Tutta la vita che resta
Rizzoli, marzo 2024
pp. 400
€ 18,00 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)
«Miriam Bassevi la dimenticanza la cercava in modo ossessivo. Per lei la memoria era una tortura senza sosta. La perseguitava nei momenti di distrazione, le lacerava il sonno con ricordi che ogni giorno si facevano più nitidi, vicini, andando contro il corso naturale delle cose vissute che il tempo di norma sbiadisce».
Miriam ha bisogno di quelle pasticche. Non può più aspettare, i dolori la stanno divorando. Con quel piumino disegnato da sua madre, la nota stilista Emma Bassevi, che «avrebbe foraggiato per un anno uno dei tossici morti di fame» che la circondano, aspetta incerta il suo turno in fila davanti a Leo, uno spacciatore di borgata romana. Vent'anni, un corpo sfinito dall'anoressia e dalla ricerca ossessiva della dimenticanza che cancelli quella memoria che la perseguita, la memoria della vita di prima.
Tutta la vita che resta si snoda in un arco temporale che va dagli anni '50 agli anni '80. Protagonista della prima parte dell'opera, intitolata La vita di prima, è Marisa, la zia di Miriam. Il matrimonio, nato come riparatore con Stelvio Ansaldo, si rivelerà un'unione sincera, basata sul rispetto e sulla stima più che sulla passione, ma che darà vita a un amore solido, fatto di piccoli gesti e complicità nella gestione quotidiana della bottega di famiglia.
I figli della coppia, così profondamente diversi, hanno in comune l'essere cresciuti nella libertà di espressione: Elisabetta, bellissima e disinibita, è un'esplosione di riccioli biondi; Ettore, timido e riservato, troverà nel pianoforte il suo canale di comunicazione fino a diventare concertista.
L'ultimo giorno della vita di prima per gli Ansaldo è il 10 agosto 1980.
La famiglia si trova a Torre Domizia a trascorrere le vacanze. Con loro c'è anche la figlia della sorella di Marisa: «ancora infantile nell'aspetto e nei modi», Miriam è una sedicenne insicura dalla figura esile, così diversa dalla chiassosa cugina coetanea, già fisicamente donna e dalla sfrontatezza coinvolgente.
Quella notte le due cugine si recano di nascosto al falò sul litorale: una bravata che Miriam non vuole inizialmente compiere ma Betta, che era solita presenziare alle feste dei più grandi, non ci mette molto a farle cambiare idea.
Il sole non sorgerà più per Stelvio e Marisa: la mattina seguente la loro figlia viene trovata priva di vita sulla spiaggia e tutto si spezza. Miriam invece è rientrata quella notte ed è ancora sporca di sabbia: nessuno sa che c'era anche lei con Betta e che il male non l'ha risparmiata.
Solo fisicamente è sopravvissuta, ma anche il suo mondo è rotto e non ha più colori.
Nessuno le chiede e Miriam non dice: dare voce a qualcosa significa renderlo reale e tutto quel male decide di lasciarlo lì, nel silenzio, per non farlo esistere.
Sarà proprio Leo a vedere quel dolore nascosto e non si fermerà fino a quando non riuscirà a tirarlo fuori, aprendo così un filo narrativo che assume le tinte di un noir: chi ha ucciso Betta e portato le tenebre nella vita di Miriam?
Forse è solo attraverso la giustizia che la vita che resta da vivere può trovare una continuità con la vita di prima.
Roberta Recchia, classe 1972, dopo aver lavorato fino al 2013 in un'azienda di spedizioni internazionali, oggi insegna lingua inglese in un liceo della periferia romana (e non è un caso che siano proprio i suoi personaggi di borgata a essere i detentori di quella umanità salvifica che stenta a emergere là dove regnano pregiudizi e convenzioni). Scrive da sempre, ma Tutta la vita che resta è il suo romanzo di esordio: attualmente è pubblicato in quindici paesi e ha avuto una risposta entusiastica da parte del pubblico.
In un panorama letterario attuale popolato da saghe familiari e personaggi stereotipati è sempre più arduo restare colpiti da un'opera: un po' come per una ricetta culinaria, sta proprio nell'arte della scrittura saperla rendere unica con i medesimi "ingredienti". Tutta la vita che resta, pur trattando tematiche inflazionate quali la violenza di genere, l'apparenza e il buon costume da difendere a ogni costo, è pieno di immagini che restano; con una prosa priva di fronzoli e mai banale, intervallata da dialoghi spesso colorati dall'impiego del romanesco, Recchia riesce a caratterizzare i personaggi al punto tale da rendere possibile l'immedesimazione del lettore, anche parziale, in ognuno di loro.
In particolare, attraverso il contrasto tra i vari personaggi femminili (tra cui spicca per una caratterizzazione memorabile la madre di Marisa, conservatrice e convenzionale, portatrice di quel segreto che avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi, che decide di non svelare per salvare l'apparenza, perché «per la gente sei quello che appari»), emerge un altro delicato tema: la maternità troppo spesso vissuta come dovere e che niente ha a che fare con l'essere madre anche quando non si è genitrice, essenza che si incarna perfettamente in Corallina, la sorella di Leo.
Il dolore è sicuramente uno dei protagonisti di questo romanzo: quello della perdita di un figlio che dovrebbe «storpiarti il corpo», «deformarti», ma che invece non sempre lascia segni esteriori; quello di impotenza di Stelvio, che non trova gli strumenti per riportare in vita almeno la moglie per la quale senza la figlia «niente contava più. Neppure lui»; quello sordo e silenzioso della solitudine di cui è vittima Miriam.
Ma Tutta la vita che resta è soprattutto un romanzo di speranza che invita ad accogliere l'aiuto di chi ci tende la mano, perché solo così è possibile uscire dal buio e andare incontro a un nuovo senso dell'esistenza.
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