Ammazzando il tempo. Un'autobiografia
Feltrinelli, 2025
pp. 240
€ 29,00 (cartaceo)
€ 18,99 (eBook)
Torna in libreria trent'anni dopo la prima edizione (ottobre 1994, per i tipi di Laterza), Ammazzando il tempo, l'autobiografia per nulla autocelebrativa, ma ironica, scanzonata e dissacrante proprio come era Paul K. Feyerabend. Una, nessuna, cento vite, verrebbe da dire, perché Feyerabend - oltre ad essere l'epistemologo geniale e controverso che tutti conoscono - fu anche cantante lirico, insegnante, soldato, appassionato di opera e teatro, si sposò quattro volte e visse a Vienna, Weimar, Londra, Bristol, Berkeley, Zurigo, in Italia e in Nuova Zelanda. Gli elementi per un'autobiografia scoppiettante, come avrete capito, ci sono tutti.
Si comincia, come è d'obbligo, dall'infanzia, dall'infanzia a Vienna e dall'adolescenza negli anni dell'Anschluß. Un'anamnesi quasi che l'autore intraprende con leggerezza:
Dopo avere fatto lezione per quarant'anni in università inglesi e americane, mi ero quasi dimenticato dei miei anni nel Terzo Reich, dapprima come studente, poi da soldato in Francia, Iugoslavia, Russia e Polonia. Mi erano diventati estranei persino i miei genitori: chi erano quelle persone che mi avevano tirato su, insegnato a parlare, reso l'ottimista nervoso che sono tuttora, e che di tanto in tanto invadono i miei sogni? E come ho fatto a diventare una specie di intellettuale, addirittura un professore, con un ottimo stipendio, una reputazione controversa e una moglie meravigliosa? (p. 13)
Alla prima domanda (come lui abbia fatto a diventare una "specie di intellettuale") troviamo risposta leggendo in ordine sparso le figure incontrate da Feyerabend nel suo itinerario formativo: Ludwig Wittgenstein, Niels Bohr, Karl Popper, Rudolf Carnap, Elizabeth Ascombe, solo per citarne alcuni. Come gli scrisse in una lettera Allan Janik (importante studioso della cultura viennese), Feyerabend sembrava «essere ovunque capitassero delle cose interessanti, a provocare le persone» (p. 72). L'autobiografia prende corpo alternando in modo armonico e frizzante ricordi prettamente biografici e personali a questioni scientifiche e filosofiche e all'impatto che il confronto con filosofi e scienziati hanno avuto nella formulazione del suo pensiero.
Ecco, l'incontro con Ludwig Wittgenstein:
Wittgenstein si presentò con più di un'ora di ritardo. "la sua faccia assomiglia a una mela secca", pensai, e continuai a parlare; si sedette, ascoltò per qualche minuto e poi mi interruppe: "Halt so gehht das nicht!" ("Basta, così non va!). Egli discusse in dettaglio ciò che si vede guardando in un microscopio: sono queste le cose che contano, sembrava volesse dire, non le considerazioni astratte sul rapporto tra "asserzioni di base" e "teorie". Mi ricordo perfettamente come pronunciava la parola Mikroscop. Ci furono delle interruzioni, delle domande insolenti, ma Wittgenstein non si scompose: chiaramente preferiva il nostro atteggiamento irriguardoso all'ammirazione adulatrice di cui era oggetto altrove. (p. 78)
Leggere Ammazzando il tempo, in effetti, non è solo ripercorrere la vita di Paul K. Feyerabend, ma anche attraversare le questioni epistemologiche che hanno scosso fin dalle basi la scienza e la gnoseologia del Novecento. Ripercorrerle non in modo teorico, ma mediante la parola viva di chi ha discusso, quasi sempre in modo provocatorio e irriverente, con i maggiori esponenti della filosofia della scienza. Non mancano tuttavia pagine di grande franchezza, come quelle in cui il filosofo racconta la sua depressione.
Era come un animale, qualcosa di ben definito, localizzabile nello spazio. Mi svegliavo, aprivo gli occhi, ascoltavo: c'è o non c'è? Nessuna traccia. Forse dorme. Forse oggi mi lascerà in pace. Cautamente, molto cautamente, esco dal letto. (p. 140)
Lo stesso titolo si riferisce all'irrequietezza di Feyerabend, che ha creato situazioni agli antipodi della depressione, ma ugualmente cause di sofferenza:
Avevo un incarico, ne assunsi un altro e poi un altro ancora, finché mi ritrovai a passare la maggior parte del tempo in volo da un posto all'altro. Di fronte a una sfida esterna andavo al massimo, ma tentennavo quando dovevo contare solo sulle mie risorse. Per quasi un anno presi ogni giorno regolarmente un sedativo e dormivo notte e giorno, tranne che per tenere le lezioni all'università e per seguire quelle di canto: stavo davvero "ammazzando il tempo". In un certo senso, aspettavo che la mia vita avesse inizio: domani, pensavo, o la settimana entrante, o l'anno prossimo ogni cosa andrà a posto. (p. 105)
Ciò che colpisce è la mancanza di malinconia o di rimpianto, la narrazione fluida e lucida, perché davanti all'alternativa di usare uno stile semplice che possono capire anche i lettori "profani", non filosofi, e quello oscuro (a p. 168, egli critica apertamente gli "ottenebratori" come Derrida) di chi intimidisce i lettori, Feyerabend propende sempre per la prima soluzione.
Nell'autobiografia vi sono anche pagine dedicate alla messa in discussione delle proprie idee, all'aggiustamento di alcuni concetti e alla rassegna di alcune critiche che gli sono state rivolte, soprattutto al suo cosiddetto anarchismo metodologico. Ma Ammazzando il tempo, per i motivi che dicevamo, non è un libro per gli "addetti ai lavori" e tocca anche momenti lirici, come nelle ultime pagine, scritte poche settimane prima di morire, in ospedale.
Questi potrebbero essere i miei ultimi giorni. Li centelliniamo ad uno ad uno. La paralisi insorta di recente è dovuta a un versamento ematico nel cervello. Mi preoccupo che dopo la mia dipartita resti qualcosa di me: non saggi, non dichiarazione filosofiche definitive, ma amore. [...] Ecco ciò che vorrei, che a sopravvivere non fosse niente di intellettuale, soltanto amore. (p. 169)Deborah Donato
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