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Dalla Finlandia un magnifico e pluripremiato esordio che ci porta sulle tracce di una creatura marina estinta: “L’ultima sirena” di Iida Turpeinen

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L’ultima sirena
di Ida Turpeinen
Neri Pozza, 12 novembre 2024

Traduzione di Nicola Rainò

pp. 256
€ 18, 00 (cartaceo)
€ 9,99 (eBook)

Una nuova terribile parola entra nel linguaggio, extinction. La scomparsa definitiva di una specie. Che idea empia e bizzarra: la prima cosa che si fa è tentare di aggirarla con ogni mezzo. Forse quelle strane ossa sono di antenati di creature moderne, animali che si sono evoluti man mano che il clima e l’alimentazione ne hanno modellato di nuovi, in forme più aggraziate. […] L’idea dell’estinzione è eccitante e terribile, la gente non ne ha mai abbastanza della fauna preistorica. In tanti sciamano intorno alle ossa, ne vogliono altre, leggono tutto sui dinosauri e sui mammut e affollano le sale delle conferenze in cui i paleontologi esibiscono le loro scoperte. (pp. 104-105)

Le storie che parlano di animali estinti senza cristallizzarsi nel genere fantascientifico o horror sono davvero rare. Eppure si può scrivere un libro fascinoso e intrigante senza che il lettore venga proiettato in realtà futuristiche o bloccato all’interno di mondi preistorici abitati da mostri che turbano il sonno dei lettori più impressionabili. In questo senso L’ultima sirena di Iida Turpeinen è un romanzo potente che parla di una delle più splendide creature che un tempo hanno popolato i mari freddi: la ritina di Steller, per la scienza Hydrodamalis gigas, conosciuta anche col nome di “vacca di mare”. Nessuno, scommetto, ha mai sentito parlare di un poderoso mammifero marino, molto somigliante al dugongo, erbivoro, dagli occhi dolci e dal carattere mite. Invece conosciamo quasi tutti, almeno di nome, i mammut, la tigre dai denti a sciabola, i giganteschi megalodonti e i poderosi dinosauri! Quante specie animali e vegetali sono esistite e abbiamo irrimediabilmente perso per i cataclismi naturali! Tantissime invece si sono estinte per colpa di un predatore relativamente minuscolo e pericoloso: l’uomo. 

L’ultima sirena è un bellissimo e toccante esordio narrativo che proviene dalla Finlandia: la scrittrice, Iida Turpeinen, ha vinto diversi premi tra cui il prestigioso Helsingin Sanomat Literature Prize. È uno dei libri stranieri più belli che ho letto quest’anno, perché racconta con una prosa scorrevole e cristallina, a tratti commossa, la storia di uno dei mammiferi marini erbivori più misteriosi mai esistiti sul nostro pianeta intrecciandola con sapienza a quella di naturalisti, scienziati e studiosi che l’hanno incontrato, viva o sottoforma di ossa sparse, nel loro percorso di vita. Il risultato è sorprendente: una narrazione lineare inserita all’interno di una architettura narrativa semplice, ma popolata da personaggi indimenticabili. Ognuno di loro è ben tratteggiato da una penna che dona il giusto respiro alla loro storia, ai loro sogni e alle loro paure, alle loro frustrazioni e ai loro entusiasmi, senza appesantire mai le pagine e annoiare il lettore.

Immagina il Mare di Bering. La massa d’acqua tra Siberia e Alaska, Oceano Pacifico e Oceano Artico. Immagina il mare di Bering nel 1741. (p. 9)

Ed è con queste parole invitanti che la storia comincia. Turpeinen esorta il lettore ad addentrarsi dentro a una storia vera, autentica che ha il suo esordio nel mare ghiacciato tra la Siberia e l’Alaska nel 1741 e arriva fino al 2023, al Museo di storia naturale di Helsinki. Le varie tappe temporali - anni 1741, 1859, 1861, 1950 e 2023 -  vengono semplicemente scandite da una sezione di poche pagine scritte in corsivo, dove la scrittrice lascia inserzioni di tipo informativo che spesso anticipano ciò di cui narrerà la voce onnisciente nelle pagine successive. Ognuna di queste sezioni narrative riporta, come in un diario di bordo, le coordinate geografiche e i luoghi dove la storia si svolge e l’anno. Il primo blocco narrativo ha come protagonista Georg Wilhelm Steller «dottore in teologia, naturalista e personaggio stravagante» (p. 13), che partecipa alla missione di Vitus Bering affidatagli dall’imperatrice Anna, volta a tracciare la rotta dall’Asia alle Americhe, per «tracciare il confine del nuovo mondo» (p. 13). Il compito specifico affidato a Steller dall’Accademia delle Scienze è quello di mappare tutta la fauna, la flora e le pietre preziose locali, ma durante il viaggio per mare incontra per la prima volta una creatura nuova e affascinante:

La creatura è lunga due cubiti. La pelle è ricoperta di una peluria rossastra e il capo assomiglia a quello di un cane. Ha orecchie dritte e vigili e occhi sporgenti, un paio di baffi lunghi e cadenti che ricordano un saggio orientale, ma il suo comportamento è quello di un bambino impertinente. Si agita, si tuffa, sale in superficie con un ciuffo di erbe marine in bocca, lo lancia in aria e poi lo riprende tra i denti. (pp. 17-18)

