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“Padri e fuggitivi” del pluripremiato scrittore sudafricano J.S. Naudé è un eccezionale libro sul senso della paternità

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Padri e fuggitivi
di S.J. Naudé
Edizioni e/o, 9 gennaio 2025

Traduzione dall’inglese di Silvia Montis

pp. 224
€ 18,50 (cartaceo)
€ 11,99 (eBook)

«Sai» si interrompe, «che fino all’età di ottant’anni era più forte di me? Finché non è stato confinato a letto. Dopo, quando ha iniziato a non starci più con la testa, quando opponeva resistenza se volevo infilarlo nella vasca da bagno, per la prima volta ho potuto fare di lui quello che volevo, piegare e muovere il suo corpo come una bambola rigida. È stato un enorme sollievo quando ha cominciato a dare i numeri, quando non è stato più in grado di controllare nulla». (pp. 116-117)

Un titolo, un destino. Capita sempre più raramente che i titoli dei romanzi abbiano condensato in sé in maniera così eccezionale tutta l’essenza, concreta e anche simbolica, dell’opera a cui danno il nome. È il caso di Padri e fuggitivi, ultimo lavoro dell’acclamato scrittore sudafricano J.S. Naudé, tradotto in Italia per le edizioni e/o da Silvia Montis. Chi sono i padri e chi sono i fuggitivi di questo libro? Bisogna leggerlo tutto, perché si tratta di una lettura assolutamente sconvolgente, imprevedibile, fatta di paradossi, di esiti sorprendenti dall’inizio alla fine. Siamo di fronte a una storia di allontanamenti e di continui ritorni, di viaggi, di ambientazioni internazionali: Londra, Berlino, Belgrado, Cape Town, Tokyo. È una storia di legami e di opposizioni: amicizie inaspettate travestite da relazioni gay, rapporti padre e figli biologici e non, legami familiari che si stringono dopo tantissimi anni di lontananza e distanza. Padri e fuggitivi ha il dono della variazione, ogni capitoletto del libro presenta scenari e personaggi diversi, anche se il protagonista assoluto è uno solo. La noia è bandita dall’orizzonte del lettore.

La narrazione è in terza persona, quindi vi è una voce narrante esterna alla storia e il protagonista è Daniel, scrittore di professione, di origini sudafricane, single e gay. Caratteristica della sua vita, fino agli incontri che farà dalle prime pagine, è quella di fare la spola continuamente da Londra a Cape Town senza stringere relazioni stabili con nessuno, senza riuscire a mettere salde radici:

«È una lunga storia. Pensavo di poter scambiare un continente con un altro. Adesso ho l’impressione che la mia vera casa sia a bordo di un aereo, nei cieli gelati sopra l’Africa…» (p. 15)

È la risposta che il nostro protagonista dà a Oliver e Yugo, una coppia di serbi, gay, che ha incontrato a una mostra d’arte di Agnes Martin, «la pittrice minimalista americana» (p. 14), che gli chiedono come mai faccia questi spostamenti. I due serbi sono i personaggi della prima parte di questa storia che si mostra da subito strana e paradossale. Daniel non riesce a tenere lontano la coppia, in maniera irresistibile e passiva accetta di ospitarla a casa sua e a proprie spese per diverse settimane. 

Daniel ha sorpreso persino se stesso. Incredibile, pensa, cosa può farti la noia - quella sequenza di giorni vuoti, a malapena diversi l’uno dall’altro. Meglio introdurre qualche variabile, affrontare un rischio o una nuova avventura, che vagare per la Tate Modern avvolto da una nube di silenzio. O sedere giorno dopo giorno davanti a un computer, con le mani paralizzate sulla tastiera. Che vada come deve andare. (p. 21)

I tre creano in poco tempo un ménage consolidato, come se si conoscessero da anni: Yugo cucina, Daniel dà istruzioni, Oliver commenta appassionatamente film. Vanno insieme a passeggio, a teatro, li si definirebbe un trio affiatato: all’inizio Yugo e Oliver fanno sesso con Daniel solo quando uno dei due è fuori casa per commissioni. In queste settimane lo scrittore prova a scrivere qualcosa, ma non vi riesce: il suo amico avvocato, a cui racconta l’accaduto, gli consiglia di tenersi lontano da quei due serbi, poiché potrebbero forse coinvolgerlo in qualche truffa o derubarlo e scappare. In realtà i due serbi spariscono senza preavviso e senza rubare nulla, lasciando Daniel perplesso e solo come prima. Dopo un lungo periodo, Daniel riceve una mail da Oliver, che lo invita a una gita di piacere in Germania, come se non fosse mai sparito con il compagno senza salutare. Ancora una volta la noia spinge Daniel ad accettare e a seguire i due serbi in un campeggio tedesco e dopo qualche giorno anche a Belgrado, in  un appartamento sempre chiuso e al buio. Il comportamento di Oliver e Yugo è sempre più misterioso e il lettore verrà trascinato in una città serba dove non si vede una ragazza in giro, ma solo figure losche, ragazzi che in tuta fanno acrobazie su bici e skateboard:

