Sylvia
di Leonard
Michaels
Adelphi,
ottobre 2024
pp. 129
€ 12,00
(cartaceo)
€ 6,99
(ebook)
Mi sentii allegramente irresponsabile. Ogni giorno, immaginai, in tutta l’America innumerevoli uomini e donne si facevano a pezzi. Fantastico. Era normale. (p. 54)
Il romanzo
breve Sylvia è stato scritto nel 1992 e nasce come racconto
autobiografico della relazione fra l’autore e la sua prima moglie, Sylvia
Bloch, durata quattro anni circa e conclusasi con il suicidio di lei nel 1965.
L’incipit del romanzo vede il ritorno a New York di Michaels «nel 1960, dopo
due anni di corsi postuniversitari a Berkeley» (p. 11). Il protagonista/autore
ha ventisette anni, tutto un mondo adulto davanti a sé – vuole fare lo
scrittore ma finora ha scritto ben poco – e nel giro di poco tempo – e poche
pagine – incontra Sylvia e se ne innamora. La loro storia
comincia «senza un inizio» (p. 19): si conoscono tramite amici comuni, escono a passeggiare insieme
a loro, tornano nell'appartamento di lei e fanno l’amore.
Da questo momento – da un atto che segna un inizio che ha già il sapore di una fine – incomincia l’incubo a occhi aperti che Michaels descrive per intero, senza tralasciarne il minimo particolare. Come capita in molte coppie giovani, i primi mesi sono un susseguirsi di passione, sesso e furiose discussioni, ma ben presto il lettore comprende che è tutto troppo iperbolico, quasi incendiario. Sin dalle prime pagine, Sylvia si rivela umorale, gelosa, bisognosa di attenzioni, ma soprattutto sospettosa e maniaca del controllo. I giorni diventano mesi vissuti in reclusione nella casa di MacDougal Street, dove la coppia vive in una sorta di reclusione volontaria, isolata dagli amici – da tutte quelle coppie che vivono relazioni a volte infelici ma comunque non malsane –, e dove Leonard è sempre in bilico fra il desiderio di lasciare Sylvia e la paura di perderla.
Quella che conosciamo è solo la versione dell’autore. Il testo, autobiografico, è stato scritto dopo la tragica conclusione della relazione e pubblicato a distanza di quasi trent'anni. È stato sicuramente rielaborato, in tutti questi anni, guardando indietro, aggiungendo considerazioni, tasselli mancanti, con la freddezza che solo le situazioni chiuse possono fornire. In alcune parti il romanzo assume una forma quasi diaristica ed è innegabile che racconti il tutto da una sola prospettiva: quella dell’individuo manipolato, controllato, insomma il lato debole della coppia. A leggere Sylvia la sensazione principale è un senso di claustrofobia costante, che accompagna le giornate e i pensieri del Leonard protagonista, il quale si ritrova sempre più imprigionato nella tela di ragno che Sylvia – il personaggio di finzione e quello reale, che coincidono – intesse con una costanza inossidabile. Chiunque si sia ritrovato in una relazione tossica entra subito in sintonia con il testo: anche spostando il calendario indietro di qualche decennio è infatti impossibile non notare determinati comportamenti, le domande tendenziose, i ricatti morali, il sentirsi senza una via d’uscita da qualcosa che dovrebbe essere fonte di felicità e invece è solo causa di un malessere continuo. Sarebbe però stato interessante – in una linea temporale alternativa – conoscere il resto della storia, ossia la realtà quotidiana vissuta dal punto di vista di Sylvia che, invece, non ha potuto (e non potrà più) raccontare la propria versione.
In quanto lettori, dunque, dobbiamo limitarci a questo racconto unidirezionale, in cui tutto ciò che accade sembra venire fuori da una donna vittima di se stessa, della propria ossessione nei confronti dell’uomo che ha amato, pur in una maniera tutta peculiare, fino all’ultimo istante.
David
Valentini