C'è stata la "café society", poi la "jet society", entrambe racchiuse nel più ampio contenitore della "Snob society" di Francis Dorléans

 
snob society francis dorléans

Snob society
di Francis Dorléans
Neri Pozza, novembre 2024
 
Traduzione di Marina Visentin
 
pp. 544
€ 30,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Questo libro non ha altra pretesa che divertire. Non vuole in alcun modo essere uno studio sociologico sullo snobismo, ma solamente un libro che parla di snob. Snob che si incontrano, in una quantità tale che non si era mai vista prima in nessun altro libro. Un carnevale di snob. Snob come se piovesse. Sono tutti esistiti, eppure sono soprattutto dei personaggi. (p. 9)

Circa quindici anni: questo è stato il tempo che Francis Dorléans ha dedicato a Vogue. Ha scritto talmente tanto per la rivista che, a volte, pubblicava sotto pseudonimo per non essere troppo presente tra le pagine. Ha visto il bel mondo, lo ha studiato, lo ha preso in giro con garbo. Come ricordano gli articoli di omaggio all'indomani della sua morte, avvenuta nel 2022, "Francis ne se caractérisait pas par sa méchanceté": non era malvagio e si pregiava di scrivere senza alcuna piaggeria nei confronti del mondo dorato di cui è stato attento cronista. Tutto quello che ha osservato e recuperato avrebbe potuto fornire materiali per studi sociologici, per un appassionante romanzo a puntate, ma, come dichiarato nell'introduzione, ha preferito riversare tutto tra le pagine di Snob society, da poco uscito per Neri Pozza, ma pubblicato in Francia per Flammarion nel 2009.  

«È vero che sono degli snob» ammise debolmente Misia.
«Snob! In che senso?» esclamò Chanel.
«Snob, come tutti gli snob. Attratti dallo sfarzo, dai segni esteriori di ricchezza...»
«Be', saranno anche degli snob, ma non come noi» replicò Chanel, senza rendersi conto della sua gaffe. (p. 105)

Il cuore di Snob society si può racchiudere in questo scambio. O, se si accetta un riferimento molto pop e senza pretese di letterarietà, "Ho visto lei che bacia lui, che bacia lei, che bacia me". A partire dalla café society e dal gruppo dei Bright Young Things di inizio Novecento, si percorre buona parte del secolo breve passando di nome famoso in nome famoso, dal cinema muto alle star di Hollywood, dalle dittature caraibiche ai magheggi della politica americana non risparmiando colpi e alzando il tappeto in modo che la polvere non sia solo un rigonfiamento, ma sia visibile e sezionabile.

Si ritrovano vicende e nomi noti su entrambe le sponde dell'Atlantico. La confusa e a tratti squallida vicenda tra la famiglia Kennedy e Marilyn Monroe; il triangolo Onassis-Callas-Kennedy – che aveva più del quadrato visto che era coinvolta anche la sorella di Jackie Kennedy; l'arrivo di Grace Kelly nel principato di Monaco e come lei non fosse stata la prima attrice pensata per ricoprire il ruolo di principessa di quel fazzoletto di terra senza alcun potere o autonomia; Wallis Simpson e l'abdicazione di Edoardo VIII che lei non aveva né preteso né appoggiato; il collaborazionismo di Coco Chanel durante la seconda guerra mondiale; Katharine Hepburn e la sua relazione con Howard Hughes. 

Accanto a nomi ormai consegnati alla storia, si scoprono comprimari che hanno visto, toccato e spalleggiato le figure di prima grandezza. È il caso di Elsie Mendl, attrice poco talentuosa reinventatasi interior design della snob society che, alla vista dell'Acropoli, sospirò che quello era il suo beige, lei che aveva riportato in voga i colori chiari per la decorazione d'interni. O Misia Sert, musa e protettrice di molti artisti tra cui una Coco Chanel in ascesa che ben presto si svincolò dall'opulenta e oppressiva amicizia della modella russa.

Si potrebbe andare avanti con i vari matrimoni della poor little rich girl, Barbara Hutton; le infinite amanti di Porfirio Rubirosa, il calco d'argilla su cui si era modellata la parola playboy; la relazione tra Cecil Beaton e Truman Capote e così ancora e ancora. Ogni capitolo è un inseguirsi di nomi, relazioni, allusioni su abitudini sessuali e lati poco nobili di qualunque nome abbia attirato l'attenzione della stampa nel corso del Novecento. È un continuo gioco di equilibrio tra l'aneddoto storico, l'ipotesi e la scivolata sul lato del cattivo gusto, appena un accenno di caduta, per poi riprendersi con abilità sulla traversata da funamboli. Da questo testo – a volergli trovare un'etichetta potremmo equipararlo a un feuilleton e attenzione a saltare anche solo un capitolo perché si perde il bandolo della matassa delle varie relazioni – si deducono alcune verità così ovvie da essere universali. 

La prima è che il gusto per il gossip e la curiosità (a volte) morbosa che porta a voler sapere ogni singolo dettaglio della vita dei ricchi e famosi non è relegato alle riviste scandalistiche. Sapere come Margarita Carmen Cansino è diventata Rita Hayworth – e non è per niente una bella storia–, o da dove è partito Cary Grant titilla la curiosità di chiunque. È quel pungolo che spinge a leggere ancora una pagina, ancora un capitolo.

La seconda è che, nonostante la frase attribuita a Coco Chanel sul lusso come opposto della volgarità, i soldi e le conoscenze non comprano la classe e l'eleganza: sono due elementi assenti in maniera sconfortante da queste pagine. Così come sono assenti alcuni personaggi che, probabilmente, non dimostravano la teoria per cui la nobiltà di epoca proustiana ha ormai abbandonato questo mondo. Non si trova da nessuna parte, se non per un breve accenno in quanto partecipante a una festa, Audrey Hepburn. Da sua grande ammiratrice non posso che essere contenta di non averla incontrata. 

Snob society di Francis Dorléans sembra richiamare anche uno specifico setting per essere letto. Sdraiati su una chaise longue in tarda mattinata, con un Bloody Mary in una mano e un leggero accenno di mal di testa dalla festa della sera precedente. Ma anche se sul divano avvolti nella coperta e con una tisana, l'importante è tenere a portata di mano leggerezza e cinismo e divertirsi nell'immersione in questi decenni di eccessi e di lusso sfrenato.

Giulia Pretta