Leggere Dante a Tor Bella Monaca
di Emiliano Sbaraglia
edizioni e/o, 2025
pp. 154
€ 17,00 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)
Tor Bella Monaca è un luogo di frontiera, di degrado e di contraddizioni; un luogo dalle potenzialità inespresse, su cui investire, in cui la scuola è mezzo e metafora. È il luogo dei sentimenti confusi, della desolazione e della resilienza; ogni spostamento è un avventura, e il quartiere è quindi un luogo dantesco di per sé, in bilico fra le cantiche: «questa strada è fatta così, inferno e paradiso, inferno o paradiso, spesso artificiale, mentre il purgatorio assume contorni indefiniti e mutevoli» (p. 13). Quello per arrivare all’edificio scolastico è il primo dei viaggi, nonché l’inizio del viaggio. Ogni giornata si apre sull’imponderabile, diventa occasione unica di formazione, non solo per gli studenti, che spesso la rifuggono, ma anche per chi è lì, per scelta più o meno consapevole, per impartirla, e finisce invece per riceverla.
La scuola pubblica della periferia romana è un ambiente in cui serve essere, più che missionari, professionisti, ovvero persone che portano la loro competenza e accettano di metterla a servizio, in un contesto tutt’altro che facile. È però anche uno spazio in cui la passione - per la materia, o per l’umano - viene riconosciuta e genera adesione, anche se in un modo ruvido, fragile, incostante, che bisogna imparare a riconoscere. A Tor Bella Monaca è ancora fondamentale, più di tutto, «"leggere, scrivere e far di conto". Serve come il pane, serve per il pane. La didattica di base per trovare una via d’uscita» (p. 18). Ecco allora l’importanza di ricominciare dalla lingua, e quindi magari di imbarcarsi nel “folle volo”, nel supremo atto di hybris, o forse nell’unica cosa che abbia senso: ripartire dalle origini, ripartire da Dante. E sfruttarlo per parlare con gli studenti, per raccontare degli studenti. Perché la letteratura ha sempre a che vedere con la vita che brucia, e diventa tanto più importante laddove maggiormente la vita brucia. È attraverso i confronti tra l’una e l’altra che la parola degli autori si anima. Bisogna ovviamente affrontare alcune sfide: la perplessità dei colleghi, l’opposizione dei famigliari (quando presenti), che non capiscono come i loro ragazzi, che talvolta faticano a scrivere e parlare, possano trarre giovamento dallo studio della Divina Commedia… A tutto, Sbaraglia oppone la fermezza di una posizione maturata nel tempo e nella riflessione, nell’autoformazione assidua e nel confronto con le fonti, ma anche con dei modelli di vita ispiranti e forti, che lo hanno avvicinato sempre più al testo dantesco e che gli hanno permesso di interiorizzarlo, per poterlo poi riproporre ai suoi alunni.
Ex ricercatore universitario convertito alla secondaria di primo grado, l’autore-narratore affronta con grande pragmatismo la descrizione della realtà scolastica e dei suoi problemi (dal dramma della dispersione agli eccessi di burocrazia; dalla sterilità di tanti corsi di formazione allo svuotamento progressivo causato da una certa “scuola delle competenze”), che riconoscerà chiunque ci stia dentro - in qualunque ruolo. La narrazione procede in maniera non lineare attraverso inserti caustici, momenti di lezione (continuamente interrotti dagli interventi più o meno proficui, più o meno coloriti, dei ragazzi) e brevi ritratti dei giovani e delle giovani che compongono la classe - una terza media che si avvicina agli esami conclusivi - e che si portano dietro storie complesse, pesi spesso troppo grandi per la loro giovane età.
Alcuni episodi, tra quelli narrati, sono talmente esagerati da risultare grotteschi e strappare una risata, anche se al contrario dovrebbero turbare, perché probabilmente sono veri.
In realtà, però, il breve scritto di Sbaraglia non è solo un volume sulla scuola, bensì piuttosto un volume su Dante, e sul modo in cui la sua scoperta, o riscoperta, può cambiare la prospettiva sul mondo. Il lettore viene messo a parte dei contenuti affrontati in aula e, come gli studenti, pungolato a riflettere sulle implicazioni del messaggio che il Poeta trasmette. Dante è “un fuoriclasse”, “più forte di Totti”, e questa tesi viene sottoposta all’attenzione del pubblico, come dell’utenza scolastica. Ecco perché non è detto che il destinatario ideale dell’opera sia un insegnante, che conosce già buona parte dei temi affrontati, compresa la sacrosanta denuncia delle tante storture del sistema di reclutamento e del trattamento professionale del corpo docente. Il volume può essere anzi illuminante soprattutto per chi a scuola non ha mai messo piede se non da studente, perché potrebbe realizzare ciò che chi vi lavora si trova a dover gestire quotidianamente, compresa l’elevata pressione psico-fisica legata alla necessità di interagire con un materiale umano incandescente, non fosse altro che per la delicata fase della vita in cui gli allievi si trovano.
Il viaggio sulle tracce del Sommo Poeta, che si snoda di ora in ora, di mese in mese, assume una valenza spesso concreta, che lo mette in relazione con temi di stringente attualità (come la musica trap, la politica, l’educazione civica,…) e che si traduce, infine, in un viaggio vero e proprio, un pellegrinaggio letterario, intrapreso non senza difficoltà, dalla classe alla volta di Firenze. Se la scuola pubblica deve essere il territorio dell’inclusione, infatti, gli studenti rivendicano a gran voce il diritto di essere trattati come i loro coetanei che vivono in contesti più fortunati, a partire dall’accesso alle uscite didattiche - che per molti coincidono anche con la prima uscita dal quartiere, e con la prima occasione in assoluto di un allargamento della prospettiva:
Chissà cosa vuol dire una gita di questo tipo, fuori dal proprio mondo, fuori da quella strada, per un paio di giorni finalmente liberi di confrontarsi con qualcosa di diverso da quello che ti costringe ogni giorno a indossare una maschera che non è la tua. Arrivati a destinazione, appena usciti dalla stazione gli occhi di tutti guardano in ogni dove, roteano inconsapevoli, come fossero appena venuti al mondo. (p. 119)
Come nella Divina Commedia, cui i ragazzi poco alla volta si appassionano, anche nella vita scolastica il viaggio prevede un percorso di elevazione. Gli esiti, però, sono dissimili - e non sempre dipendono dalla buona volontà: quanto pesino sui destini (ancora più che sulle occasioni di formazione) le circostanze esterne è evidentissimo in realtà come quella di Tor Bella Monaca, e questo rende ancora più delicata la professione dell’insegnante, e più pungente la critica di Sbaraglia. Il volume quindi deve finire bene, come si conviene a una commedia, ma non senza un’amarezza di fondo, che rimane il messaggio più urgente, quello da tenere a mente una volta terminata l’ultima pagina, perché cresca nel pensiero comune la consapevolezza della necessità di un cambiamento.
Carolina Pernigo
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