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La storia di un uomo "Onesto", di nome e di fatto, raccontata alle montagne

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Vidotto-Onesto


Onesto
di Francesco Vidotto
Bompiani, 2025

pp. 247
€ 19 (cartaceo)
€ 12,99 (e-book)

Un passo alla volta, come sempre accade in montagna, le parole tacciono e diventano respiri. (p. 241)

Onesto, l'ultimo romanzo di Francesco Vidotto, è la storia di tre destini che s'incrociano, quello di Onesto, appunto, quello di Santo, suo fratello gemello, e quello di Celeste, bimba, ragazza e poi donna bellissima. Crescono insieme nelle valli del Cadore. Onesto ci arriva qualche anno dopo perché rapito da una coppia nel bosco quand'era neonato (succede anche adesso, come la cronaca ci insegna, ma allora, a cavallo tra le due guerre mondiali, nessuno si dava la pena di aiutare una povera donna, già vedova peraltro, a ritrovare il suo piccolo). Come Onesto torna tra le braccia della madre il lettore lo apprenderà dalle prime pagine.

I tre bimbi crescono assieme in questo piccolo paese, Tai di Cadore, circondato dalle montagne, che sono proprio quelle ritratte nella bellissima copertina (la foto è dello stesso Vidotto, tanto per essere chiari sulla simbiosi di autore, storia e alte vette). E fin da piccoli, in questo loro legame, albergherà un segreto inconfessabile, un sentimento che, se rivelato, potrebbe portare alla rovina del rapporto fraterno e, chissà, forse anche dell'amicizia. I due gemelli infatti si innamorano istantaneamente di Celeste, fin dal primo sguardo, insieme, ma Santo è il primo a dirlo e, anzi, a chiedere l'aiuto del gemello per conquistarla. Non immaginando di spezzargli il cuore. Ma Onesto, di nome e di fatto, è ben deciso a non fare parola di questo suo amore e si risolve a portare sempre con sé Celeste, ma solo nel pensiero, nel cuore, nell'anima.

La storia di Santo, di Onesto e di Celeste si dispiega grazie a un escamotage letterario. L'autore, personaggio egli stesso del romanzo, soccorre un anziano in una notte di tempesta (la famigerata Vaia che scosse le montagne nell'ottobre 2018, portando con sé migliaia e migliaia di abeti) e lo porta in casa a scaldarsi. È qui che Guido Contin, detto Cognac, vede su un antico strumento, un cardalana utilizzato come portafotografie, un'immagine antica, incorniciata in un ferro di cavallo. Una fotografia che lo scrittore racconta di aver trovato in montagna, sull'Antelao, e di aver deciso di portarla a casa, proteggerla in un portafoto per poi riportarla su, alla prima occasione, «così che possa continuare a guardare le albe e i tramonti da lassù» (p. 32). Ma l'anziano Guido non lo ascolta nemmeno e con un filo di fiato mormora il nome della ragazza della foto... Celeste. In seguito, Contin mostra all'autore un plico di lettere antiche indirizzate alle cime intorno, il Picco di Roda, il Cridola, il Rite, la Croda Bianca, la Cima dei Preti, la Croda di Mezzodì, la Croda Longa, l'Antelao, il Passo Sant'Antonio e tutte le altre vette che incorniciano le valli cadorine. Le lettere sono firmate da Onesto che, non potendo raccontare a nessuno del suo amore, si rivolge alle montagne che, sole, sanno ascoltare e lenire il suo dolore.

Queste lettere, lette a voce alta dall'autore e ascoltate con struggimento dall'anziano Contin, che le conosce a memoria, raccontano la vita di Onesto, di Santo, di Celeste. E di tutto il piccolo mondo antico intorno a loro, le madri, infagottate nelle loro vesti da montanare, sfiancate dal lavoro e dalle privazioni, i padri, induriti dalle fatiche e dagli stenti, e tutti i personaggi che rendono vivo un paese di montagna, alcuni comparsi anche nei libri precedenti di Vidotto. Uomini e donne a cui la vita ha insegnato ad amare più con le azioni che con le parole. Personaggi che affrontano l'esistenza nell'unico modo conosciuto: il duro lavoro che li porta ad alzarsi al mattino e a coricarsi alla sera in una circolarità di azioni che è la loro vita. Cercando sempre e comunque di adattarsi alla natura, farsela amica, per quanto possibile, tentando di domarla o piegandosi a essa per sopravvivere. Attaccati alla loro terra e alle loro montagne, che conoscono palmo a palmo. 

È la storia di persone semplici che però, nella loro spontaneità, rappresentano valori eterni e universali, connaturati all'uomo: l'amore, sia quello passionale sia quello filiale, il rispetto, la fedeltà, l'onestà, la capacità di rimanere saldi nella propria decisione, ma anche disvalori come la violenza, la brutalità, la sopraffazione. 

La natura è onnipresente, come personaggio, come contesto spazio-temporale, come paragone, come riferimento. "Vorresti essere il mio cielo, Santo?" (p. 246) o "Le mie montagne sei tu" (p. 247) sono le poche e semplici parole con cui Celeste si dichiara.

Il racconto è lirico, la penna di Vidotto è magica nel suo intingersi nella natura al cospetto delle sue montagne. Ma non si pensi a un idillio bucolico. La trama non tarda a prendere una brusca accelerazione e a gettare le vite dei tre ragazzi in un vortice di violenza, di durezza e di dolore, acuito dall'arrivo della guerra che porterà morte e distruzione.

Camminavamo guardinghi lungo le strade di macerie, diffidenti come le volpi, che il conflitto, con la sua portata totale, aveva smascherato l'anima nera di molti paesani, proprio come l'autunno svela la natura di un fazzoletto di larici in un bosco di abeti. (p. 209)

Onesto, Santo e Celeste attraverseranno la tempesta della vita e che cosa succederà a tutti e tre lo racconta Onesto nelle sue lettere rispedite al mittente perché il postino non sapeva che farsene. Di capitolo in capitolo il suo racconto si alterna con l'intervento dello scrittore. Il quale non riesce a togliersi dalla testa la storia dei tre ragazzi offertagli su un piatto d'argento dall'anziano Guido Contin, detto Cognac, che vive con un gatto, di nome Moglie, in un casello dismesso.

Il finale aspetta il lettore per offrirgli una sorpresa perché «alle volte, per trovare la libertà, bisogna perderla» (p. 213).

Con questo romanzo, che porta come titolo il solo nome del protagonista, come altre opere dell'autore (Oceano, Siro, Zoe), Francesco Vidotto, da tempo voce importante nella letteratura di montagna, ha scalato le classifiche delle ultime settimane, posizionandosi lassù, in vetta. Com'è abituato da sempre a fare con le cime che gli stanno attorno, da quando ha rinunciato a una carriera da manager, che non lo rappresentava più, per trasferirsi nell'antica casa lasciatagli dai nonni proprio a Tai di Cadore.

Sabrina Miglio