La vita, come purtroppo imparerai, è piena di scelte difficili. Per tutti, ma soprattutto per te, una ragazza latina negli Stati Uniti. Minori saranno le opportunità che ti si aprono, più difficili le scelte. Devi valutare con attenzione i costi e il valore delle tue decisioni. (p. 38)
Le parole paiono brutali, specie quando capiamo che a pronunciarle è una madre – anche se presto nel corso della lettura ci accorgeremo di quanto profondamente questa donna sappia ferire – alla figlia: eppure sono meno brutali di quanto lo sia in effetti la realtà se non sei bianco, maschio, benestante, americano da generazioni. Olga muore sognando è il romanzo d’esordio di Xochitl Gonzalez, appena arrivato in Italia per Fazi nella traduzione di Giuseppina Oneto, ed è un testo di cui francamente avrei voluto sentir parlare molto di più perché, nonostante qualche difetto, è una storia potente, narrativamente interessante e ben strutturata, che pone quesiti di particolare interesse in questo frangente storico sociale.
Olga, la protagonista, è una donna di famiglia portoricana cresciuta a Brooklyn che si è fatta strada da sé nel mondo; ha frequentato un ottimo college grazie al duro lavoro e oggi, quasi quarantenne, è una wedding planner di successo che organizza matrimoni per coppie facoltose. Quello che le dice sua madre – o meglio, che le scrive in una delle lettere che saltuariamente riceve - è vero: per le persone come lei le regole dei bianchi non valgono, ogni più piccola cosa sarà da conquistare con fatica e molte resteranno anche quelle a lei precluse a dispetto di un Paese che finge di essere fondato sulla meritocrazia e sul “se vuoi puoi”.
Il pregiudizio, la paura di perdere tutto, sono una costante nella vita di Olga e, in forme diverse, in quella del fratello Prieto, così come la possibilità sempre in agguato di ridiscendere la scala sociale. La storia dei fratelli Acevedo è un romanzo, ma la sensazione che non si discosti poi tanto dalla realtà è piuttosto forte nel corso della lettura; me lo conferma l’autrice, nel corso dell'intervista che ho avuto occasione di farle durante la sua permanenza in Italia nei giorni scorsi e grazie all’intercessione dell’ufficio stampa di Fazi editore:
Penso che sia assolutamente la realtà. Uno dei motivi per cui ho voluto scrivere questo libro è che non avevo mai ritrovato l’esperienza che hanno avuto donne come me, dove, anche se hai successo, in realtà sei sempre a un passo dal cadere completamente dalla scala sociale. Basta un piccolo errore e in alcuni casi hai una rete di sicurezza per salvarti, ma in altri non esiste nessuna rete di sicurezza ed è rischioso, ci si ritrova a cadere dalla scala sociale e fare i conti con i pregiudizi. Quindi penso che Olga senta a ogni passo il peso delle decisioni da prendere, perché capisce che le possibili conseguenze per lei sono diverse rispetto alle altre persone.
Basterebbe già questo elemento a rendere il romanzo di Gonzalez particolarmente interessante e incendiario, attualissimo, in un momento in cui il discorso di classe nelle sue varie sfumature e implicazioni sembra essere prepotentemente tornato al centro del dibattito letterario e da lì culturale e sociale. «Il segno inequivocabile che ti fa capire di essere al matrimonio di un ricco sono i tovaglioli» (incipit, p. 13) ed è uno di quei dettagli che Olga ha imparato in tanti anni di esperienza come wedding planner, attenta a soddisfare le richieste dei facoltosi clienti prima che queste vengano espresse e immersa in uno stile di vita ben diverso dall’ambiente entro il quale è cresciuta e da cui tuttavia non desidera affrancarsi del tutto, pur inseguendo il sogno della ricchezza, del potere che deriva dai soldi, di un certo status sociale. Ma sono esattamente le cose contro cui si batte da sempre la madre, una socialista rivoluzionaria che ha abbandonato la famiglia molti anni prima per dedicarsi completamente alla causa di Portorico e alla lotta al capitalismo statunitense.
Avevo dodici anni, quasi tredici quando lei se n’è andata. O forse sarebbe più esatto dire quando lei non è tornata, perché, in verità, da che mi ricordo non faceva che andare e venire. (p. 101)
Un padre tossicodipendente morto di Aids, una madre, Blanca, svanita nel nulla dalla quale Olga e Prieto ricevono solo lettere saltuarie e sempre più politiche, prive di qualsiasi forma di affetto materno, i due fratelli sono cresciuti grazie alle cure della nonna, ai suoi sacrifici e alla grande famiglia tutta. La perdita dei genitori, seppur diversa, incide però ferite profondissime in entrambi che l’età adulta, le esperienze e nel caso di Prieto la genitorialità a sua volta non smettono di fare male, anzi, si fanno ancora più dolorose quando la vita li mette alla prova. L’autrice tratteggia con Blanca il ritratto assai intrigante di una donna priva di istinto materno che ha provato per qualche anno a giocare alla moglie e madre conformandosi a ciò che la società e la sua comunità di appartenenza si aspettavano da lei per poi fuggire da tutto quanto e riprendere possesso dell’io che sente davvero appartenerle, quella della militante politica, dandosi completamente alla causa di liberazione di Portorico. Un personaggio complesso, non solo per la rappresentazione non stereotipata del femminile e del materno, ma anche per il carico politico che Gonzalez le attribuisce, le decisioni sempre più estreme che prende e le sfumature quindi di cui si carica attraverso di lei il romanzo tutto.