L’animale scompare e Steller non riesce per diverse settimane ad avvistarlo. Le condizioni del mare, inoltre, gli impediscono di nutrire speranze. L’equipaggio del capitano Bering è in difficoltà, perché col passare delle settimane il cibo e l’acqua potabile scarseggiano. Molti marinai si ammalano di scorbuto e muoiono. Frammezzati alla narrazione, le brevi annotazioni delle pagine del diario di bordo:

2 ottobre
24 uomini malati

6 ottobre
Scorte di brandy in esaurimento

18 ottobre
32 uomini malati

27 ottobre
Violenta tempesta. Non ci sono abbastanza uomini sani per calare le vele, il vento le lacera. Mantenere la rotta diventa difficile.
[…]
30 ottobre
40 uomini malati. Manche gli uomini sani cominciano a morire, spossati e disidratati. (p. 31)

La nave riesce poi ad approdare su una striscia di terra che non è contrassegnata da nessuna cartina: quel luogo l’8 dicembre 1741 prenderà il nome di Stretto di Bering (anche il mare circostante), in memoria del capitano Vitus Bering, che in quella spedizione voluta dall’imperatrice perderà la vita. Per fortuna però che l’equipaggio riesce a sopravvivere alla scorbuto grazie alla fauna del luogo: i marinai si ciberanno dapprima delle giocose lontre marine e poi di quelle fantastiche creature, le vacche di mare. Si scopre che nel loro corpo vi è una sostanza grassa che non solo è più saporita e nutriente di quella delle lontre, ma fa guarire dallo scorbuto.

Poi un nuovo tipo di predone, spaventoso, inizia ad aggirarsi sulle rive. In passato, le vacche di mare non avevano mai dovuto temere i predatori, ma adesso ovunque arrivi l’uomo, le grandi specie faunistiche scompaiono […] La vacca di mare non ce la fa a competere con noi: è un animale grasso e corpulento, senza zanne né artigli, e agli archeologi non resta che razzolare tra le ceneri di antichi focolari alla ricerca di frammenti ossei di questi animali. (p. 54)

Quasi un secolo più tardi si imbatterà nella nostra sirena, un altro personaggio fondamentale con la sua famiglia: il governatore dell’Alaska, Johan Hampus Furuhjelm. Il professore di zoologia all’Università Alessandro I di Helsinki, Nordmann, gli affida un progetto pionieristico: la promozione di collezioni zoologiche e il ritrovamento della Rhytina Stelleri, «il più prezioso degli esemplari iperborei» (p. 96). Il giovane Hampus accetta l’incarico e nel frattempo sposa la devota Anna che lo seguirà nella spedizione in un luogo impervio spinta dall’amore. Questa seconda sezione narrativa è una delle più corpose e ben scritte, in quanto la scrittrice si sofferma ad approfondire la storia dei protagonisti delle vicende: la difficoltà di adattamento di Anna alla nuova residenza e alla vita coniugale, con un marito sempre sfuggente, immerso completamente nel lavoro affidatogli dal professor Nordmann, l’entusiasmo nel pulire le ossa e catalogare i vari animali della collezione che accende Constance, la sorella epilettica del governatore, che li raggiunge in un secondo momento in quel luogo impervio chiamato Novo-Archangel’sk.

L’ultima sirena è stato scritto sulla base delle documentazioni consultate da Turpeinen e la descrizione della vacca di mare è quella fornita dal naturalista Steller, il primo che provvide a descrivere e a studiare l’animale, commettendo però l’errore di non numerarne le ossa, mancanza che diede non pochi grattacapi a coloro che provarono il secolo successivo a ricostruirne lo scheletro per le prime mostre zoologiche. Dal professor Nordmann, all’illustratrice Hilda Olson, al naturalista John Grönvall, specializzato nello studio e nel restauro di uova di specie estinte, la sirena di Steller è presente in ogni pagina di questo corposo romanzo con tutta la tragica fatalità della sua estinzione.

Il governatore sta lì in mezzo alle collezioni e osserva la vacca di mare. Alla luce giallognola della lampada, sembra che l’animale abbia un lieve tremolio, e lui gli passa una mano sulla fronte e l’accarezza. Tante promesse: l’animale che doveva sfamare la Siberia, la colonia che doveva portare ricchezze illimitate. Di entrambi restano uno scheletro e tante storie gonfiate. (p.161)

Un’opera che esalta l’intraprendenza e la caparbietà umana, la scienza e il sapere, ma che fa riflettere sul comportamento umano nei confronti delle creature che abbiamo perduto e quelle che ancora condividono con noi la vita su questo meraviglioso pianeta:

Una volta morti, non si può tornare indietro, ma si possono evocare un pensiero e un desiderio, una copia prossima alla realtà: chissà se è sufficiente. […] La pioggia cessa, la penna di Steller si blocca sopra il quaderno, Constance abbassa la mano con la pelle di camoscio, il pennello di Grönvall si ferma sulla carta e i ragni velenosi annidati nelle pareti del museo si bloccano, una breve pausa per respirare, e poi la frase continua, ma per un momento è qui, quella tristezza leggera e assorbente, mentre guardiamo questo animale, qualcosa di grande e gentile, scomparso così definitivamente. (p. 246)

Marianna Inserra