Oggi il pane è diventato per tutti noi una questione privata: lo acquistiamo dai panificatori artigianali o da quelli industriali, e lo consumiamo chiusi tra le mura delle nostre case, non avendo più la minima idea dell’universo di senso collettivo che gli ruotava intorno fino a qualche decennio fa. (p. 143)
Qual è il cibo con il più rilevante carico di simboli e al tempo stesso il più rappresentativo della nostra civiltà, se non il pane? C’è un alimento più iconico? Gabriele Rosso, membro del comitato di redazione della rivista «L’integrale» e vicecuratore della guida ai vini Slow Wine, nel saggio divulgativo Storia del pane. Un viaggio dall’Odissea alle guerre del XXI secolo delinea le vicissitudini di questo cibo alla base della nostra alimentazione a partire dalle sue origini, incerte per la verità, fino ai nostri giorni, alla società contemporanea, svuotato del valore, del senso collettivo - anche del sapore, probabilmente - originari. Come più volte precisa l’autore nelle prime pagine, in questo libro si parla del pane lievitato, quello utilizzato dalla nostra civiltà occidentale, anche se, nell’indagare sulla creazione del primo pane dell’antichità, si parla anche di quello non lievitato. Ammaliato dalla figura del nonno, che, orgoglioso, produceva pane con farina non propriamente pregiata, Rosso sottolinea non la bontà di quel pane, «tutt’altro che invitante» (p. 10), ma il gesto d’amore che si nascondeva dietro alla produzione di quel cibo:
In fondo doveva godere nello sfamarci con il pane che creava con le sue mani callose, gonfiate dalla crudezza della vita contadina, una vita di pancia, di teste basse rivolte a fissare la terra. (pp. 9-11)
Un pezzo di pane, nei momenti di miseria e di difficoltà economiche, è un gesto d’amore, un contributo alla sopravvivenza di una famiglia. Il pane, in tutte le sue varianti, è il protagonista indiscusso dell’universo alimentare e gastronomico della civiltà occidentale, ed è così carico di simboli e affascinante da studiare perché ha alle spalle non soltanto un’origine ancora misteriosa, ma anche i processi che contribuiscono alla sua produzione sono altrettanto affascinanti, arcani, simbolici: il fuoco della cottura, il miracolo dell’agricoltura e l’intrigo della lievitazione. «Partiremo dall’Egitto» continua l’autore nell’Introduzione «e passeremo attraverso la cristianità, le carestie, gli assalti ai forni nel Medioevo, l’invenzione della farina bianca e quella del pane industriale, la rivoluzione del forno di casa, e arriveremo alla morte (apparente?) del pane quotidiano» (pp. 12-13).
Siete pronti allora a intraprendere questo viaggio così godibile e arricchente? L’apparato bibliografico è di tutto rispetto, i capitoli sono agevoli, la scrittura è accessibile: una coniugazione perfetta tra piacere e autorevolezza. Rosso interroga studiosi come Fernand Braudel, pietra miliare per lo studio della storia della civiltà del Mediterraneo antico e medievale, lo storico israeliano Yuval Noah Harari, il compianto Hobsbawm, ci fa scambiare qualche battuta anche con scrittori importanti come Manzoni, Hugo, Dickens, che nelle loro opere hanno parlato di miseria, assalto ai forni, furto di pane.
Il pane è ovunque: nella storia di ogni epoca, nell’arte, nella letteratura! Mangiare pane equivale a vivere. Rosso comincia questo viaggio con l’esperimento sconcertante e affascinante di Jonathan Blackley, inventore di Xbox, che durante la pandemia annunciò su quella che allora si chiamava Tweet (ora X) di aver provato a riprodurre il pane dell’antico Egitto con dei lieviti recuperati da alcuni contenitori di ceramica risalenti a 4500 anni fa. Provare a individuare dove e quando il pane sia stato inventato è comunque una grande forzatura:
L’invenzione del pane naviga in buona parte nel regno della mitologia, così come sono mitologiche, fiabesche, romanzate anche molte delle sue evoluzioni tecniche, perlomeno fino all’Ottocento inoltrato. (p. 35)
Gabriele Rosso raccoglie testimonianze letterarie, storiche e religiose per sottolineare che, al di là delle sue origini oscure e misteriose, il pane sia stato sempre al centro nella vita dei popoli antichi, addirittura nell’epoca sumera di Gilgameš, Enkidu passa dallo stato di barbarie a quello di civiltà prima attraverso amplessi con una prostituta sacra e poi mangiando del pane. Oltre al pane, in epoca egizia e sumerica, era importantissima anche la birra, e probabilmente la testa di ponte tra pane lievitato e birra è stato proprio il processo di fermentazione dei cereali, come Rosso non manca di argomentare supportato da fonti autorevoli.
Dalla Mesopotamia e dall’Egitto, l’autore passa al rapporto tra pane e religione presso la civiltà greca dei misteri eleusini in onore della dea delle messi Demetra, per i latini Cerere (Ceres, da cui “cereali”), passando poi per lo zoroastrismo, l’ebraismo, l’Islam, il cristianesimo. Più di tutte le altre religioni però è il cristianesimo a dare luogo a una civiltà panecentrica: il miracolo della moltiplicazione del pane, la risposta di Gesù a Satana in Matteo (4: 3,4): «Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio», finanche il dogma della transustanziazione emanato da Innocenzo III nel 1215 dove con la consacrazione l’ostia diventa vero corpo di Gesù:
Il corpo di Cristo è pane, mangiare il pane equivale a vivere, il pane è oggetto di moltiplicazione miracolosa: tutto ciò che sul pane è venuto dopo, sul piano culturale, ha risentito enormemente di questa caratterizzazione di stampo religioso. Il pane, in definitiva è stato fatto oggetto di un vero e proprio sovraccarico simbolico, che ci può aiutare a spiegare buona parte delle vicende che he hanno segnato la storia successiva. «Non di solo pane vivrà l’uomo», si legge nelle scritture. Tuttavia, proprio grazie alle scritture e al mondo cristiano, l’uomo è arrivato (quasi) a vivere di solo pane. (p. 53)
Tenuto conto dell’atavico legame tra pane e religione, c’è da chiedersi, continua pensieroso l’autore: che ruolo avrà ancora il pane sulle tavole delle future generazioni atee, che sanno ormai vivere senza Dio?
Attraversando il Medioevo e l’età moderna, raccontando storie di forni comuni e di assalti ai forni, di mulini, di rivoluzioni, di carestie, Rosso ci fa approdare alla produzione di pane industriale, già tagliato a fette e imbustato per venire incontro alle famiglie che non hanno neppure il tempo di comprare il pane dal fornaio.
L’esito di questo viaggio nella storia del pane ci lascia molto riflettere su quanto sia cambiata la nostra società e con essa anche il pane e il suo sapore. Oggi da un lato siamo circondati da ricette e studi carbofobici che demonizzano pani e prodotti lievitati e dall’altro quel poco pane che c’è è ben lontano come qualità da quello che veniva prodotto originariamente con la pasta acida (che, spiega Rosso, non è il lievito madre!). Siamo davvero di fronte all’eclissi totale del pane dalle nostre tavole e dalla nostra civiltà? Lascio al lettore le proprie conclusioni, oltre al piacere di scoprire un saggio affascinante e accessibile.
Marianna Inserra
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