La porta delle stelle
Devi trovare il sentiero. Quando lo trovi capirai. Perché sarà proprio come un portale che si apre nel bosco. Gli alberi sono pieni di neve e si piegheranno su di te quando comincerai a camminare. E tu comincerai a camminare. Sarà facile, perché la neve del sentiero è dura e compatta per quanto è stata calpestata. Poi il bosco si aprirà e vedrai lo stagno liscio e bianco, e la collina dove la volpe ha fatto la tana, e in cima vedrai lo steccato. Devi solo seguirla, e poi lo sai già cosa vedrai.
Se vi piace la letteratura nordica, con le sue atmosfere e le sue ambientazioni ammantate di bianco, se cercate una penna elegante e delicata, ma che sappia anche sconvolgervi per i suoi graffi inaspettati, vi propongo senza indugio questo racconto di Natale, una vera fiaba moderna, scritta da Ingvild Rishøi e che ha come titolo La porta delle stelle. Non aspettatevi da questo rutilante titolo, evocatore di sogni e luci, un magico portale per accedere a mondi fiabeschi. Io stessa, confesso, sono caduta nel tranello e quando ho scoperto cosa fosse davvero questa fatidica porta stellare, quasi non credevo ai miei occhi! Ma non voglio certo dirvelo, dovete provare le stesse emozioni che ho provato io, mi sembra giusto oltre che corretto.
L’autrice del libro, Ingvild Rishøi, è una giornalista, ha scritto libri per ragazzi e la sua Porta delle stelle ha vinto quest’anno il Dobloug Prize, un prestigioso premio letterario assegnato ogni anno contemporaneamente a due scrittori, un autore o un’autrice svedese e un autore o un’autrice norvegese. Nella sapiente traduzione di Maria Valeria D’Avino, traduttrice di celebri penne scandinave come quelle di Dag Solstad e Gunnar Gunnarsson, questo racconto sorprende perché ha attorno un’aura diffusa di fiaba, e come tante fiabe, quelle dei fratelli Andersen in primis, sa anche essere crudele, ora ti rattrista e ora ti scalda il cuore.
La protagonista e voce narrante è una bambina, Ronja, che vive con la sorella Melissa, di diciassette anni, e il loro padre, un uomo dolce e affettuoso, ma che non riesce a tenersi stabilmente un lavoro, a causa della sua forte dipendenza dall’alcol. Ronja è una bambina sveglia, dalla risposta pronta, dalla testa piena di sogni, in particolare da uno, ricorrente: vivere tutti insieme un una accogliente baita con il papà, nel fitto del bosco con un abete ben illuminato e decorato per il Natale.
L’inverno con papà. Quando camminavamo fino in fondo al bosco con lo zaino in spalla. E lì trovavamo la baita, lui chiudeva la porta con un gancio e diceva che per quella sera nessuno doveva più uscire, e in ogni caso fuori non c’era nessuno, e in ogni caso gli autobus avevano smesso di circolare, e in ogni caso non volevo essere da nessun’altra parte se non lì.
La bambina va a scuola e durante la ricreazione scambia quattro chiacchiere col custode, un uomo che le parla con dolcezza e saggezza, e condivide la sua povera merenda con lo scoiattolo del cortile. È proprio il custode a mostrare alla bambina degli annunci di lavoro come raccoglitore di abeti da far leggere al suo papà. Di fronte al biglietto che la figlia gli mette sotto al naso, l’uomo è titubante, sostiene che sia un lavoro da poveracci, ma la saggia Ronja, che lui chiama in diversi modi tra cui Maccheronja o Figlia del brigante (come la protagonista del celebre racconto di Astrid Lindgren), gli risponde, giustamente, «Be', è sempre meglio di niente.»
Allora lui dà un’altra occhiata al manifesto. Poi di colpo si alza, va al banco della cucina e prende il bollitore. Apre il rubinetto e dice: «Sei tutto tranne che scema, tu. Mai stata.»
Il papà viene assunto e per qualche giorno va a raccogliere abeti, tornando a casa pieno di aghi sui vestiti, ma felice perché tutti possono sognare un Natale normale, con l’albero addobbato e un pranzo per le feste decente. Purtroppo però, dopo essersi fatto dare un anticipo sul salario, l’uomo, attorniato anche da amicizie sbagliate, torna a frequentare il vecchio pub e cede di nuovo al vizio del bere, riducendosi a uno straccio incapace di stare in piedi. Sarà Melissa, la figlia diciassettenne, a pregare il capo della ditta di prendere il posto del padre, ma all’inizio lei dovrà lavorare gratis per recuperare l’anticipo che suo padre aveva sperperato senza averlo ancora guadagnato. Mentre il genitore è steso sul letto o sul divano di casa quasi senza sensi, Ronja è impegnata nella recita di Natale e… quanto vorrebbe che in mezzo alla platea comparisse l’amato volto del padre! Un miracolo accadrà però, il lettore può starne certo. In effetti nella storia ci sono anche altri personaggi con i ruoli facilmente assimilabili a quelli delle fiabe: gli aiutanti, l’antagonista, che in questo caso è sicuramente il capo della ditta per la raccolta di abeti, gli eventi magici o quasi:
«I miracoli capitano», diceva sempre il custode. «A volte non c’è altra via d’uscita, e allora capita un miracolo.»
La porta della stelle è un racconto lungo, ma agile, si legge in un poche ore, in meno di una giornata. Per me è stato un piacevole momento in bilico tra la magia delle fiabe tradizionali e la ferocia della realtà moderna.
Marianna Inserra
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