoché obbligati a prendere il primo volo. Insomma, ci offrono una cartina geografica diversa dal solito e posture inedite da assumere durante i nostri viaggi.
Bene, A Bologna con Andrea Pazienza è un "passaggio di dogana" un po’ sui generis, meno strutturato come guida turistica e più narrativo; potremmo dire una forma ibrida a metà tra i compagni tradizionali della collana e un romanzo breve, virante sull’autofiction. Lo scopriamo subito, a pagina 9, quando l’autore, Gianluca Morozzi, mette subito le mani avanti con un’ironia che accompagnerà tutte le successive 127 pagine:
Mettiamo subito le mani avanti, così non vi arrabbiate. […] Questo Passaggio di dogana potreste trovarlo, come dire, un po’ più narrativo degli altri. Un romanzo? Un romanzo breve? Un racconto lungo? Fate voi. Ci sono dei dialoghi, degli eventi, dei personaggi che fanno cose e dicono cose. C’è una ragazza dai capelli rossi e gli occhi grigi, c’è il misterioso abitante di una certa casa in via Emilia Ponente, c’è un triangolo scaleno che unisce tre punti diversi di Bologna. (pp. 9-10)
Il libro inizia con una sorte di mise en abyme: l’autore sta accompagnando un gruppo di trenta persone per la Bologna di Andrea Pazienza. Una camminata che si snoda lungo i luoghi raccontati, disegnati, vissuti e amati da Pazienza, uno dei più importanti fumettisti italiani che ci ha lasciato prematuramente a soli 32 anni. Non era nato a Bologna, ma “se un grande artista viene a Bologna in gioventù, produce qui le sue prime opere celebri, ci rimane per almeno dieci anni, per noi diventa bolognese. Viene, come dire, acquisito.” (p. 12). Io, invece, prego di essere stata acquisita anche solo con cinque anni di residenza, un ciclo universitario e un amore che mi strappa le viscere ogni volta che i miei piedi inciampano, di nuovo, per portici meravigliosamente lisci e vagamente sconnessi.
La biografia e le opere di Andrea Pazienza fanno da sfondo a vicissitudini amorose rocambolesche, di cui protagonista principale è una ragazza a volte sgodevole, dai capelli rossi e gli occhi color canna di fucile, in pendant con la vecchia C3 dell’autore. Una relazione che nasce dalla passione in comune per il celebre fumettista adottato da una città grassa e generosa, che ha abbracciato e poi diffuso sfacciati balloons con amore e pazienza. La trama di questo romanzo breve riflette l’anima di Bologna, e la scrittura di Morozzi la definisce con puntuale rigore: (auto)ironica, calda, accogliente, sfacciata, diversa, a volte politicamente scorretta. Ne risulta una lettura molto piacevole, scorrevole e veloce, che sembra concentrarsi nel tempo di una sera d’estate pur svolgendosi in tempi più lunghi.
Il libro è ben riuscito, nonostante lo stile narrativo e la scelta di una forma ibrida un po’ lontana dai tradizionali “passaggi di dogana” focalizzi l’attenzione talvolta più sulla trama, non permettendo di calarsi totalmente nell’anima di Andrea Pazienza (e di conseguenza di Bologna), anche se le sue opere e il suo tono si ricordano, a lettura finita, alla perfezione. Parlo di anima perché mesi fa lessi il fratello più tradizionale, per così dire, di questo libro, A Bologna con Lucio Dalla, e ricordo di aver compreso molto bene l’anima di Dalla e di Bologna attraverso le parole di Giorgio Comaschi. Ma questa percezione può benissimo risultare dal mio già consolidato amore per Dalla che mi accompagna da molti anni (non me ne vorrà, da lassù, Pazienza!). E forse anche la Bologna ripercorsa fianco a fianco con la vita di Dalla mi rimane più familiare. Il rovescio della medaglia, però, è sicuramente un interesse istillato per una Bologna altra, meno conosciuta forse. E dunque, ben venga tutto ciò che di Bologna ancora non conosciamo, perché sempre sarà in grado di meravigliarci.
La grandezza di Pazienza si intuisce tuttavia benissimo – qualora non la si conoscesse già in precedenza come nel mio caso – dall’emozione e dall’amorevole riconoscenza nei suoi confronti che straborda dalle righe scritte dall’autore, in particolare in una pagina che mi è rimasta impressa e di cui riporto qui un frammento:
Ma tu, Mina, te la ricordi la prima volta che hai scoperto qualcosa di così bello da rimescolare tutti gli atomi del tuo corpo e tutti i tuoi neuroni e tutta la tua essenza, tutto quel che sei? […] Te la ricordi la prima volta che hai letto Andrea Pazienza? Io sfogliavo Le straordinarie avventure di Pentothal ed era come un viaggio in un mondo nuovo e sconosciuto, come quando mio nonno mi aveva portato al cinema di domenica mattina a vedere Odissea nello spazio pensando che fosse un film di fantascienza adatto ai bambini come Guerre stellari, e invece mi aveva trascinato tra L’alba dell’uomo, la Porta delle Stelle e l’albergo ai confini dell’universo, così era stato Pentothal: cos’era? Non capivo. Non avevo mai letto nulla di simile, ma non riuscivo a smettere. […] E allora avevo letto tutto quel che avevo trovato, e a ogni vignetta formidabile, a ogni geniale trovata, spalancavo gli occhi e la bocca e pensavo: ma come fa, come gli viene? Che non è un gran commento critico, me ne rendo conto, ma cosa gli vuoi dire più di così? (pp. 105-106)
Aspettatevi Bologna, bar in cui non serve più ordinare, Zanardi e Pentothal, concerti degli Skiantos (oppure no), una scrittura divertente, una piacevole autoironia, (forse) inedite tavole di Pazienza, vecchi spioni truffatori, occhi grigi e – si spera – gomme non squarciate.