Voland, casa editrice attenta alla qualità letteraria contemporanea italiana, con sguardo sempre vigile alle proposte sofisticate europee, pubblica l'ultimo romanzo di Ivana Sajko, scrittrice, drammaturga e performer croata.
L'autrice è infatti conosciuta e apprezzata all'estero per la sua prosa torrenziale, mirata a mettere in luce, contemporaneamente lumeggiando e ombreggiando, le emozioni umane e i conflitti sociali.
Piccole morti narra, tramite la grande metafora del viaggio in treno, il percorso fisico e introspettivo di un uomo alla ricerca di sé stesso, uno scrittore, un giornalista fallito che annota sul proprio taccuino le suggestioni e le riflessioni del dispiegarsi dei binari nel suo pellegrinaggio; un tragitto atto alla raccolta di piccole o grandi tessere di un mosaico che compongono la sua vita ormai composta da grandi fallimenti.
Il fallimento, che per configurazione altro non è che una tavolozza ampia di diverse declinazioni di clamorosi insuccessi, nel caso del nostro protagonista sono lo sfacelo, lo sgretolarsi della propria individualità, che comprendono tre piccole morti che formano il crollo, come il titolo del libro più intimo di Francis Scott Fitzgerald: il crollo sentimentale, famigliare e professionale.
«[...] la storia di un uomo che viaggia per l'Europa in crisi un'altra volta, che sale su un treno convinto che non faccia differenza perché in realtà parte quando non c'è un motivo per restare, la storia di un uomo che sprofonda nel suo taccuino e in quella caduta si aggrappa ad appunti disordinati ciascuno dei quali apre un nuovo abisso in cui può cadere ancora...» (p. 22)
Ma il crollo, che sia fisico o mentale, è un arrivare, è raggiungere gli abissi, sondarli, misurarli, dargli una conformazione; è realizzare e prendere coscienza di un viaggio che si conclude; è la risalita, il vero itinerario da organizzare, e tramite la scrittura («scrivo nell'unico modo che conosco, girando nei meandri di ciò che mi fa più male e per cui non c'è aiuto», quarta di copertina) il protagonista ripercorre i traumi violenti subiti dalla sua famiglia, dal padre alcolizzato e aggressivo, all'abbandono di sua madre emigrata a Berlino.
La sua meta, il termine del suo viaggio è proprio questa città, capitale rappresentativa dal secondo dopo guerra in poi per mescolanza di etnie, culture; una città per troppo tempo divisa, rotta, spaccata. Il nostro protagonista, attraverso la lattiginosa condensa sui finestrini del treno, nelle tinte opalescenti delle stazioni ferroviarie che come tristi diapositive restituiscono l'immagine di una Europa dimenticata, trova davanti a sé lo strascico della devastante sofferenza della situazione migratoria dei Balcani.
«Tutto questo l'ho già visto prima, al telegiornale, nelle fotografie, negli incubi che preannunciano la natura ineluttabile di questo mondo disgustoso, la tragedia della guerra, che in definitiva è la tragedia del viaggio e mappa con precisione il percorso dall'uomo al non-uomo, dal suo salotto a questo treno straripante». (p. 28)
La trama del romanzo, all'apparenza, può sembrare priva di intrecci, ma in corso di lettura risulta performante e funzionale il monologo fluviale del protagonista che, incrociando le sovrapposizioni della sua infanzia e della sua vita adulta, crea un reticolo di strade, formando una trama sostenuta sia da un piano intimo che sociale.
Ivana Sajko possiede una scrittura vorticosa, a tratti sofferente, dicotomica: chiara e tagliente in alcuni frangenti e sfocata in altri, come l'immagine del quadro di Clarice Beckett in copertina. L'autrice ci invita con questo romanzo a diverse riflessioni, ricordandoci che per uscire dal fallimento e dalle gravi crisi bisogna necessariamente uscire dalla stagnazione compiendo il primo risolutivo grande passo. «Un viaggio di mille miglia comincia sempre con il primo passo» (Lao Tzu).
Caterina Incerti