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Il memoir di Piero Scanziani: una vita in balia della corrente sul vascello bianco dei sogni

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Il fiume dalla foce alla fonte
di Piero Scanziani
Utopia, settembre 2024

pp. 256
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (e-book)


Secondo libro che leggo di Piero Scanziani, grandissimo autore di natali svizzeri, e sono molto felice di ritrovare un personaggio al quale mi ero già affezionata in Libro bianco, Pablo, che altri non è che l'alter ego di Scanziani stesso. In Libro bianco Pablo era morto e si ritrovava in una sorta di limbo cristiano da cui veniva eletto quale difensore dell'umanità. Qui, ne Il fiume dalla fonte alla foce facciamo un passo indietro e troviamo lo stesso Pablo che, rispondendo alle lettere di due cari amici, ripercorre tutta la sua vita dall'infanzia alla vecchiaia. Un vero e proprio memoir quindi in cui l'autore parla di se stesso alla terza persona. Pablo fa, Pablo dice, Pablo ama, Pablo soffre, Pablo sente le voci. Non una, ma ben tre: lo spiega nel romanzo, Pablo sente le voci di tre spiritelli chiusi nel suo animo, tre sfumature del suo carattere, tre specchi, che lo aiutano a prendere decisioni, a calmarsi, a pensare lucidamente, a scacciare gli incubi. Per usare le parole dell'autore, sono entronauti. Hanno un nome - Jacopo, Romano e Siro - e un carattere propri. Vivono su un'isola fluviale e Pablo, addormentandosi, vi ci arriva grazie a un vascello bianco. Tutto nel romanzo sarà all'insegna della simbologia "acquatica": fiumi, mari, oceani, correnti, foci, fonti. Lui, Pablo, di salute cagionevole, appassionato di cani molossi, cerca solo la pace e l'amore. Lo trova in Chiara a settant'anni suonati. Prima, avventure di tutti i tipi e viaggi: Berna, Milano, Roma, Napoli, Capri, l'India, Teheran, la Grecia, poi di nuovo a casa, vicino a un fiume (ecco che ritorna l'acqua).

«Un segno: da qui ci cacciano, da là ci invitano».

«Sì, un segno. Decideremo domattina, per aver consiglio stanotte torno all'isola fluviale. Buon sonno, cara». (p. 111)

Da ragazzo mi dicevo che se avessi potuto scegliere il fiume dove nascere l'avrei voluto grande come la Senna o il Tamigi, il Reno o il Tago e anche più lontano come il Gange o il Mississippi. Invece m'era destinata la Breggia che pur piccola è assai pittoresca, tanto che li Hermann Hesse ha concluso il suo romanzo Die Morgenlandfahrt. La Breggia sgorga da una fonte elvetica per gettarsi presto nell'italico lago di Como. Così dalla nascita mi si offrivano due amori e così fu: per l'Helvetia una profonda gratitudine, per l'Italia un'ammirazione illimitata.  (p. 40)

Una ricerca non solo dell'amore imperituro e immortale, ma anche di Dio. Lo riscopre, Pablo, e lo riabbraccia a trent'anni, dopo averlo tanto rinnegato. Inevitabile forse, per un uomo nato nel 1908 che ha vissuto entrambe le guerre, la povertà, la precarietà, la paura del futuro. Cita spesso altri autori, come se la narrazione fosse una celebrazione di quelle penne che lo hanno aiutato a trovare le parole. Racconta come e dove e perché ha sentito il bisogno di scrivere i suoi romanzi - Libro bianco, Entronauti, Avventure dell'uomo - e racconta delle sue donne, dei suoi amori. Parla ai due amici registrando la voce tramite un microfono, ma anche a noi, lasciando qua e là piccole pillole filosofiche di vita. 

Tutto ciò che tocca il fiume mi pare di buon auspicio (p. 106)

Mi pareva che mi venisse a poco a poco una certa saggezza. Forse (mi dicevo) ognuno vale per quant'è testimone. La virtù? È rimaner spettatore delle proprie voracità, dei propri spaventi: scindersi, osservarli, giudicarli, accettarli o respingerli. L'intelligenza? È divenir testimone dei propri pensieri: staccarsene, osservarli, giudicarli, accettarli o respingerli. Chi si lascia trascinare dalla prima voracità, non ha virtù. Chi si lascia trascinare dalla prima idea, non ha intelligenza. Separarsi, indietreggiare, diventar sempre più spettatore. Se mi spoglio, sono uno sguardo. Nell'anima vi è una più alta coscienza, vi è l'io senza ego, da lì scende la gioia. Se l'ego dispare, Dio appare. (p. 132)

Se in Libro bianco Pablo era confuso, sperduto ed era chiamato a giudicare se stesso e gli uomini tutti, in questo memoir giudica solo se stesso, i suoi amori, i suoi fallimenti, i suoi (a detta sua) pochi successi, tra cui Chiara e il figlio Luca. Le sue premonizioni, le cose inspiegabili, l'importanza delle parole: ciò che è importante in questo testo è lo scorrere della vita, il racconto passo passo del cammino di un uomo, di uno scrittore, che cerca di trovare un senso a ciò che sogna e a ciò che vive.
Un libro pieno di tenerezza, di dolcezza ed empatia.

Deborah D'Addetta