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La natura: specchio e salvezza dell'emarginazione in "I pipistrelli" di Inès Cagnati

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I pipistrelli 
di Inès Cagnati
Adelphi, 2024

Traduzione di Lorenza Di Lella e Francesca Scala 

€ 18 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook) 

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La natura è ormai un punto fisso nella narrazione fin qui pubblicata di Inès Cagnati. Se in Génie La matta e Giorno di vacanza l’elemento panico accompagnava le miserie delle protagoniste, diventando lo specchio di quel dolore insuperabile, in I pipistrelli, una raccolta di sette racconti, diventa un soggetto vivo, acquisendo sempre più spazio nella narrazione. È il riflesso di una “solitudine forzata” che accompagna tutti i racconti, rimarcando, ancora una volta, l’indagine di quell’emarginazione che già l’autrice aveva avuto modo di tracciare nei libri precedenti. 

Nello spazio di un racconto, Inès Cagnati è in grado di dipingere un quadro crudele di un’infanzia rubata che non riesce a trovare quella serenità doverosa, ma che sfugge tra le mani delle piccole protagoniste. È proprio in famiglia che tutte le bambine trovano il primo ostacolo alla realizzazione nella vita adulta. Padri, madri, fratelli e sorelle sembrano non rendersi conto di quanto sia misera la loro vita e che, quindi, non possono essere né d’aiuto né di supporto alle figlie, rimanendo in primis relegati a una vita di povertà. Se a un primo approccio potrebbe sembrare solo un isolamento dal luogo in cui vivono, ogni storia racconta un’emarginazione che travalica gli spazi fisici (sebbene presente e sentita da tutti i personaggi), assumendo un valore ben più profondo che colpisce solo le bambine. Ognuna di loro è circondata da padri di poche parole, segnati dalla fatica nel lavoro dei campi; da madri che, nonostante qualche sprazzo di intraprendenza, non riescono a essere un concreto supporto alle figlie e da fratelli che si rassegnano, senza mai provare a cambiare. E le bambine, quelle figlie così trascurate? È nei fiori, piante e animali, insomma in quella campagna così ostile ai genitori e ai fratelli, che trovano il loro spazio vitale, così sicuro e apparentemente distante da un mondo che, nelle parole e nei fatti, non promette niente. 

«Lo ridico perché le bambine sappiano che non siamo stati sempre degli stranieri poveri che si ostinano a cercare di vivere su queste terre senza pietà. Ecco perché lo ripeto». (p. 43)

C’è un sistema divisivo dentro le mura delle case, nei villaggi e nella campagna che, invece, sembra annullarsi in virtù dell’amore per la natura. Nel racconto La ragazzina in azzurro, una delle protagoniste (figlia di immigrati italiani, come l’autrice) riesce a comunicare con un’altra bambina, figlia invece di polacchi, attraverso i nomi delle piante. Per quelle bambine, la parola «Lotus» (p. 71) diventa il simbolo di una comunicazione e, soprattutto, di una speranza altrimenti nemmeno immaginabile. Tutti gli elementi naturali diventano gioco e amicizia: animali e piante sono un’occasione di dialogo che manca tra genitori e figli e che, in generale, non esiste nemmeno tra gli adulti ed è proprio così che la protagonista di Le lucertole riesce a emergere in un mondo che, almeno per lei, è pieno di solitudine, immergendosi totalmente in quella natura che non le è così nemica come per gli adulti. 

Inés Cagnati torna a indagare il tema dell’infanzia, riprendendo le fila già tracciate negli altri romanzi pubblicati e, ancora una volta, rimarca incolmabile emarginazione e solitudine che ogni bambina prova. Non è una natura che si muove per metafore, ma è dettagliata nelle fattezze reali: La tacchinella, la rana e il ruscello sono parte integrante delle loro vite, talmente tanto che riesce a sostituirsi all’amore genitoriale e familiare

L’impressione, leggendo I pipistrelli, è quella di aver vissuto sette vite diverse ma identiche nella sostanza, che dimostrano la grande capacità di Inès Cagnati di raccontare il dolore, senza mai cadere nella retorica, quella più scontata.

Quando è arrabbiata o triste, mia madre dice che è molto più facile volere bene a un maiale, anche stupido e sporco, piuttosto che a certa gente, perché i maiali non pensano, mentre la gente può riflettere, spiega lei, altrimenti che senso ha. Io non lo so. (p. 51)

Giada Marzocchi