È inevitabile, dunque, che Olga e sua madre Blanca si scontrino, in modi che vanno oltre il normale conflitto generazionale ma che implicano il fare i conti con l’abbandono, il desiderio della figlia di essere vista e apprezzata dalla madre e due concezioni estreme della vita e del mondo. Olga a un certo punto dice che il vero sogno americano è accumulare denaro e mi colpisce la franchezza, ancora una volta, con cui l’autrice non svia dal discorso e parla di classi sociali, potere, soldi, senza retorica alcuna, un approccio sul quale mi sono confrontata anche direttamente con lei nel corso dell’intervista:
Quando la gente parla del mio stile di scrittura dicono che sia “molto Brooklyn”, un posto noto per essere molto franco: penso che ci sia un testo rap che dice "racconta come potrebbe essere" e io cerco di raccontare davvero com'è e quello che tento sempre di fare è essere sincera non sul modo in cui vogliamo vedere le cose ma su come stanno veramente. È quello il tipo di difficile onestà che cerco di portare con i miei personaggi così come la loro visione del mondo.
Il mondo di Olga e degli altri personaggi ha orizzonti più ampi di New York – di cui pure Gonzalez costruisce una mappa davvero precisa e dettagliata – e coinvolge in modo sempre più preciso e centrale nella narrazione l’isola di Portorico. La componente sociale e politica si fa dunque parte fondamentale della storia, non solo attraverso la voce di Blanca e le lettere sempre più infuocate alla famiglia, ma anche mediante le scelte politiche e i compromessi di Prieto con cui tentare di tenere nascosta la sua vera identità, le macchinazioni della politica e degli uomini di potere, le scelte di Olga. Portorico è l’altra grande protagonista della storia e seppure a tratti la narrazione si fa in questo caso un po’ didascalica è vero che era necessario mettere bene a fuoco il complesso rapporto tra l’ex colonia e il dominio statunitense. In una narrazione dunque che si muove abilmente su registri diversi, dalla commedia al dramma, con punte che sfiorano il thriller politico, Gonzalez porta sulla pagina e all’attenzione del lettore il complesso rapporto di dipendenza con gli Stati Uniti, i giochi di potere, il pregiudizio, l’indifferenza, le conseguenze del passato coloniale e la grave crisi a seguito dell’uragano Maria che nel 2017 devastò l’isola. Un disastro ambientale ma anche umano che rese evidente gli interessi economici nell’approccio statunitense alla gestione dell’emergenza e che, come ricorda anche l’autrice del romanzo, richiama alla mente tutte le mancanze e l’orrore dell’uragano Katrina che colpì New Orleans nel 2005: interessi economici e la componente razziale sembrano essere state le discriminanti nel ritardo dell’intervento e una generale pessima gestione dell’emergenza. Se l’eco mediatico del disastro di New Orleans è stato tuttavia fortissimo, la situazione di Portorico ha suscitato meno indignazione generale, al pari della scarsa considerazione da parte dei media già nelle fasi di transizione verso l’indipendenza.
Torniamo così alla questione citata in apertura: se non sei bianco, maschio, benestante, la tua vita negli Stati Uniti è costantemente in pericolo e vale meno di quella di altri. Forse le mie parole potranno apparire brutali, ma mi pare evidente come a una storia di realizzazione dell’American Dream che ci viene raccontata ce ne siano centinaia e migliaia di altre non narrate di discriminazione quotidiana. È decisamente il momento di guardare la realtà, da una parte e dall’altra dell’Oceano, toglierci il filtro dell’illusione e osservare le cose per quello che sono. Osservarle e raccontarle, come fanno anche romanzi come questo. A fronte di alcune debolezze tra cui principalmente una certa sovrabbondanza di tematiche e accadimenti – la mafia russa, i ricatti, le macchinazioni politiche sempre più ingarbugliate, la violenza di genere – e alcuni passaggi come si diceva un po’ didascalici, Olga muore sognando è un esordio notevole e uno spaccato piuttosto interessante dell’America contemporanea che non ha davvero fatto i conti con il proprio passato e le complesse dinamiche sociali in atto.
Dall’abbondanza di temi e fatti narrati nascono di conseguenza anche numerosi spunti di riflessione di cui qui ho riportato alcune questioni di particolare interesse e a cui aggiungo brevemente il discorso sull’identità e le maschere che talvolta le persone sentono di dover indossare per sopravvivere. Ognuno dei personaggi, in modi diversi, si mostra al mondo non per quello che è ma per quello che crede di dover essere, anche se questo comporta fare compromessi, rinunciare alla felicità personale, nascondersi, soffrire. Ne è emblema Prieto, i cui segreti compromettono l’equilibrio famigliare e, a un certo punto, l’idea stessa che Olga ha dell’amato fratello.
[…] se il bisogno di mio fratello di proteggere questo segreto è tanto forte da voltare le spalle a suo padre in punto di morte, che altro farebbe? Ho sempre pensato che la bontà era la sua principale caratteristica, ma se invece fosse la paura? Se proteggere la sua immagine supera il suo impulso a fare del bene? che cosa significherebbe per una persona come mio fratello? (p. 219)
Per contro, Blanca, personaggio complesso e difficile da apprezzare ma di certo coerente fino in fondo con sé stessa, è simbolo di una totale libertà dalle costrizioni sociali e di una femminilità che non accetta niente di meno che essere ciò che vuole. Olga muore sognando dunque è un romanzo molto stratificato, in bilico tra ironia e dramma e questa sua cifra stilistica rende forse difficile etichettarlo e può condurre ad analisi e letture superficiali ma ne è anche uno dei suoi pregi migliori. E forse l’autrice ha davvero trovato la strada per essere onesta e vera.
Debora Lambruschini