Verrebbe da pensare che sia una colonia abitata solo da ginnici adolescenti, che nessun altro abbia il permesso di viverci. Un posto in cui i ragazzi più giovani vengono cresciuti e iniziati alla vita da quelli più grandi, e in cui si viene soffocati nel letto all’alba del ventesimo compleanno. (p. 50)

Belgrado sarà teatro di una avventura misteriosa e angosciante per Daniel, che si sposterà dopo poco tempo a Cape Town per accudire il vecchio padre, un uomo ricco e autoritario con cui non aveva mai avuto un buon rapporto. Prima di approdare a queste pagine, il lettore incontra il padre di Daniel nei pensieri e nei ricordi del figlio. Sono immagini in cui l’uomo appare solo e silenzioso in una villa smagliante nel capoluogo sudafricano, quasi a preparare chi legge al capitolo dedicato al ritorno di Daniel al fianco del padre ottantenne ormai malato. Tali incursioni spaziali vivacizzano la narrazione e creano aspettativa e curiosità nel lettore, sono dei ponti verso il capitolo successivo. Ho trovato molto realistiche, toccanti e spietate le pagine in cui viene descritto il progressivo decadimento psichico in primis, ma anche fisico, del padre: la routine delle giornate insieme, le visite mediche e le confessioni sulle relazioni gay, con dettagli anche piccanti, che Daniel fa davanti lui, ormai mentalmente assente. La malattia oltre all’assenza e all’apatia porta degli attimi di lucidità nell’ uomo che sconvolgono il figlio, dei barlumi di luce in mezzo a spesse coltri di buio. Sono «scintille delle sinapsi» che «si accendono a sprazzi» (p. 67). 

Dopo la morte del padre si apre un nuovo capitolo della vita di Daniel totalmente imprevisto da lui e assurdo: per mettere le mani sulla metà dei beni che gli spettano in eredità deve accudire un cugino malato che non vede da tantissimo tempo! L'altra metà del patrimonio va alla sorella che vive a Paarl e non si è mai interessata al padre, presa dalla sua vita di successo, perfettamente levigata e senza intoppi: il lettore non la incontrerà mai, se non in qualche battuta scambiata a telefono con Daniel dopo la morte del padre. Da quel momento Daniel affronterà un altro viaggio, un altro ritorno a un passato ancora più lontano, che gli rivelerà un inaspettato segreto di famiglia. Davanti al lettore si apriranno nuovi scenari, nuove figure paterne sui generis (parecchio!), altri figli (maschi), altri viaggi e altre ambientazioni.

Padri e fuggitivi è un romanzo sorprendente, focalizzato sull’essere padri e sull’essere figli, indipendentemente dai legami biologici. Naudé fa riflettere il lettore su una realtà profonda e spesso sottovalutata, oscurata completamente dal sentimento della maternità: anche gli uomini possono sentire dentro di sé il bisogno di prendersi cura di chi è indifeso e vulnerabile e farsene carico per tutta la vita. In Padri e fuggitivi la paternità diventa un modo per ritrovare sé stessi e completare la propria identità. Le figure femminili in questo libro sono marginali, addirittura assenti: la madre di Daniel è morta, la sorella è lontana e così via anche per gli altri personaggi femminili che il lettore incontrerà nei capitoli sui quali ho taciuto. Questo non è romanzo lungo, anzi, è relativamente breve, ma denso di contenuti. Ho apprezzato anche le riflessioni sulla scrittura che Naudé sistema tra le pagine, parlando attraverso il suo, talvolta inconcludente, protagonista:

« […] Scrivere è compulsivo, destabilizzante. L’ultimo rifugio di chi non sa fare niente di utile». Riflette per un attimo. «la ricerca disperata di un varco, di una possibilità. La decisione di correre rischi incalcolabili». (p. 23) 

La scrittura di Naudé profuma di talento autentico, è uno scrittore sbocciato nella maturità. Ho scritto diverse annotazioni a matita sul libro su come egli dipinge le varie città incontrate nella storia, su come inserisce i diversi personaggi nella vicenda principale, su come gioca con le parole e con le immagini. Siamo di fronte a un romanzo potente, lento a volte, fatto di momenti e di conversazioni sincere senza peli sulla lingua, ma anche di variazioni, di avventure inattese. 

Padri e fuggitivi è un romanzo meritevole di attenzione, non solo per il messaggio in superficie di cui ho parlato in questa recensione, ma perché si presta a essere letto anche secondo diverse chiavi di lettura e di interpretazione, soprattutto in merito ai comportamenti e al vissuto dei personaggi che lo popolano e offre spunti di riflessione su tematiche quali la medicina sperimentale e la malattia, le tensioni e i pregiudizi nei villaggi del Sudafrica, il vuoto dell’esistenza e la distanza nei rapporti familiari

Marianna Inserra