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Non sei più quella di prima.
Non tornerai mai più quella di prima. (p. 92)
Come si esorcizza un dolore senza raccontarlo? Scomparire per ritrovarsi è una violenza per se stessi, eppure disfarsi del vecchio sé permette di scoprirsi altro, respirare e rinascere. È Violetta Bellocchio, l'autrice di Electra, a lanciarsi in un racconto autobiografico faticoso e con non pochi ostacoli. Un racconto del tutto distintivo nel quale la scrittrice non fa a meno di particolari intensi per svelare un difficile episodio della sua vita da cui è stata letteralmente risucchiata.
Un momento terribile, come quello di una molestia sessuale riaffiora nella mente di Violetta Bellocchio con una serie di flash che l'hanno infine consigliata a raccontarlo e denunciarlo alla polizia. L'aggressione è quella da parte di un uomo, incontrato a piazza Vetra, zona Ticinese in pieno centro di Milano, a causa di un percorso deviato per dei lavori stradali. Un racconto duro, senza eccessivi schermi ma allo stesso tempo venato di autoironia, sincerità e forza emotiva tanto che spesso risulta difficile stare dietro la narrazione. Eppure la stessa Bellocchio ha declinato in un'intervista il suo rapporto con la scrittura, ricordando con divertimento che lei, a differenza di molti autori che sembrano godere nel descrivere il loro percorso professionale come una sorta di Via Crucis, si diverte molto nel buttare su carta le idee che le affollano la mente e narrare gli sviluppi delle stesse. Una passione che del resto le ha permesso non sono di realizzarsi da un punto di vista economico, se pensiamo al precedente lavoro dedicato alla sua dipendenza dall'alcol, ma anche di riscattare una vita ricordata in maniera non molto lusinghiera.
In Electra la violenza dei fatti si è trasformata in parole: prima gridata a due sconosciuti, poi alla polizia, a un centro antiviolenza, agli amici. Infine l'autrice parla a se stessa, ripensando a quanto accaduto e chiedendosi chi potrebbe farle del male e quali nemici potrebbe avere. La mente si contorce in pensieri ossessivi, avvolta da una spirale di dubbi e paure. È una donna conosciuta e bella, lei, ammirabile e desiderata, una di quelle donne che si osservano e si corteggiano da lontano. In quel mondo di sguardi e attenzioni, l'unica via di fuga è la fuga stessa.
Tra il 2019 e il 2020 Violetta Bellocchio si è pian piano disfatta di sé e della sua storia, prima con meno apparizioni in pubblico, poi con l'assenteismo da giornali e riviste, scomparendo lentamente. Fino ad oggi. Ha deciso di tornare con Electra, che è insieme il resoconto di questi anni di silenzio e la testimonianza di una persona sopravvissuta a una violenza sessuale grazie, soprattutto, alla scrittura: un anno di riposo e oblio, in cui l'ibernazione era necessaria per preservarsi e poi salvarsi da sola.
La disintegrazione è l'abbraccio. Apro gli occhi ogni mattina con la canzone triste diventa sinonimo di quanti altri giorni di merda prima di poter tornare alla vita civile quando l'hanno utilizzata come colonna sonora nella pubblicità di un videogioco d'azione dove si spara in terza persona. Quanti altri giorni di questa merda prima di poter tornare alla vita civile. Torno a Milano. Riparto. La disintegrazione è la mia temperatura. (p. 137)
Sotto lo pseudonimo di Barbara Genova, Violetta Bellocchio comincia a dedicarsi alla poesia in inglese, a riscrivere per riviste e giornali, sciogliendosi del tutto tra un lockdown e un altro, in giro con la faccia coperta e con addosso la sensazione che finalmente si poteva ripartire tutti da una sostanziale parità. Fino ad allora esisteva l'etichetta "sei qui perché facciamo un favore alla tua famiglia" (è nipote del regista Marco Bellocchio e figlia di Lella Ravasi, famosa psicoanalista, ndr). Poi Barbara - o Violetta? - si è permessa molto. Quando hai "un nome", finché le cose vanno bene sono tutti lì, quando vanno male hai il vuoto intorno. È straordinario cosa si può ottenere quando si smette di avere un corpo, conosciuto, studiato, giudicato, ed essere invece tutt'uno con il lavoro che si è sempre desiderato.
Electra non si concentra solo sull'aggressione in sé, ma su come è stato affrontare la burocrazia, l'ospedale, le emozioni contrastanti che ne sono derivate. Il trauma non finisce mai con l'evento, ma continua a vivere nei dettagli, nei ricordi, nelle parole che si scelgono per raccontarlo e a volte, la scrittura può essere lo strumento di benessere.
È raccontandosi a sé, non agli altri, che l'autrice si riconcilia. Perché allora la necessità di coinvolgerli? E soprattutto come le riesce? Quello che Bellocchio fa è forgiare un'identità mettendo in pubblico, senza filtri, senza committenza e senza negoziazione, una singolarità che non ha alcuna autorizzazione a parlare, nemmeno quella della propria esperienza vera o presunta. L'evento è il fatto stesso che lei parli. La fuga, la dissolvenza e l'avvento di Barbara sono stati modi per riappropriarsi di sé: dare fuoco a tutto e reimpararlo. Barbara permette all'autrice di essere irreperibile, di vivere a porte chiuse, ma è stata anche il ponte verso la Violetta di oggi, il trauma non ti definisce ma certo, ti cambia.
«Se domani sono io, mamma, se non torno domani, distruggi tutto.Se domani tocca a me, voglio essere l'ultima» di Cristina Torre Càceres