Qual è il tempo degli imprevisti? Il nostro, quello dei nostri genitori, dei nostri avi, dei nostri figli, dei nostri nipoti e pronipoti. Quello del genere umano che può venire deviato improvvisamente da accadimenti non prevedibili. I quali, a volte, assumono il carattere di eventi storici. A ognuno di noi potrebbe capitare di vivere sul crinale di un momento in cui la Storia si viene compiendo. La Storia si fa, giorno dopo giorno, nel mondo e, talvolta, solo per un caso o per un altro ne siamo o no protagonisti.
Nell'ultimo libro di Helena Janeczek, già vincitrice del Premio Strega 2018, con La ragazza con la Leica, la Storia che si compie è quella dei primi del Novecento, precisamente negli anni che intercorrono fra il 1906 e il 1938. Un periodo pieno di eventi che ne lascia intravvedere un altro, successivo, ancora più tormentato. Il romanzo, se così si può definire questo libro che è un insieme di tre racconti che tanto devono alla Storia quanto alla capacità narrativa dell'autrice, si apre nella Milano dei primi anni del Novecento, brulicante di novità, ciminiere, nuove fabbriche, nuovi lavori, nuovi ideali, e si chiude alle soglie del 1938, anno delle famigerate leggi razziali, in una Trieste che porta con sé tutta la ricchezza e la complessità di una terra di confine. Passando per il Tirolo del 1920, da pochissimo assegnato all'Italia e, proprio per questo, attraversato da fermenti nazionalistici e separatisti. E per una Venezia magica e misteriosa che vede due anime rincorrersi. Un filo letterario e narrativo che unisce l'Italia del Nord, vista attraverso gli occhi di alcuni personaggi che Janeczek sceglie accuratamente per il loro valore simbolico. Persone, tutte, realmente esistite. Ma che in questo libro assumono i caratteri di personaggi letterari.
A vivere la Milano degli anni '20, vivace e fervente di innovazione, di conquiste e di movimenti, sono le sorelle Zanetta, Erminia e Abigaille, insegnanti, ma soprattutto attiviste, la seconda in particolare, paladine dei primi fermenti del socialismo, del pacifismo, del femminismo. Donne realizzate, che lavorano e che si battono per i diritti degli altri. Avanguardiste ante litteram, moderne, consapevoli di se stesse, del proprio valore e dell'importanza che certuni diritti vengano estesi a tutti. Muovendosi in bicicletta per una Milano che sta diventando piano piano metropolitana, Abigaille, la Ille, com'è affettuosamente chiamata da tutti, pensa, scrive, insegna, incontra, lotta, si scaglia contro gli interventisti, contro i primi successi dei fascisti, pungola anche i socialisti. E rischia perché viene addirittura arrestata per disfattismo. Janeczek ci offre un ritratto sentito e vivo di questa donna, quasi dimenticata dalla Storia, che s'impegnò tantissimo nella difesa delle lavoratrici.
Zanetta, dicesti, statemi a sentire. Impegniamoci a migliorare la previdenza, le condizioni di lavoro, la busta paga e gli altri obiettivi raggiungibili con la lotta democratica. Pretendiamo che le città in mano nostra rafforzino le opere a vantaggio dei lavoratori, a partire dalle donne e dai fanciulli, dando l'esempio all'Italia più avanzata. Eccetera. Mi spiace, Anna, ma il vostro riformismo non mi sembra ormai molto dissimile dal miglior cattolicesimo, quella chiesa dedita agli Ultimi a cui smisi di essere fedele. (p. 33)
Si legge in una lettera forse mai scritta ad Anna Kuliscioff, tra le fondatrici ed esponente principale del Partito Socialista Italiano.
