di Edward Carey
La nave di Teseo, Gennaio 2025
Traduzione di Elena Malanga
pp. 528
€ 24 (cartaceo)
€ 12.99 (ebook)
“Sono Edith May Holler, la figlia del teatro, la drammaturga. Questo è il mio mondo e ho il pieno controllo.”
Siamo in Inghilterra, nel 1901, la Regina Vittoria è appena morta, sul trono siede il suo erede, già vecchio, e a Norwich, capoluogo della contea inglese di Norfolk (a circa 160 km a nord-est di Londra sulle rive del fiume Wensum in Anglia orientale) esiste un teatro pieno di attori e di vita.
Si chiama Holler Theatre, dal nome della famiglia che l’ha edificato, e Edgar, l’erede della dinastia di teatranti di Norwich, ormai l’unica sopravvissuta in città, ha una figlia dodicenne, molto perspicace e alquanto sveglia: Edith. La piccola Edith ha un unico problema: una maledizione le impedisce di uscire dal teatro, pena la sua morte e la distruzione dell’edificio stesso. Si vocifera che sia solo una diceria per rendere il teatro ancora più affascinante, ma intanto la piccola è reclusa tra quelle mura, per non rischiare davvero il crollo di un edificio, di un mito o di un intero mondo.
Comincia dunque dalla narrazione della vita quotidiana di Edith, tra quinte, scenografie, maestranze e nascondigli, questa meravigliosa fiaba nera per adulti, raccontata in prima persona dalla stessa protagonista, che ammalia, pagina dopo pagina. Questa scelta narrativa ci porta a vedere il personaggio della “drammaturga” Edith, come lei stessa comincia a definirsi, come una sorta di custode di quel mondo.
Affascinata dai racconti della città che conosce solo da lontano e vorace lettrice delle sue leggende – tra storie di fantasmi, antichi re e cavalieri –, Edith decide di scrivere un’opera teatrale tutta sua: un adattamento della leggenda di Mawther Meg, una donna vissuta centinaia d’anni prima che, si dice, abbia salvato la città da un’invasione di tarli e abbia creato una leccornia divenuta nel tempo rinomata in tutto il paese: la pasta di tarlo.
Edith, tuttavia, è convinta che qualcosa non quadri in quella storia e che la vicenda nasconda qualcosa di molto più oscuro e terribile; per questo vuole raccontarla tramite ciò che conosce meglio: il teatro. Quando, però, suo padre annuncia all’improvviso il suo fidanzamento con una donna sconosciuta e strana, di nome Margaret Unthank, facoltosa ereditiera della famiglia che continua a produrre la crema inventata da Mawther Meg, Edith si trova a dover proteggere il padre, il teatro e la sua opera dalle minacce che questa nuova situazione porta con sé.
Sebbene con Edith si metta in luce un unico punto di vista dentro la struttura narrativa, e questo finisca per limitare la conoscenza del resto dei personaggi, diventa interessante vivere il teatro attraverso i suoi occhi giovani e curiosi, perché questo diventa un microcosmo, un luogo che può contenere mondi, ma nel contempo essere asfittico, limitativo, fittizio e spesso crudele.
Come altre opere del genere (dal Fantasma dell’opera di Leroux a Il palcoscenico di Somerset Maugham, fino a Il teatro di Sabbath di Philip Roth), il protagonista diventa strumento e fine per riflettere profondamente sul valore del teatro e su ciò che trasmette.
Un tema ricorrente in queste opere è l’esplorazione della vita dietro le quinte del teatro, mettendo in luce le dinamiche personali e professionali degli artisti. In particolare, sia Edith Holler che Il palcoscenico di Maugham offrono una prospettiva intima sulla vita di una figura femminile (un’adolescente nel primo caso, una donna adulta nel secondo) nel mondo teatrale, affrontando le sfide e le complessità del vivere in un ambiente dominato dall’arte e dalla performance.
Il teatro viene narrato quindi sotto molteplici aspetti: non è più solo un'ambientazione, ma è anche una metafora per esplorare temi universali legati all’identità, all’arte e alla condizione umana. Emblematici di questa metanarrazione sono anche i teatrini di carta che la piccola Edith colleziona (spunto narrativo iniziale per l’intera vicenda, come in un’intervista ha raccontato Carey).
Agli antipodi di Edith, vera e propria antagonista non solo della dodicenne, ma di tutto il bagaglio culturale e di valori che la ragazza rappresenta, c’è la facoltosa Margaret, che vuole distruggere quel mondo, in un’ottica utilitaristica e volta al profitto (e da qui tutta la critica all’industrializzazione e ai limiti del progresso, che distrugge teatri per costruire fabbriche), che da sempre cerca di ingraziarsi le masse, celando dietro “ristrutturazioni” proficue l’odio nei confronti del bello, ritenuto inutile. Col sorriso finto di chi promette benefici e non tollera che qualcuno possa smascherare le logiche del potere, gli oscuri tranelli che si basano su misfatti e omicidi, le cui vittime innocenti reclamano giustizia.
Il libro è impreziosito dai disegni dell'autore e nonostante le oltre cinquecento pagine, scorre piacevolmente, con uno stile semplice ma raffinato e un ritmo che parte lento, ma che incalza il lettore sempre di più, soprattutto nella parte finale, come se fosse concepito con una colonna sonora in crescendo.
In nome di quella giustizia, di quei nomi dimenticati, dei bambini che sono ridotti a grigi ricordi e ombre, in nome di Beckett e di Shakespeare, Edith continuerà a declamare i suoi scritti, a dire “Io sono, io esisto”, figlia dell’arte, della verità e del teatro. Quel meraviglioso scrigno dei desideri, capace, attraverso il meccanismo della finzione, di raccontare le più scomode verità.
Samantha Viva
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