in

«Non è che da un giorno all’altro siamo precipitate nell’abisso: succede poco per volta»: Dickens, la Londra vittoriana, la realtà e l'invenzione letteraria nel nuovo romanzo di Stacey Halls

- -

Le ragazze di Urania Cottage
di Stacey Halls
Neri Pozza, ottobre 2024

Traduzione di Annamaria Biavasco e Valentina Guani

pp. 352
€ 20 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Un anno dopo la fortunata pubblicazione di Mrs England, di recente Neri Pozza ha portato in Italia un nuovo romanzo di Stacey Halls, giornalista e scrittrice del Lancashire: Le ragazze di Urania Cottage, tradotto a quattro mani da Annamaria Biavasco e Valentina Guani, è il quarto romanzo di un'autrice spesso accostata a Hilary Mantel per la riuscita fusione di ricerca storica e invenzione letteraria. Nonostante qualche debolezza su cui torneremo, il romanzo è particolarmente interessante e apre a diverse suggestioni e spunti di riflessione su una serie di tematiche che non si esauriscono nel contesto storico sociale entro cui si sviluppa la storia ma che, pur con implicazioni diverse, dialogano con la nostra contemporaneità. Ed è interessante anche per quell’intreccio già accennato di realtà e invenzione letteraria che Halls riesce a dosare perfettamente, trasponendo sulla pagina uno spaccato vividissimo dell’età vittoriana e, più nello specifico, un certo aspetto della Londra del 1847, su cui si innesta poi la finzione, in un gioco quasi inesplicabile tra rimandi, reale, letteratura.

Lo spunto originale su cui Halls costruisce la sua storia è Urania Cottage: a metà strada tra un rifugio e un esperimento sociale, è un progetto voluto fortemente da Charles Dickens e dall’amica Angela Burdett-Coutts, coinvolti direttamente nella realizzazione. Urania Cottage era una casa-rifugio per “fallen women”, donne della classe lavoratrice cadute in disgrazia, bisognose, senza dimora, molte delle quali finite in carcere per crimini spesso legati al furto o alla prostituzione; a Urania Cottage un gruppo scelto di donne perdute veniva accolto, educato ai lavori domestici, riceveva un’educazione di base e gli insegnamenti necessari a poter condurre in seguito una vita lontana dal vizio e dalla corruzione, per poi essere mandate, libere, a vivere nelle colonie dell’impero. Una casa, dunque, ma anche un esperimento sociale dalle numerose implicazioni e un progetto in cui Dickens e Burdett-Coutts si impegnarono per dieci anni, fino alla definitiva chiusura; un luogo segreto, da tenere al riparo dalla stampa e dove le donne accolte potessero lasciarsi alle spalle la vita condotta fino a quel punto, isolate dalla città e dalle sue tentazioni. Quello intrapreso da Dickens e Burdett-Coutts fu un progetto ambizioso e lodevole ma non privo di difetti e non sempre riuscito: molte delle ragazze ospitate tornarono presto alla vita precedente, ma qualcuna colse l’opportunità che le si presentò e si rifece una vita lontano, in Australia.

Urania Cottage, dunque, e i due principali artefici del progetto, rivivono nelle pagine del romanzo di Halls che risuona anche di echi letterari: Martha, una delle protagoniste, è ispirata al personaggio presente nel David Copperfield di Dickens e le atmosfere del celebre romanzo, lo spaccato sociale che rappresenta, sono una delle fonti di ispirazione principale della storia. Realtà, letteratura, invenzione, sono quindi strettamente intrecciate, i confini si confondono e non è poi così necessario individuarli nettamente ma laddove lo si faccia è sempre una sorpresa scoprire quali sono le parti più vere del testo, mutuate dalle lettere, dai resoconti storici, dagli studi critici, quali le fantasie dell’autrice innestate su tali fondamenta. Una simile ambiguità tra reale e illusione è la stessa che pure prova Martha di fronte alla possibilità che le viene offerta con Urania Cottage:

Come promesso, Urania Cottage è la prima pagina del primo capitolo di una nuova vita offerta a ragazze che, come lei, sono decise a cambiare strada. Martha non è ancora del tutto convinta che si tratti di beneficenza e teme che ci sia sotto qualcosa, che a un certo punto verrà fuori qualche prezzo da pagare. (p. 14)

Tra quelle ragazze perdute Martha è, a detta di una compagna, quella che pare caduta da più in alto e seguire la sua storia, intrecciata a quella delle amiche, a quella della direttrice della casa, perfino a quella di Angela Burdett-Coutts ci fa capire quanto sia facile cadere, soprattutto se sei una donna. Se il romanzo di Halls intriga per la tensione narrativa, i colpi di scena finali, la descrizione accorata e puntuale della Londra vittoriana più problematica, sono soprattutto le considerazioni che porta con sé a renderlo di particolare interesse e le implicazioni che, si diceva, si allungano fino alla contemporaneità. Di cui la riflessione sulla facilità con cui si può cadere in disgrazia è il centro nevralgico:

Le domande di Mr Dickens mi hanno fatto riflettere su quello che mi ha portato qui. Dicono che siamo cadute in disgrazia, ma non è che da un giorno all’altro siamo precipitate nell’abisso: succede poco per volta. Loro credono che basti un momento di debolezza, che abbiamo ceduto a una seduzione, come se ci portassimo dentro una piccola cassaforte preziosissima. Ma non è mai una cosa sola. Non è questione di un attimo. Sono tante perdite, tante morti, una dietro l’altra. (p. 102)

Nelle storie di Martha, di Josephine, di Annie e delle altre donne che prendono vita in queste pagine si avverte infatti la precarietà del vivere femminile in un mondo dove basta pochissimo per cadere in disgrazia e il genere influenza profondamente il giudizio morale, la libertà, ciò che appare possibile. Attraverso Martha e tutte loro, protagoniste visibili o meno sulla pagina, percepiamo chiaramente quanto fosse facile nell’Inghilterra vittoriana diventare una fallen woman, schiacciata dal giudizio sociale,, emarginata, punita senza possibilità di redenzione e come anche sparire per sempre senza lasciare traccia fosse un destino comune a moltissime donne, specie se appartenenti alle classi sociali più umili, ignorate dalla polizia, perdute.

