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Il romanzo di formazione autobiografico di André Aciman: dalla cacciata dall'Egitto a New York, passando per la capitale

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Un'educazione sentimentale
di André Aciman
Guanda, ottobre 2024

Traduzione di Valeria Bastia

pp. 384
€ 19 (cartaceo)
€ 11,99 (e-book)

La famiglia Cohène (rigorosamente con l'accento, a proclamarne la fittizia discendenza francese) faceva ogni cosa a modo suo. Non vedevano il motivo di adeguarsi a ciò che veniva spacciato per la tendenza del momento. Era il mondo a doversi piegare ai loro standard - come aveva sempre fatto.

Quegli standard, tuttavia, non erano solo datati, erano estinti. Loro si rifiutavano di accettarlo e continuavano a prediligere la cortesia ma di rado la sincerità, il buon gusto ma non l'integrità morale, sempre pronti a giudicare le persone più per come reggevano coltello e forchetta che per quello che facevano o dicevano. Tutto decisamente d'altri tempi. (p. 13)

Torna in libreria, dopo il clamoroso successo di Chiamami col tuo nome, lo scrittore egiziano naturalizzato statunitense André Aciman, con una storia che riprende le tematiche già affrontate nel romanzo fortunato che aveva per protagonisti Elio e Oliver e che però aggiunge alla narrazione un bel ventaglio di esperienze autobiografiche. 

Si tratta di un vero e proprio romanzo di formazione, nel senso canonico del termine: André - lo stesso autore e narratore - ripercorre la sua infanzia da esule, cacciato insieme alla famiglia dall'Egitto e approdato a Roma, una città che non riconosce, che non sente come casa, che odia persino. I genitori, che si erano stabiliti ad Alessandria d'Egitto, sono ebrei sefarditi, molto ricchi, abituati all'agio, ma in quegli anni (siamo negli anni '60) il clima nel Paese diventa rovente a causa dell'ostilità del presidente Nasser verso gli ebrei. Dunque che altro fare, se non abbandonare tutto e partire?

Non saranno per niente facili i primi periodi: ci sono da ricalibrare esistenze intere, la sua, quella della madre sorda, quella del fratello piccolo, che pare cavarsela molto meglio di lui. A contorno, familiari farseschi, zii avari ma ricchissimi, scuole prestigiose, cene e pranzi a volte miseri, altre luculliani. 
In questi particolari mi ha molto ricordato narrazioni simili, di famiglie partite e mai tornate, come I miei giorni a Parigi di Banine e La casa sul Nilo di Denise Pardo: si intreccia la nostalgia per lo sfarzo perduto e la costrizione all'adattamento in un luogo che si sente ostile e con cui si fa difficoltà a familiarizzare.

In effetti, chiunque sposasse un membro della famiglia Cohène trovava nella morte la perfetta via d'uscita da un matrimonio in cui ciò che si spacciava per amore durava al massimo un paio di serate simboliche, non un secondo di più. (p. 19)

André, nonostante i propositi incoraggianti di mamma e fratello, tuttavia, è fatto di un'altra pasta:

Una cosa l'avevamo in comune: il rettile che viveva dentro di noi. Eravamo entrambi animali dal sangue freddo. Furono gli altri, come mia madre o mio fratello, a insegnarci cosa dicevano, facevano e sentivano le persone dal sangue caldo, altrimenti da soli non ci saremmo mai arrivati. Imparammo a imitarli. Non appartenevamo a questo pianeta, alla sua gente, al suo tempo, ai suoi ritmi brutali. Eravamo alieni tra i terrestri, ed era questo ad avvicinarmi tanto a Flora. (p. 56)

Ci sono poi le pulsioni del corpo adolescenziale (e qui l'autore si avvicina per tematiche e stile a Chiamami col tuo nome), lo struggente sentimento di mancanza per la sua città di nascita, Alessandria, ma anche i desideri nei confronti di New York (dove sogna di scappare), le fantasticherie su Parigi e il rapporto d'amore e odio con Roma: sì, perché se dapprima André non accetta la sua nuova vita nella capitale, piano piano la città saprà fargli cambiare idea, a partire da via Clelia (e, d'altra parte, chi è che odia Roma per sempre?).

Alcuni capitoli sembrano un'unica frase di più pagine, che si attorciglia e gira e svirgola in modi labirintici, con una punteggiatura quasi orgasmica - frasi che si ripetono in stretta successione, citazioni dirette di altri suoi libri, le stesse idee modellate e rimodellate -, il loro significato pressato e piegato in modo da costruire una sua poetica riconoscibile, e davvero la si riconosce: nella sua mielosità, nel suo spiccato romanticismo (a volte troppo mieloso e troppo romantico, per i miei gusti) si torna sempre al punto di partenza, e cioè a Call me by your name, come se l'autore stesso fosse vittima di quel romanzo fortunatissimo e qualsiasi cosa scriva successivamente ne debba essere per forza influenzata.

Aciman tenta continuamente di racchiudere il significato della vita in qualche frase magica che possa in qualche modo dire tutto, ma non riesce mai a riassumere l'inarticolata verità del vivere. Le pagine sono dense e anche ben scritte, ma questo dettaglio spegne un po' di poesia. 

Probabilmente più che una storia di crescita è una storia sull'attesa, sull'indecisione: André ragazzo, adolescente, che non sceglie quasi mai per sé ma attende, appunto, che siano gli altri a decidere. Se posso osare, un Elio più debole, sia come personaggio che come narratore.

Lo consiglio ovviamente a chi ama la poetica dell'autore, soprattutto se si viene dalla lettura di Ultima notte ad Alessandria. Se invece non amate le narrazioni sdolcinate o siete stanchi dell'autofiction sulla storia della sua famiglia, non fa per voi.

Deborah D'Addetta