Qualche tempo fa, la casa editrice Sur ha pubblicato una infografica su Instagram dove si afferma: «Lo sapevi che Elena Garro… ha inventato il realismo magico 10 anni prima di Gabriel García Márquez?».
Le slide proseguono con alcuni cenni biobibliografici della scrittrice messicana, evidenziando che a lungo Elena Garro (Puebla, 1916-Cuernavaca, 1998) è rimasta nell’ombra di un canone maschile. Infine, si ribadisce che il manoscritto de I ricordi dell’avvenire (prima edizione in spagnolo del 1963), rimasto a lungo in un cassetto prima di essere pubblicato, rappresenta l’inizio di un modo di raccontare il mondo che avrebbe dato un posto unico all’America Latina nella letteratura mondiale.
È doveroso, a questo punto, fare una premessa, anzi due. La prima: la casa editrice Sur fa un lavoro fondamentale in Italia. Il suo catalogo è uno dei più prestigiosi e ricchi per quanto riguarda la letteratura ispano-americana. L’instancabile lavoro di traduzione e recupero di testi che l’editoria italiana ha trascurato per decenni è encomiabile. Ricordo anni fa quando pubblicarono Tre tigri tristi di Cabrera Infante, romanzo chiave per capire la Cuba dei primi anni della rivoluzione. Seconda premessa: Elena Garro è stata una delle più importanti voci letterarie del Novecento, al pari dei suoi colleghi più celebrati, a cominciare da Octavio Paz, di cui fu moglie. Insieme a Rosario Castellano, Elena Garro è la più importante scrittrice messicana di sempre. Se Castellano è considerata una pioniera nella letteratura indigenista grazie a Banún Canán, anche Elena Garro è corretto considerarla come una delle prime e più importanti voci del realismo magico. Tuttavia, sostenere che Elena Garro abbia inventato il realismo magico dieci anni prima di Gabriel García Márquez è semplicemente falso, pretestuoso, nonché un’ottima mossa di marketing a poche settimane dall’uscita su Netflix della serie su Cent’anni di solitudine (che non ho visto e, per questo, non commento). Andiamo a vedere perché quanto diffuso su Instagram da Sur è falso.
L’etichetta realismo magico è tanto evocatrice quanto ambigua. Su cosa significhi questa ambiguità, ne ho scritto su queste stesse pagine, quindi ora limitiamoci a una riflessione veloce e con una prospettiva storica, invece che critica. La prima edizione de I ricordi dell’avvenire—che Sur ha da poco pubblicato in Italia—è del 1963, quattro anni prima della prima edizione di Cent’anni di solitudine (1967), ma otto anni dopo l’esordio letterario di García Márquez con Foglie morte (1955), un romanzo breve dove già compare l’universo di Macondo. Tuttavia, sostenere che il Nobel colombiano sia l’inventore del realismo magico—un’inferenza facilmente deducibile dal post di Sur—è altrettanto falso. Lo stesso anno di Foglie morte, infatti, viene pubblicato Pedro Páramo, il capolavoro di un altro scrittore messicano, Juan Rulfo, quasi unanimemente considerato il più importante romanzo della storia della letteratura messicana e uno dei primi esempi di realismo magico. Tuttavia, Pedro Páramo segue di due anni la raccolta di racconti El llano en llamas (1953) dello stesso Rulfo, che contiene già alcuni tratti stilistici e alcune tematiche che, poi, prenderanno corpo in Pedro Páramo. Bene, allora è Juan Rulfo ad aver inventato il realismo magico? Non è proprio così, perché nel 1949 vengono pubblicati due romanzi che sono ormai considerati canonici in questo genere: El reino de este mundo, del cubano Alejo Carpentier; e Uomini di mais, del guatemalteco Miguel Ángel Asturias, premio Nobel della letteratura nel 1967. In particolare, Carpentier antepone al suo romanzo una breve introduzione in cui spiega il concetto del ‘reale meraviglioso’, che si considera il primo approccio teorico a quel particolare modo di narrare la realtà che, poi, dopo Cent’anni di solitudine, abbiamo iniziato a chiamare ‘realismo magico’.
A questo punto qualche lettore penserà che il realismo magico lo abbia inventato proprio Carpentier, visto che ne ha scritto il primo, e finora unico, manifesto. Il punto è che neanche lo scrittore cubano può appuntarsi al petto la medaglia di inventore del realismo magico, per la semplice ragione che non esiste un inventore del genere. Se, infatti, andiamo indietro nel tempo, vedremo che la picaresca ispano-americana del XIX secolo contiene già elementi che si possono ricondurre al realismo magico. Più che un genere inventato a tavolino da qualcuno, il realismo magico riflette un modo di sentire, interpretare e riprodurre la realtà che è proprio di alcune zone del Pianeta che si trovano ai margini del mondo occidentale (non è un caso che anche dall’India ci siano arrivati esempi inarrivabili di realismo magico, come il caso di Salman Rushdie). È un qualcosa che noi percepiamo come esotico, ma che in realtà è perfettamente normale per chi è immerso in quelle realtà e che è nato e cresciuto a contatto con un folklore diverso da quello euromediterraneo.
Più che andare alla ricerca di chi ha inventato il realismo magico, dovremmo interrogarci sul fatto che è un’etichetta che riflette una visione eurocentrica della letteratura e che, in un’epoca di de-colonizzazione come la nostra, dovremmo abbandonare. Per quanto riguarda Sur e il suo post, invece, credo che sia opportuno, per l'editoria italiana in generale, iniziare a fare divulgazione con un minimo di rigore, evitando iperboli che non fanno altro che confondere il lettore che si avvicina ad autori che magari non conosce, ma anche storcere il naso a lettori esperti che salutano con piacere l'arrivo nelle librerie italiane di una scrittrice del valore di Elena Garro.
Alessio Piras
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