Portami a casa di Sebastian Fitzek è un thriller psicologico che mostra l’abilità narrativa dell’autore tedesco, noto per le sue trame oscure e dense di colpi di scena. Pubblicato in Italia da Fazi, il romanzo affronta la paura e il pericolo in un contesto quotidiano, mantenendo una costante tensione.
La storia segue i personaggi di Jules e Klara, collegati tramite un servizio telefonico di supporto. Klara, segnata da violenza domestica, vive con un marito che abusa di lei in più modi, si ritrova una sera ad utilizzare la linea nata per accompagnare le donne sole, nel tragitto verso casa. Ma è una notte particolare, che presto si trasforma in un incubo; perché Klara sta in realtà scappando da qualcuno che sembra conoscere ogni sua paura. All’altro capo della linea, Jules, che è lì per sostituire un amico, è chiamato a proteggerla, consapevole che le sue parole possono fare la differenza tra la vita e la morte.
Fitzek non si limita a una trama avvincente, ma esplora a fondo la paura, la dipendenza emotiva e la violenza domestica. Mette in evidenza la vulnerabilità delle vittime di abusi e critica le strutture sociali che spesso non riescono a proteggerle. La disperazione di Klara, quindi, diventa uno specchio per riflettere su temi di attualità delicati.
Lo scrittore riesce a creare personaggi realistici e sfaccettati, con emozioni che li rendono autentici per il lettore. Klara, pur essendo fragile, mostra una forza interiore che emerge nei momenti più disperati. Jules è fortemente tormentato dal passato, cerca di redimersi offrendo aiuto a Klara, diventando inaspettatamente la sua unica speranza.
Con uno stile diretto e capitoli brevi, Fitzek mantiene alta la tensione. Le descrizioni sono minime ma efficaci, e la narrazione alternata in prima persona consente una profonda immersione nei pensieri dei protagonisti. L’autore trasmette un senso di claustrofobia psicologica che aumenta l’angoscia e la suspense. Inoltre, il continuo susseguirsi dei colpi di scena rende il libro avvincente, con Fitzek che dosa le rivelazioni al momento giusto. Tuttavia, il ritmo rapido in alcuni momenti può risultare eccessivo per chi preferisce una narrazione più lineare.
Durante la presentazione a Milano di Portami a casa, sono riuscita a porre qualche domanda a Fitzek, con la collaborazione dell’ufficio stampa di Fazi, Cristina Valotta, che ringrazio.
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Lei ha dichiarato che i suoi libri, più che con la morte, hanno a che fare con la vita. Può chiarire meglio questo punto e anche il messaggio che vuole trasmettere?
Penso che un buon thriller racconti sempre più sulla vita che sulla morte, perché la crudeltà o l’acqua fredda in cui viene scaraventato il personaggio principale sono l’eccezione, ma ti fanno lottare, e per qualche ragione vuoi che l’ordine venga ripristinato, vuoi vivere. La domanda è per quale ragione vuoi vivere? Quali sono i tuoi obiettivi nella vita, cosa vuoi ottenere… E la vita diventa sempre più rilevante quando affronti la morte. Quindi forse solo il 10% dei miei libri parla di morte e crudeltà, ma il il 90% racconta della vita che vuoi riavere indietro.
Sulla struttura, basata su diversi punti di vista e molti flashback, il ritmo si mantiene comunque molto alto. Questo da una parte ci induce a continuare e dall’altra accresce la tensione. Può spiegarci anche se in questo intento di spingerci verso il pregresso ci sia un intento di ammonire il lettore ad andare alle cosiddette “radici del male”?
La mia prima attenzione è sempre quella di intrattenere il lettore e di raccontare una storia che non ha mai sentito prima, in un modo che non è mai stato scritto prima, quindi ogni mio libro è diverso. Poi ci sono le domande che mi pongo attraverso i mie libri, che sono rilevanti innanzitutto per me. In questo caso la domanda che era per me importante riguardava il male che è presente in ognuno di noi. Tutti possono diventare cattivi, magari può solo dipendere dalle circostanze, ma non è mia intenzione indagare il male fine a se stesso.
Può dirci anche qualcosa del suo modo di concepire le storie, ad esempio se trae ispirazione da libri, classici o film?
Direi, molto semplicemente che racconto solo storie che vorrei ascoltare e scrivo libri che vorrei leggere. Per l’ispirazione potrei citare tonnellate di libri o film. Naturalmente “Il silenzio degli innocenti” di Thomas Harris o “I soliti sospetti” e “Sesto senso” per citare dei film, ma anche “Fuga da New York” con Kurt Russell… ce ne sono così tanti che non riesco a nominarli tutti.
La sua idea di società contemporanea propende verso una visione ottimistica e salvifica o piuttosto considera che la violenza sia un dato ormai insito nelle persone?
A volte scrivo cose molto crudeli, ma giuro che sono un ottimista e so per certo che il bene esiste e supera il male. Ci sono molte più persone buone che cattive. Ricordo cosa mi disse mia madre, poco dopo l’attentato del’11 settembre: “Guarda cosa sta succedendo, guarda quelli che stanno aiutando. Saranno poche le persone che tengono sotto shock il mondo rispetto alle centinaia, anzi a milioni di persone che si preoccupano di aiutare gli altri, in modo altamente qualificato, come pompieri, poliziotti e sanitari ma anche semplici persone che hanno aperto le loro porte alle vittime, che hanno pregato per loro o fatto qualunque altra cosa per aiutare”. Ci sono sempre più aiutanti nel mondo che criminali e insomma, questa è una bella storia!
Infine un saluto e un consiglio ai lettori italiani sul suo libro (dovrebbero leggerlo per…).
Penso che leggendo i miei libri possano scoprire una nuova esperienza, un po’ diversa dalle altre o da altri thriller letti in precedenza. Anche solo per questo bisognerebbe leggerli, soprattutto "Portami a casa"!
Samantha Viva
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