Il bosco d’inverno di Susanna Clarke
Fazi, 2024
Traduzione di Donatella Rizzati
Illustrato da Victoria Sawdon
pp. 64
€ 10,00 (cartaceo)
€ 5,99 (eBook)
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Chi, come me, dovesse leggere la Postfazione di Susanna Clarke prima del
racconto e scoprirne l’origine in un album di Kate Bush 50 Words for Snow, certo non potrebbe immaginarsi pienamente quel
che l’aspetta risalendo alla prima pagina. La stordente meraviglia di una narrazione che, pur se illustrata, pur
se ambientata in un regno incantato, pur se articolata intorno ad animali
parlanti, ha ben più da dire agli adulti che ai bambini.
Merowdis è una giovane donna, una promessa sposa che rifugge il matrimonio, ma
sogna di avere qualcuno da accudire; una “santa”,
come la considera in casa una famiglia che non la comprende fino in fondo,
perché agisce sulla base di visioni che gli altri non hanno, non riesce ad
accettare una gerarchia tra le creature viventi, ed è a sua agio soltanto in
chiesa, o nel bosco, che «in realtà sono
la stessa cosa» (p. 8). Solo la sorella Ysolde prova a mettersi nei suoi
panni e la asseconda, e non senza difficoltà. Nel pieno dell’inverno, in un
panorama gelido e silenzioso (almeno per chi non ne colga le voci nascoste e
sotterranee), Merowdis imbocca un sentiero di cui ancora ignora la
destinazione.
Man mano che si addentra nella foresta,
accompagnata dalla maialina Apple e dai due cani Pretty e Amandier, la ragazza si libera di tutto ciò che la tiene legata
al mondo esterno, lascia cadere il suo cappellino nella neve e inizia a parlare la lingua degli alberi,
cui racconta la storia del Natale: nel cuore dell’inverno, una giovane donna dà
alla luce un bambino che è destinato a rompere il buio, guarire le ferite, il
Sole che rischiara. Ma nella lingua del bosco, questo racconto umano diventa
qualcosa di diverso, una narrazione
universale in cui il tempo e lo spazio si fondono («ogni bosco si congiunge a tutti gli altri boschi. Tutti insieme sono un
unico bosco. E in quel bosco ogni epoca si congiunge a tutte le altre epoche.
Tutte insieme sono un unico momento. E in quell’unico momento, vediamo
camminare una donna», p. 26). Merowdis non accetta una vita ipocrita e
senza risposte. Merowdis vuole sapere, vuole guardare in faccia la verità,
anche se la implica direttamente e la mette in pericolo. Chi è dunque la figura
vestita di stracci neri che si muove nella tempesta? Cos’è il fagotto che tiene
tra le braccia? Non il bambino atteso, bensì, imprevedibilmente, un cucciolo
d’orso. Merowdis sa che questa è la sua
chiamata, e dice subito il suo sì.
Lei non capisce, disse Amandier. Non può capire. Un tale amore, alla fine, la
ucciderà. […]
No, disse, tristemente, Apple. Capisce perfettamente. I santi compiono
azioni sconvolgenti. È questo che li rende santi. (p. 36)
Il bosco d’inverno è un racconto
sorprendente, una storia di Natale
che presto trasfigura in qualcosa di completamente diverso, o che – al
contrario – del Natale ricerca e riscopre
il senso più profondo, in un amore
che non fa distinzioni, un amore per cui vale la pena giocarsi tutto.
Merowdis è un personaggio affascinante di
cui si vorrebbe sapere tanto di più, finché non ci si rende conto che non si
sta leggendo un romanzo, ma una fiaba,
e che quindi tanto rimane non esplicitato, lasciato alla suggestione del
singolo. Il lirismo della prosa, associato alle belle illustrazioni di Victoria
Sawdon, fanno peraltro di questo piccolo volume un dono perfetto per le
festività natalizie o per i mesi freddi. Nella vicenda narrata, Susanna Clarke
lambisce con grande poesia la soglia
tra la civiltà e la natura, tra l’umanità e ciò che la oltrepassa, tra la
ragione e la follia, tra le scelte e l’abbandono, rimettendo in discussione
quella logica che ci porta a presumere di sapere a priori da quale parte si
collochi la giustizia, da quale l’errore.
Carolina
Pernigo
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