Un autore imprescindibile per chi ama la letteratura russa: la storia rocambolesca di Ivan Fljagin e delle sue disavventure


Il viaggiatore incantato
di Nikolaj Leskov
Neri Pozza, novembre 2024

Traduzione di Verdiana Neglia

pp. 208
€ 15 (cartaceo)
€ 8,99 (e-book)

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Forse meno noto dei "classici" Tolstoj, Dostoevskij, Čechov o Gogol', Nikolaj Leskov è probabilmente il più fantasioso, magico (nell'accezione che viene data al realismo magico) e divertente tra gli autori russi maggiori. O almeno, questo è quello che penso dopo aver letto il suo meraviglioso Il viaggiatore incantato, qui in una nuovissima edizione per Neri Pozza Biblioteca

Probabilmente ci ha messo degli elementi autobiografici in questo romanzo: figlio di un prete e di una nobile donna russa, visse una buona parte della sua vita adulta come amministratore delle finanze di Kiev, viaggiando in lungo e in largo per le province russe, viaggi che intraprende anche il protagonista del romanzo, Ivan Sever’janyč Fljagin. Ivan è un monaco, ma un monaco peculiare: ne ha combinate di cotte e di crude prima di piegarsi ai voti. A raccontare la sua stessa storia è lui, a bordo di un battello in viaggio sul lago Ladoga, nei pressi di San Pietroburgo. Protagonista e narratore in prima persona, parte dal principio, da quando sua madre lo partorisce e gli profetizza di essere votato alla carriera monacale. Ma Ivan non vuole e proprio per questo suo rifiuto patirà ogni sorta di sofferenza.

Non appena mi addormentavo, la laguna mormorava, il vento caldo della steppa mi accarezzava, ed era come se qualcosa di magico si riversasse su di me. Venivo assalito da una fantasia spaventosa: vedo un'ampia steppa, cavalli, qualcuno sembra chiamarmi, attirarmi da qualche parte, sento persino gridare il mio nome: "Ivan! Ivan! Vieni, fratello Ivan!" Trasalisci, sobbalzi e sputi fuori: "Pff, che il diavolo vi porti, perché mi chiamate?" Ti guardi intorno: un'angoscia. La capra si è già allontanata, vaga brucando l'erba, e la bambina se ne sta nella sabbia, non succede nient'altro... Oh, che noia! Il vuoto, il sole, la laguna, e di nuovo ti addormenti, e questa corrente di vento ti entra di nuovo nell'anima gridando: "Ivan! Andiamo, fratello Ivan!" Tu arrivi addirittura a imprecare e dici: "Fatti vedere, disgraziato, chi sei per chiamarmi così?" (p. 47)

All'inizio ho usato il termine "divertente" per un motivo: tutte le avventure e le disavventure di Ivan sono narrate con un tono frivolo, leggero, esilarante, dunque per quanto lui possa soffrire, essere punito, attraversare ogni sorta di peripezia, ai nostri occhi sarà sempre un anti-eroe, un mascalzone più che un santo. Le sue sono peregrinazioni hanno un che di donchisciottesco: dapprima esperto di cavalli, poi errante, poi prigioniero dei tatari, salvato da una divinità indiana misteriosa, e poi ancora connosser di cavalli, vagabondo derubato, e ricchissimo, poi poverissimo, innamorato di una stupenda zigana, il tutto raccontato con uno stile tragicomico che fa della sua vita stessa la tragicommedia per antonomasia.

Narratore nel vero senso della parola: Ivan racconta tutto ai passeggeri del battello e a noi. Nella prefazione Paolo Nori sottolinea lo stile particolare di Leskov, il quale fa ampio uso dello skaz per i dialoghi: una tecnica che prevede discorsi diretti quasi improvvisati, conditi da parolacce, errori grammaticali, linguaggio popolare e gergate genuine. Probabilmente, questo stile deve averlo influenzato durante i suoi viaggi, quando i racconti venivano trasmessi oralmente, con buona pace dei virtuosismi e degli stili raffinati. 

"Certo, è tutto chiaro" penso. "E evidente che non sono l'unico ad aver avuto il delirium tremens".

Lui si alzò, gettò la pipa a terra e disse: "Non mi stupisce che tu abbia gettato tutto quello che avevi ai suoi piedi: io, fratello, per lei ho dato quello che non ho né ho mai avuto".

Lo fissai con occhi sgranati.

"Caro mio" dico, "Sua Serenità, abbia pietà, cosa va dicendo? Mi spaventa solo a sentirlo".

"Be"' risponde lui, "non stare tanto a impaurirti: Dio è misericordioso e forse me la caverò in qualche modo, soltanto che ho dato al clan degli zigani cinquantamila rubli per questa Gruša".

Esclamai: "Come, cinquantamila rubli?! Per una zigana? Può quella vipera valere tanto?".

"Be', ecco" risponde lui, "mio carissimo amico, sta parlando in modo sciocco, non da artista... Se vale tanto? Una donna vale quanto il mondo intero, perché può infliggerti una ferita tale che nulla sulla terra può guarirti, solo lei può curarti in un attimo". (pp. 147-148)

Di fatto, tutte le avventure di Ivan possono sembrare tante fiabe autonome messe insieme a creare un puzzle rocambolesco e sconclusionato.  Nella costruzione dei personaggi risulta (come Turgenev) più efficace con i popolani, i tatari, le loro mogli, i poveracci, i miserabili, gli zigani, i vecchi, forse perché (come ho sottolineato poc'anzi) vi è stato a contatto più direttamente. I nobili invece, i ricchi, i notabili, risultano grotteschi e volutamente: sono caricature

Il titolo: incantato. A incantare è Ivan, anche se l'aggettivo fa riferimento alla sua vita incredibile. Eppure i suoi ascoltatori, e noi lettori, non possono fare a meno di venire ammaliati dal suo carisma, che buca le pagine. Mi ha molto ricordato un altro personaggio celeberrimo della letteratura russa (con le dovute prese di distanza): il Maestro di Bulgakov. Stesso magnetismo, stesse peripezie, non si sa mai se si ha a che fare con un genio o con un imbroglione senza talento. Ivan è effettivamente un genio? O solo uno che si è trovato nei posti sbagliati al momento sbagliato? Il suo fascino, credo, sta tutto qui. E nella sua capacità di raccontare, che è poi quella di Leskov.

Ne consiglio la lettura a chi ama i romanzieri russi, a prescindere dal grado di aulicità a cui si è abituati. Leskov è imprescindibile per gli appassionati della letteratura russa.

Deborah D'Addetta