Il secondo capitolo del romanzo ci porta in Tirolo, dove il dottor K (facilmente riconoscibile in Franz Kafka), sta prendendo un periodo di cura e di aria buona in seguito alla malattia che l'ha colpito. Paradossalmente lo scrittore si ritrova coinvolto in una vicenda che potremmo dire "kafkiana" quando si convince, a ragion veduta, che la sua corrispondenza con la traduttrice dei suoi romanzi, Milena Jesenska, venga spiata.
Qualcuno doveva averlo denunciato perché quella mattina aveva ricevuto una lettera con tutta l'aria di essere stata manomessa. (p. 65)
Se non è un esordio kafkiano questo... Ritrovatosi inconsapevolmente in mezzo ai fermenti nazionalistici che percorrono il Tirolo del tempo, il dottor K si muove guardingo, preso dall'ansia e dal sospetto, timoroso di ritrovarsi invischiato in un intrigo in cui entrano anche elementi che si rifanno al Sionismo. Mentre a Venezia la figlia dello scrittore Ezra Pound si muove ignara che un'ombra la stia inseguendo, quella di un ragazzo con cui aveva condiviso l'infanzia in montagna e il latte della balia. Ben diverse sono le direzioni che le vite dei due giovani cresciuti assieme hanno preso e il piccolo mendicante, la cui vera identità si scoprirà soltanto alla fine, parlando in prima persona (unico personaggio del libro a farlo) riflette su quanto i destini umani possano essere diversi. A Trieste, infine, l'arrivo in città di un giovane tedesco, Alberto Hirschmann, che, nel suo futuro americano, diventerà un importante economista, scatena una ridda di pettegolezzi e chiacchiericcio, sbabazàr, che investe i caffè della città. E mentre le signore, dietro ai propri ventagli, ricamano chiacchiere, anche gli uomini non rimangono immuni di fronte a quello che può essere definito, se non proprio un avvenimento, almeno un diversivo. Protetti dalle proprie abitudini, in questa città di frontiera, uomini e donne della buona borghesia mercantile non si rendono conto che il mondo da loro conosciuto volge al termine. Di lì a poco, con l'avvento delle leggi razziali, questo sì un vero imprevisto, tutto sarà destinato a cambiare.
Il tempo degli imprevisti si può definire un affresco del "secolo breve", come è stato definito, un quadro che, a partire dal grande sfondo, non esita a portare in primo piano i più piccoli particolari. La tecnica narrativa è proprio questa: partire dalle storie personali per raccontare un mondo che sta cambiando. Il risultato è un romanzo corale, perché le voci che si rincorrono nel libro sono quelle di destini individuali che, presi nel proprio insieme, formano la sorte di un popolo. Ci sono tanti modi per raccontare la Storia... quello scelto da Janeczek porta con sé i segni dell'originalità e soprattutto di una grande capacità narrativa. Del resto anche la storia stessa dell'autrice, nata a Monaco di Baviera, Germania Ovest, da genitori polacchi di origine ebraica, è la sintesi più perfetta della seconda parte del Novecento. Come lei, anche tutti i personaggi del suo libro sono testimoni degli avvenimenti e li raccontano ognuno con la propria voce. Per questo ogni capitolo del romanzo, pur mantenendo un'armonia complessiva, sorprenderà per l'unicità del tono: storico e impregnato della frenesia del tempo nel capitolo dedicato alle sorelle Zanetta, riflessivo e quasi freudiano nelle pagine dedicate a Kafka, pacato, quasi fantastico e surreale nella voce del ragazzo che segue la giovane Pound, frizzante e spumeggiante come il cicaleccio nella Trieste dei caffè.
Un libro che si legge con vero piacere, quello dato dalla consapevolezza di parole scelte con accuratezza, frasi incatenate, necessarie. La prosa di Janeczek non è di troppo facile lettura, richiede concentrazione e dedizione. Non è una scrittura semplice, è sapientemente costruita, ma evidentemente naturale per l'autrice. Induce a riflettere sul presente, a ricordare il passato e a chiedersi del futuro.
Sabrina Miglio
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