Photolux 2024
Il Bel Paese?
Lucca, 23 novembre – 15 dicembre
biglietto intero € 22,00; ridotto € 18,00
Massimo Vitali, Rosignano Fins, 1995 © Massimo Vitali/courtesy l’Artista e Mazzoleni, London - Torino |
A Lucca ritorna, anche se
in una versione ridimensionata rispetto al passato, Photolux, la biennale di
fotografia che, negli anni, è diventata un nostro appuntamento fisso (qui le
cronache delle edizioni precedenti). Il tema di quest’edizione è “Il Bel Paese?”. Dalla citazione
dantesca, ma soprattutto dal punto
interrogativo che la correda, prende l’avvio un percorso tematico che vuole
indagare le contraddizioni dell’Italia,
terra ricca di meraviglie, ma anche di tante problematiche irrisolte o
inaffrontate. Le sedi espositive in questa edizione sono ridotte a tre: le
ampie sale affrescate di Palazzo Ducale; gli spazi più raccolti di Palazzo
Guinigi, e il grande spazio solenne della Chiesa dei Servi.
A inaugurare le mostre, a
Palazzo Ducale, è “Sotto questo sole” di
Massimo Vitali, acuto osservatore dei luoghi
di ritrovo di massa dell’italianità (dalle spiagge, tema privilegiato, alle
discoteche, fino alle manifestazioni di piazza come il Carnevale di Viareggio).
Nei pannelli a grande formato che aprono l’esposizione, così come nella presentazione
dell’archivio analogico dell’artista, si può osservare una rassegna del tempo che passa, e di un’umanità che cambia, sul
fondale il blu dei nostri mari, o le linee di una costa sempre più toccata
dall’umano. Ne deriva una riflessione non didascalica sul rapporto tra naturale e artificiale, su come i corpi mutino insieme
ai paesaggi. E si constata, peraltro, che l’overtourism
è un fenomeno meno recente di quanto non si pensi.
World Press Photo: Alejandro Cegarra, I due muri, © Alejandro Cegarra, New York Times/Bloomberg |
Joakim Kocjancic, nella sala a lui dedicata, assume una diversa
prospettiva, quella del viaggiatore dall’anima inquieta, che lo porta a vedere
nelle città d’Italia attraversate, o abitate, tracce di un’Europa di cui si sente pienamente parte. La dialettica che si crea dunque in questa
prima parte del percorso è tra ciò che
sentiamo tradizionalmente nostro, e ciò invece che stiamo diventando; tra
il locale e il nazionale, o sovranazionale. In questo senso, si inserisce qui
con coerenza la rassegna del World Press
Photo, con le sue immagini di rara potenza, con gli scorci che apre su
mondi lontani, o insospettabilmente vicini, con la denuncia fortissima che leva
rispetto all’importanza di tutelare una
libertà di stampa continuamente osteggiata e minacciata.
Va detto che, se il tema di Photolux 2024 si presta effettivamente a molte
linee di sviluppo, sorprende scoprire che la più battuta dagli artisti ospiti
sia quella concettuale, della riflessione etica, più che quella della
valorizzazione estetica dei contenuti. In alcuni casi, quindi, il messaggio (il
più delle volte presentato e chiarito da un ampio apparato didascalico, e dalla
presenza di QR-code che riportano a
guide o audioguide digitali) prevale sulla sua rappresentazione, facendo
perdere di intensità alla dimensione visiva. Questo appare evidente al secondo
piano di Palazzo Guinigi, con “Verità
nascoste. Eredità visive della storia recente d’Italia”, una mostra
collettiva in cui ciascuno degli artisti ripercorre i luoghi – solo a tratti
fisici – del nostro immaginario condiviso, di un passato su cui si innestano le radici del nostro presente.
L’obiettivo è «tornare sul luogo dove una
vicenda è accaduta, vedere come lo spazio si è trasformato, ricucire i legami
che insistono tra le persone, i territori, le cose». La strage di Ustica,
il disastro ferroviario di Viareggio, l’attentato di via dei Georgofili, la
tragedia del Vajont, il naufragio della Moby Prince… in tutte queste
esposizioni, la dimensione
documentaristica prevale su quella artistica: l’obiettivo è un cammino della memoria, un pungolo
perché ciò che è storia permanga nel quotidiano, si faccia monito per le
generazioni successive.
Anche la mostra di Massimo Mastrorillo, “Omicidio bianco”, si lega a una forte istanza sociale e politica, nel denunciare le morti sul lavoro attraverso lampi di immagini trasversali, evocative, che ricordano le storie di ogni caduto attraverso i passi da lui calcati, gli orizzonti da lui guardati.
