Chimere
di J. Bernlef
Fazi, novembre 2024
Traduzione di Stefano Musilli
pp. 168
€16,50 (cartaceo)
€8,99 (e-book)
Maarten e Vera sono due coniugi olandesi settantenni, da tempo emigrati negli Stati Uniti per abitare sulla costa a nord di Boston. La loro vita scorre tranquilla: con i figli che abitano nei Paesi Bassi, le loro giornate si dividono tra il cane Robert da portare a passeggio, i vicini da andare a trovare, la legna da raccogliere per l’inverno, il pub locale, la pizza ogni domenica. Poi, improvvisa e rapidissima, arriva la malattia. Maarten, una mattina, si sveglia e alla finestra trova, invece dei bambini in attesa dello scuolabus che si aspettava, un paesaggio innevato che non riconosce.
Così comincia lo scivolamento nella confusione, la memoria che perde la presa sul presente mentre i ricordi di decenni prima tornano a popolare la sua quotidianità: «Per vedere devi prima riconoscere. In mancanza di memoria puoi soltanto guardare, e allora il mondo ti scorre attraverso senza lasciare traccia (ricordalo bene, perché così puoi spiegare molte cose a Vera)» (p. 57).
Il narratore è proprio Maarten, e questa scelta strutturale è ciò che dà forza al libro: costretti a vedere il mondo dalla sua prospettiva, e non da quella lucida, preoccupata della moglie Vera, del dottore e delle altre persone che fanno visita a Maarten; seguiamo i salti che la sua mente compie tra passato e presente, e tra i vari passati della sua vita (l’infanzia, i primi innamoramenti, il lavoro, una relazione di una notte a Parigi…). Il modo in cui J. Bernlef tratteggia il deterioramento della memoria di quest’uomo e gli effetti che comporta sulla vita di chi vive con lui è eccellente, e durante la lettura si rimane spesso commossi: per esempio, nei passi in cui Maarten si ritrova proiettato nella sua infanzia, circondato dalle persone che l’hanno cresciuto:
Sogno anche stelle cadenti che a volte papà mi indica nel cielo della notte. Stelle cadenti che bruciano a contatto con l’atmosfera terrestre. Forse stasera nonno mi insegnerà a giocare a dama. Me l’ha promesso. Me ne starò qui zitto zitto finché non verrà a chiamarmi. (p. 69)
Nel retro di copertina di Chimere si legge un estratto dalla recensione di Harold Pinter: «La mente di Maarten svanisce, centimetro dopo centimetro, e alla fine si dissolve». La frase centra appieno il cuore del libro di Bernlef, ma tralascia il secondo tema-chiave: il linguaggio, che si dilata, restringe, espande e poi esplode insieme ai ricordi di Maarten. «All’improvviso dovevo tradurre i pensieri in inglese prima di poter parlare», dice Maarten: «Uscivano solo forme di frasi, frammenti, il contenuto si era dileguato completamente» (p. 72).
Nei momenti di lucidità della coscienza, infatti, Maarten si difende dall’etichetta del “malato”, che non sente appartenergli, e riflette sul legame tra memoria, identità e parole: quando la connessione tra queste salta, o comincia a muoversi a scatti, cosa resta di una persona? «È un processo che non posso fermare, perché il processo sono io stesso. Uno pensa: “me”, “il mio corpo”, “la mia mente”, ma sono solo parole» (p. 105).
Come dice Vera, la malattia si presenta in una forma inusuale, velocissima, e invece di peggiorare gradualmente, Maarten perde il contatto con la realtà nel giro di poco tempo: a chi lo circonda e lo ama, Vera sopra tutti, non viene dato neanche il tempo di abituarsi e trovare un modo di relazionarsi a lui, un po’ assecondandolo un po’ incoraggiandolo a ricordare. Verso la fine la narrazione accelera, mentre Maarten perde il controllo sulla sua mente e sul suo linguaggio, fino a sfociare in pagine piene di immagini, ricordi sparsi, frammenti non più ricomponibili.
Chimere ci ha convinto molto: romanzo più importante dell’autore nederlandese J. Bernlef, nonché il quarto in lingua nederlandese più amato di sempre, è un testo potente che si offre a una lettura delicata, che affronta il rapporto tra realtà, linguaggio, memoria e percezione in maniera sensibile, e decisamente interessante.
Michela La Grotteria
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