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Una novella generazionale in cui si parte per capire a chi mancheremo: "Addio arrivederci ciao" di Francesco Spiedo

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Addio arrivederci ciao
di Francesco Spiedo
Zona42, 2024

pp. 104
€ 10,90 (cartaceo)
€ 5,49 (ebook)


S. vivacchia in una cittadina ai margini e dà una festa per avvisare tutti: si trasferisce. Ma la mossa non sconvolge nessuno; a parte qualche scialbo invito a ripensarci e un paio di malcontenti formali, la sua partenza sembra essere stata già messa in conto. In fondo, che ci resta a fare in quel posto?
Dopo aver comunicato agli amici la sua decisione, S. si è trasformato, negli occhi di chi lo sta guardando, in un condannato a morte. (p. 7)

Per tutti S. è già partito e sembra di assistere a una veglia funebre. Gli altri si affacciano sulla sua bara aperta e pongono domande sterili, anche se ormai sono sul punto di varcare la porta per l’ultima volta e sarebbe l’ora dei saluti finali, di un addio consapevole, di domande offensive, magari persino rivoltanti, delle parole giuste e senza scrupoli. Invece niente. (p. 15)
Chi sbuffa contrariata quella sera è però G., ragazza che conosce S. da anni, e quelle ultime ore assieme producono un blando, incartato tentativo di discussione. Ma indietro non si torna: la scelta è fatta, domani si parte. 

Quindi addio.

Eppure il ragazzo non conosce ciò che gli aspetta. La prima certezza è che il volo è stato annullato dalla compagnia aerea. Bisogna quindi ripiegare su treni inaffidabili. Arrivano in fila i problemi con la serratura, gli intermezzi con un'arzilla vicina con pappagallo in dotazione, i pensieri su G.; lui la chiama, lei non risponde. Resta solo la città, da attraversare a piedi per l'ultima volta, fino alla stazione, in una cavalcata di straordinaria follia
Una volta glielo aveva spiegato, aveva a che fare con il centrarsi, lo stare bene con se stessi, o forse era qualcosa legato al senso del dovere e la noia. Perché nella sua vita gli obiettivi non erano mai fuori di sé, ma dentro, qualcosa che stava all’altezza dello stomaco. Ecco come si sente, gli pare di star correndo non verso la stazione, ma verso se stesso. (p. 77)
Chiamando in causa Nanni Moretti, autore caro a Francesco Spiedo (e il titolo Addio arrivederci ciao ne è prova), potremmo riadattare il celebre tormentone (negli anni diventato meme) di Ecce Bombo (1978) in un moderno Che dici, parto? Mi si nota di più se parto e mi faccio mancare o se non parto per niente? Ne sarà probabilmente d'accordo S., ragazzo scocciato che, come capita a molti, un giorno capisce che deve cambiare aria. I motivi sono tanti ma nelle intenzioni di S. si nasconde la necessità di una risposta: se parto, a chi manco? Ecco, il senso di una partenza sta nel farci capire chi di noi sentirà l'assenza e chi ci dimenticherà. 

Quindi che succede quando nessuno, appresa la notizia, ne è devastato - quando scopriamo che di noi, a chi ci circonda da anni, in fondo importa poco?
Sto dimenticando, pensa, e dimenticare è una forma di difesa. (p. 23)

Perché è la partenza che spiegherà ogni cosa, partire e poi guardarsi indietro, e allora iniziare a capire tutto, o se non tutto almeno qualcosa. Lei, lui, gli altri capiranno. (p. 54)
Addio arrivederci ciao, pubblicato da Zona42, è una novella fluidissima e rocambolesca. Ma soprattutto generazionale. Spiedo comunica la deriva disincantata di ragazze e ragazzi stufi di barcamenarsi tra ambizioni, destini da centrare, compromessi e attese. Quindi trasforma una mini-odissea urbana in una riflessione tanto amara e poco dolce. 
Emerge subito un personaggio dimesso, quasi rassegnato, di certo deluso e meno pirotecnico dell'Andrea di Stiamo abbastanza bene (Fandango, 2020), giovane emigrato alle prime armi al Nord, e già più vicino ai tre personaggi di Non muoiono mai (Fandango, 2022), che concedevano ampio spazio a sentimenti come l'acredine, il rancore, la tristezza, offuscando la sagacia, l'astuzia e una equilibrata malinconia che caratterizzavano Andrea, di cui S. potrebbe rappresentare una versione cresciuta di qualche anno. 

Spiedo non rinuncia comunque alla sua poetica, cinica solo nella facciata e parecchio divertente e per certi tratti romantica, e combatte la frustrazione con ironia e paradossi, lasciando che il protagonista s'imbatta in una città stralunata, di dylandoghesca fattezza, in cui tutto e tutti sembrano perdere la ragione e le regole civili entrano in stand-by, tra parate surreali e animali in libera circolazione, incontri ravvicinati di improbabile tipo. 

Più maturo e sfiduciato ma non meno brillante, l'autore riflette e riflette, centrando bene una verità che sembra riguardare il mondo degli adulti: più cresciamo, meno sono le persone a cui ci interessa di importare. E a S. importa solo di G.; i due sono cresciuti accanto, si sono visti cambiare, hanno conosciuto attriti e incomprensioni, non hanno forse molto altro da darsi eppure, per dirla alla Calcutta, che mi manchi a fare?, sembra tormentarsi S., nelle ore che, precedendone l'addio, suggeriscono che questa persona, al contrario suo, non ne sentirà la mancanza. Mentre si va, e S. lo sa, bisogna aggrapparsi all'idea che ogni addio conservi in sé la speranza che non sia tale e che non ci si dimenticherà, o quantomeno alla sua illusione.

Daniele Scalese