in

"Piatti rotti" di Esther Bondì: un esordio di originale scrittura che racconta il dolore affettivo famigliare

- -
 
Piatti rotti
di Esther Bondì
Giulio Perrone Editore, ottobre 2024

€ 17,00 (cartaceo)

Vedi il libro su Amazon
Madre ha insegnato la paura più grande: che figlia, anche madre può diventare.
Ma mettere al mondo un essere nuovo era una disgrazia per Anna da evitare a ogni costo. Un essere nuovo significava: creare qualcuno a cui dare dolore, poi sensi di colpa, avere qualcuno da cui farsi salvare, e poi abbandonare. (pp. 142-143)
Scelgo di cominciare la recensione riportando una citazione dal testo, perché credo che questo brano accolga efficacemente il lettore dentro allo spirito della narrazione.
Il testo è l’esordio letterario di Esther Bondì, autrice laureata in Linguistica Indoeuropea Comparata che lavora presso l’Istituto Italiano di Cultura a Berlino e che ha già pubblicato racconti su varie riviste italiane. Piatti rotti nasce, come afferma l’autrice stessa a fine libro, da un’idea di racconto.
La protagonista è Anna, una bambina che cresce tra cambiamenti improvvisi, figure genitoriali di dubbia stabilità emotiva e attorno a quelle macerie che molto spesso gli adulti lasciano dietro di sé, incomprensibili ai figli e alle figlie, e con cui però questi ultimi devono presto o tardi fare i conti.

“Anna vive nel passato”, ci racconta il risvolto del libro, che scopriamo subito essere un romanzo tracciato dalla memoria frammentaria e zigzagante della protagonista, una bambina che dà sfogo ai propri ricordi nel tentativo di dare una quadra al mondo che la circonda, di trovare nella sua famiglia e nelle parole dei familiari una verità profonda che ha a che fare non soltanto con il senso della realtà in cui vive, ma soprattutto con il senso di sé stessa, con il senso di esistere e di avere un’identità propria.

Anna trova conforto nei racconti dei nonni, nella filastrocca veneta storpiata con accento milanese dalla nonna, nei ricordi narrati di Milano distrutta dalle bombe mentre il risotto manteca, nel profumo dei biscotti che invade la casa. Ma poi ci sono le stranezze della madre, l’incuria di lei, che fugge poi torna poi abbandona, la nuova vita del padre, anche lui incapace di essere genitore, gli assistenti sociali, i traslochi, la spesa messa in conto al supermercato, la sorella che infine parte per Berlino, e Anna che, già giovane adulta, inizia a perdere acqua da ogni dove, a rendersi conto di avere immagazzinato più di quanto sia lecito per una bambina. Arriva la consapevolezza di chi diventa grande e porta con sé una chiarezza sui torti subiti, sul dolore che prima non si capiva e adesso sembra non lasciare spazio ad altro, erompe da dentro di lei come tubature esplose:
Perdeva acqua a casa, prima di alzarsi, di notte, nei sogni. Perdeva di giorno, andando in stazione, il treno, università La Sapienza, stazione, metro, treno, stazioni, Bracciano, La Storta, Cesano, Piramide, al baretto là fuori, bruttino ma buono il caffè e le tazzine, perdeva parlando, le amiche, facendo le gite. Perdeva acqua passeggiando, cucinando la cena, mangiando il gelato, perdeva pensando, facendo la doccia, perdeva bevendo, persino leggendo. Qualcosa era scoppiato: Anna non ascoltava, non teneva, non sentiva, non più caldeggiava nel cuore qualcuno, era solo fatica […] I tubi erano rotti, spezzati. Anna perdeva acqua.
Anna più conteneva. (p. 155)
È in questa frammentarietà di ricordi che lo stile narrativo di Bondì risulta non soltanto originale e inaspettato, ma anche sorprendentemente carico di intensità emotiva. Una scrittura spezzettata, che ci accompagna dentro la narrazione come briciole di pane e che con un percorso tortuoso e volubile ci dà infine la giusta direzione per ascoltare e comprendere la voce della protagonista, la quale appare a un inizio ammutolita, sovrastata dal caos intorno, poi sempre più consapevole dell’ingiustizia, delle parole che suonano false, di ciò di cui è stata defraudata: il diritto di essere figlia accudita, non genitore a cui tocca accudire.
Anche Anna merita:
cosa? (p. 147)
È l’urgente e conciso interrogativo che campeggia in una pagina bianca e dà vera sostanza all’intero racconto.

Piatti rotti è stata una lettura di gusto amaro e passionale, in cui la cifra stilistica è per la sua originalità un tratto fondamentale del romanzo. La scrittura qui non è solo un mezzo per raccontare, ma il suo essere spezzata diventa il necessario catalizzatore delle emozioni e dell’irriducibile violenza delle pulsioni affettive, celando tuttavia al suo interno una struttura più ragionata.

Attraverso i toni distanziati e asciutti del linguaggio, ma per questo ancora più incisivi, l’autrice costruisce poco alla volta il puzzle dei ricordi sofferti di Anna, della vita vissuta con dolore e capita solo col tempo, per essere infine accettata con l’inevitabilità di quei dati di realtà che si possono soltanto, a un certo punto, lasciare andare.

Federica Cracchiolo