La generazione ansiosa
di Jonathan
Haidt
traduzione
di Lucilla Rodinò, Rosa Prencipe
Rizzoli,
settembre 2024
pp. 456
€ 22,00
(cartaceo)
€ 11,99
(ebook)
La tesi centrale di questo libro è che queste due tendenze – iperprotezione nel mondo reale e scarsa protezione nel mondo virtuale – sono le principali ragioni per cui i bambini nati dopo il 1995 sono diventati una generazione ansiosa. (p. 18)
Jonathan
Haidt è uno psicologo statunitense. Laureato in filosofia e psicologia, è
professore associato di psicologia presso la Virginia University. Tratta principalmente
di psicologia morale, una branca che si occupa dello studio
della morale e del suo sviluppo, del ragionamento etico, dei valori morali e
degli atteggiamenti emotivi dell’individuo e dei gruppi sociali. Nelle pagine
conclusive di questo testo, Haidt ammette che «alla fine del 2021, [ha] iniziato
a scrivere un libro su come i social media stavano danneggiando la democrazia
americana. Il piano era iniziare con un capitolo sull’impatto dei social media sulla
Gen Z, mostrando come abbiano disgregato la loro vita sociale e provocato un’ondata
di disturbi mentali» (p. 345). Il resto del libro avrebbe dovuto occuparsi della
rimanente parte della società, quindi i giovani, gli adulti, gli anziani. Indagando
sugli adolescenti, però, si è accorto che il danno era più esteso di quanto
apparisse a una lettura superficiale. Da qui, l’idea di un testo che
si occupasse interamente del rapporto malsano fra social media e adolescenti.
Il libro
è strutturato in quattro parti, tutte volte a dimostrare la tesi che viene
esposta nelle primissime pagine e che è riportata nella citazione all’inizio di
questo articolo. Haidt anticipa sin da subito anche il proprio piano d’azione,
specificando i temi che verranno affrontati nelle quattro parti: nella prima si
espongono «i fatti relativi al declino della salute mentale e del benessere dei
teenager nel XXI secolo» (p. 20); nella seconda affronta quella che lui
definisce “infanzia basata sul gioco”, ossia la normale infanzia che la maggior
parte dei bambini ha vissuto prima dell’avvento degli smartphone, descrivendone
nel dettaglio le caratteristiche e i vantaggi per lo sviluppo dell’individuo;
nella terza, si presentano «le ricerche che dimostrano come un’infanzia basata
sul telefono alteri lo sviluppo del bambino in diversi modi» (p. 21); nella
quarta, infine, quella che potremmo definire la pars construens del
libro, Haidt – supportato dai propri collaboratori e da altri psicologi –
illustra le possibili soluzioni a questo disastro annunciato.
Questo modo
di procedere è tipico degli articoli e in generale della saggistica, soprattutto
di stampo americano: nell’abstract e nell’incipit vengono riportate tutte le
informazioni essenziali che si andranno a sviluppare, di modo che il lettore
possa avere già chiari la tesi generale e il metodo che si seguirà; l’articolo
vero e proprio – in questo caso il libro vero e proprio – approfondisce ogni
singolo aspetto della tematica in oggetto, portando centinaia di altre
pubblicazioni (articoli e libri) a supporto della propria tesi. È una metodologia
che consente di restare sempre sui binari precisi e sicuri del percorso
tracciato, il cui principale vantaggio e l’evitare che il lettore si possa
perdere nella mole di informazioni e dati che vengono forniti lungo il
percorso. D’altro canto, ha anche il difetto, se così vogliamo dire, di essere
altamente ridondante: per dimostrare che la propria tesi, spesso – come in
questo caso – innovativa e volta a distruggere un determinato status quo, è
ferrea, ancorata sulla realtà e non fondata su principi aprioristici, il nucleo
centrale delle argomentazioni viene sviscerato in ogni dettaglio e a volte
ripreso in diversi punti. Che l’infanzia basata sul telefono nuoccia ai bambini
viene ripetuto decine di volte, come a far entrare a forza questa informazione
nella mente del lettore. È un piccolo prezzo da pagare, potremmo dire, per
poter approfondire un tema in effetti enorme e complicato.
Haidt affronta gli argomenti in modo spietato. Non risparmia nulla, ad esempio, al modo in cui le aziende dietro ai principali social network lavorino per accaparrarsi le risorse più importanti che vi siano oggi in circolazione, ossia l’attenzione dei fruitori dei social network stessi e i loro dati sensibili. Più volte fa presente come clienti finali dei social network non siano i loro fruitori, che sono piuttosto considerabili come dei beni in vendita; i clienti finali sono invece le aziende che mantengono in piedi le piattaforme di Meta, TikTok ecc. tramite le pubblicità. All’interno di questo processo di attrazione dell’attenzione ed estrazione dei dati, afferma Haidt – e difficilmente si può essere in disaccordo con lui –, gli adolescenti i giovani sono come spugne che assorbono tutto e si fanno irretire da una concezione del mondo deviata e pericolosa. Il confronto costante con un mondo incorporeo, privo di legami stabili, che pubblicizza standard estetici irraggiungibili e modelli etici spesso negativi, è proprio ciò che ha condotto all'aumento esponenziale delle malattie mentali fra i teenager americani e non solo.
I dati
che Haidt porta a supporto sono quasi tutti riferiti agli USA e all’anglosfera
(Canada e Gran Bretagna), poiché è qui che la maggior parte delle ricerche e
degli esperimenti è stata condotta. Laddove possibile, l’autore ha cercato di
coinvolgere anche ricercatori di altre parti del mondo, con risultati non
ottimali. È innegabile, tuttavia, che quanto avviene negli Stati Uniti sia un
fenomeno globale, seppure con casistiche forse più lievi e dal tratto meno
emergenziale. La tesi di Haidt è però allarmante, e un libro come La generazione
ansiosa dovrebbe essere al centro del dibattito riguardante l’uso dei
social media e del loro rapporto con lo sviluppo degli adolescenti. Non tutte
le buone prassi esposte nell’ultimo capitolo possono essere facilmente portate
avanti dalle aziende, dai governi, dalle scuole e soprattutto dai genitori. Iniziare
però a lavorare affinché l’infanzia fondata sul gioco non venga sostituita da
quella fondata sul telefono è un atto che risulta necessario.
La generazione ansiosa è un libro da leggere, soprattutto se si è un genitore.
David Valentini
Social Network