La storia di Angela Burdett-Coutts parrebbe in principio il contraltare perfetto di quella delle ragazze di Urania, la giovane ereditiera che si prodiga per le donne meno fortunate, dispensando il proprio denaro e magari dedicando qualche momento della propria vita a quella che resta poco più che una semplice opera di beneficenza fine a sé stessa. Non è davvero così, non lo è nell’invenzione letteraria di Halls e presumibilmente non lo è stato neppure nella vita reale di Burdett-Coutts. Se il gioco di specchi inizialmente poteva intrigare il lettore e poi via via sorprende svelare la realtà dietro la gabbia dorata della donna, ciò che appare ancora più interessante in questo caso è ancora la riflessione sulla condizione femminile, il potere degli uomini, le sfumature di cui la violenza e il dominio maschile si colorano un’epoca dopo l’altra. Angela – tanto personaggio letterario quanto reale – è una donna ricchissima, erede di una fortuna che ha presto capito non avrebbe potuto godere liberamente e per varie ragioni: è oggetto delle moleste attenzioni di un uomo che per anni la perseguita sfuggendo sempre alla legge per qualche cavillo ben studiato; ma è anche imprigionata nel ruolo che la società le impone, la sua voce messa a tacere, le sue opinioni mai prese in considerazione.

Viene occasionalmente invitata a cene e ricevimenti e presentata come un trofeo a clienti e investitori, ma nessuno le chiede mai un’opinione. Sebbene sia dotata di un certo acume finanziario, non viene mai consultata. (p. 69)

Ricca, nubile e senza un uomo a proteggerla, vive come un fantasma, schiacciata dalla paura nei confronti dell’uomo che la perseguita. È straniante leggere certi passaggi del racconto di Angela, i suoi timori, la sua rabbia verso un sistema che non la tutela davvero e rendersi conto che è la stessa realtà, o comunque molto simile, in cui vivono oggi altre donne da un estremo all’altro della scala sociale. Donne che denunciano abusi, fisici o psicologici, donne perseguitate, donne che quasi sicuramente finiranno per incrementare il numero delle vittime di femminicidio.

Attraverso il personaggio di Angela, ancora, Halls ci permette di ragionare su un’altra questione, legata alla beneficienza e all’aiuto concreto nei confronti di coloro che giudichiamo bisognosi. Una riflessione che attraversa tutta la storia, che va dall’empatia provata da Angela nei confronti delle donne di Urania Cottage, nel suo prodigarsi con i mezzi di cui dispone, ma anche nella distanza incolmabile che intercorre tra loro, negli atti di egoismo cui nessuno di noi è mai del tutto esente così come nel giudizio con cui costruiamo la nostra visione del mondo. Una riflessione che esplode chiarissima in uno scambio acceso tra Angela e la direttrice della casa, Mrs Holdsworth, e che al di là della concitazione del momento dà la misura delle cose:

Voi credete che basti aprire i cordoni della borsa, rifornire la dispensa, comprare libri e insegnare alle ragazze a suonare la chitarra, ma la cosa di cui hanno più bisogno è che noi dimostriamo loro fiducia, affetto e pazienza, che forniamo loro una base solida sulla quale costruire la loro vita. Venire a prendere il tè con loro una volta alla settimana serve soltanto a sottolineare la distanza che vi separa. (p. 239)

Quello di Stacey Halls, dunque, è un romanzo storico sapientemente costruito, dai riferimenti puntuali,, che illumina una pagina forse meno nota della Londra di Dickens e su un progetto non privo di difetti, in cui la morale di stampo patriarcale nonostante le buone intenzioni aleggia come un fantasma sulle vite delle occupanti, scandendone i ritmi, decidendone il destino. Durante il loro soggiorno al cottage è fortemente proibito raccontarsi cosa le ha condotte lì e quella nuova vita che le attende lontanissimo nelle colonie appare tanto opportunità di ricominciare quanto per certi versi un confino. Lo stesso coinvolgimento di Dickens mostra parziali ambiguità, nell’intreccio di accorato desiderio di aiutare chi ne ha bisogno e opportunità di studiare da vicino quelle vite da cui far nascere le storie. Il progetto di Halls è particolarmente interessante, la narrazione resa egregiamente dalla traduzione a quattro mani, ma la storia inciampa un po’ nel finale che si fa frettoloso e tenta di conciliare troppe cose insieme. Non sarà forse il miglior romanzo di Halls né capirò fino in fondo il rimando a Hilary Mantel ma Le ragazze di Urania Cottage offre al lettore molteplici spunti su cui vale la pena soffermarsi, in una lettura che non deve farsi frettolosa. Godibile, anche, ma non superficiale, similmente in questo a Il giardino delle rose di Tracy Rees, sempre pubblicato da Neri Pozza, anche in quel caso una storia di solidarietà femminile, imprigionamento, giudizio morale. Un elemento quest’ultimo che, è innegabile, condiziona ancora troppo profondamente le nostre vite.

Debora Lambruschini