Più legate alle realtà del
paesaggio e ai molti modi di scoprirle e valorizzarle sono le esposizioni di Davide Greco, che con “Parcours” esplora e ricostruisce un
percorso ideale nella cittadina di Clermont-de-l’Oise (anche se l’aggancio con
l’italianità attraverso il cartografo Cassini, celebrato a Clermont, appare un
po’ forzato); o ancora di più “Agraterra”
di Michele Martinelli o “Un luogo bello” di Alessandro Mallamaci, che
trasportano lo spettatore tra le asperità e le tradizioni, le radici
linguistiche e culturali, rispettivamente della Corsica e della Calabria.
© GABRIELE CROPPI, ROMA #10 |
© Fondazione Vittorio Sella - CS 772 (Caucaso) Monte Ushba al levare del sole |
Straordinaria è però, soprattutto, la monografica dedicata a Vittorio Sella, e ai suoi scatti dell’arco alpino, realizzati nell’arco di un ventennio alla fine del 1800. La visione a 360° dal Monte Cervino richiede una perizia tecnica inimmaginabile al tempo delle panoramiche degli Smartphone e che pure non manca di sbalordire appena si guardi la data di realizzazione (29 luglio 1882). Anche negli scatti realizzati a bassa quota, nel girovagare di Sella con la famiglia attraverso l’Italia, colpisce la fermezza del suo sguardo, l’originalità con cui ricerca non solo tagli fotografici, ma anche scorci e scenari non convenzionali. E la stessa meraviglia coglie nello scoprire, attraverso i suoi occhi, della spedizione in Caucaso, o di quella in Alaska al seguito del Duca degli Abruzzi; dei suoi tentativi di ascesa del K2, o dell’esplorazione dei Monti della luna, tra Congo, Uganda e Ruanda. La complessità della pratica fotografica in ambienti climaticamente inospitali, e l’esiguità dei materiali che l’esploratore poteva portare con sé conferiscono il massimo valore a ogni scatto, che deve essere attentamente calibrato, e andare a segno. L’apparato didascalico mette giustamente in evidenza «l’etica della sua visione: una grande sicurezza su cosa fosse opportuno fotografare e l’idea che nulla potesse andare sprecato».
La terza e ultima sede
espositiva, la chiesa di S. Maria Annunziata dei Servi, ospita la rassegna celebrativa per i quarant’anni del
Leica Oskar Barnack Award (LOBA)
, a cui sono stati aggiunti i vincitori
degli ultimi tre anni, dal 2021 al 2023. La mostra ospita alcuni dei nomi più
rilevanti nel panorama della fotografia degli ultimi decenni, e certamente di
quelli ospitati a Photolux (come Sebastião Salgado o Gianni Berengo Gardin). Il
percorso espositivo è scenografico, anche in virtù
dell’ambiente in cui è inserito, con le vetrate iridescenti, gli stucchi e i
baldacchini riccamente decorati. Pesa però sull’esperienza – e dispiace – la
totale mancanza di didascalie, che impedisce allo spettatore di
contestualizzare, e quindi comprendere pienamente, quanto osservato. Se è vero
infatti che la forza delle immagini,
specie se colte da grandi artisti, parla di per sé, è altresì vero che in
alcuni casi la profondità del senso
si può cogliere solo attraverso un riferimento storico-culturale. In questo
caso, avrebbe potuto giovare anche solo l’indicazione dell’anno della vittoria
del premio LOBA, che avrebbe consentito una seppur minima operazione di interpretazione
autonoma del visitatore, a partire dalle sue proprie conoscenze pregresse. Non
essendo così, ci si trova quindi a vagare
abbacinati in mezzo a una bellezza che quasi stordisce, tra gli scenari
gelidi e onirici, al limite del fiabesco, di Evgenia Arbugaeva, che
trasfigurano in sogno l’ostilità ambientale, e le vite alla finestra di Julio
Bittencourt; tra la violenza dei corpi riarsi e coperti di petrolio negli
scatti di Salgado dal Kuwait e la sorellanza reclusa ritratta da Ana Marìa
Arévalo Gosen.LOBA 2013: Evgenia Arbugaeva,
"Tanja with her dog on an ice floe"
© Evgenia Arbugaeva - Courtesy of the Ernst
Leitz Museum Wetzlar 2020
Pur avvertendo a tratti la sottile impressione di un’occasione non sfruttata pienamente, come ogni volta Photolux regala al visitatore un fitto repertorio di suggestioni, che possono sollecitare l’approfondimento del cultore, e offrire spunti di lavoro utili a chi lavora in ambiti formativi ed educativi. Resta anche la promessa di un appuntamento futuro, che veda le prossime edizioni tornare agli antichi fasti.
Carolina Pernigo